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OSSERVAZIONI SULL’INTERVENTO DI MASSIMO CACCIARI SULLA SCUOLA

 

Di Lucia Maria Lena

 

 

L’appello, pubblicato da alcuni quotidiani, di un gruppo di intellettuali italiani di riconosciuto ed ampio valore riguardo alla cosiddetta DAD (didattica a distanza) e alle condizioni in cui versa la scuola italiana in questi tempi di assoluta emergenza  ( e non solo) è in buona parte condivisibile. Alcune riserve sul contenuto sono però, a mio modesto avviso, d’obbligo.

La DAD ha indubbiamente rappresentato un’ancora di salvezza che ha tenuto a galla ( per quanto e come, vedremo con l’evolversi delle situazioni) il sistema scuola, e questo deve essere riconosciuto anche da parte di chi non apprezza particolarmente gli strumenti digitali come opportunità di crescita e di formazione; e se così è stato ed è, molto del merito va agli insegnanti che si sono messi in gioco ed hanno cercato di trarre il meglio da ciò che avevano a disposizione per continuare a svolgere  il proprio lavoro; detto  tutto ciò, è bene aggiungere che in effetti la DAD presenta limiti oggettivamente insiti nella propria natura “virtuale”; è ovvio che la didattica in presenza offre maggiori, enormemente maggiori, opportunità formazione, educazione, crescita reciproche, ma allora, forse, il problema è emerso in questi mesi ma va ricercato “a monte”: l’autore dell’appello ed i firmatari dello stesso fanno riferimento, come esempi positivi, ai sistemi scolastici di paesi come Norvegia, Francia, Germania ecc., senza considerare che in buona parte di essi buonissima parte dell’azione didattica viene espletata attraverso tablet e computer, cioè non proprio DAD, ma qualcosa che le si avvicina…e non in tempi di emergenza, ma nell’ordinario. Non è corretto, a mio avviso, condannare senza appello un sistema determinato da condizioni eccezionali e lodarne altri che ne fanno un prevalente uso nell’azione educativa in tempi “normali”.

Riguardo poi alla riapertura delle scuole (decisione che riscuote il plauso degli intellettuali in questione), questa non è segno privilegiato di attenzione al sistema istruzione, può anzi rappresentare un rischio ed un azzardo: ed infatti in Francia il contagio ha ripreso vigore ed intensità  appunto con la ripresa delle lezioni in presenza. E’ evidente che gli edifici scolastici sbarrati rappresentano una ferita per tutto il sistema paese, ma per il momento non sembrano esserci alternative ragionevoli, per cui si cerchi di utilizzare la DAD come una opportunità per continuare a lavorare provvedendo magari, per il futuro, a rivedere gli obiettivi prioritari dell’istruzione ( ma forse questo doveva essere fatto 30 anni fa, quando i docenti “tradizionalisti” ed invisi ai colleghi “innovatori” sostenevano che più che l’uso di strumenti la scuola deve formare cervelli autonomi nell’elaborazione critica, ANCHE attraverso l’apprendimento di contenuti!). Non so quanti, tra i firmatari dell’appello, avrebbero condiviso, solo pochi mesi fa, la lode, in esso contenuta, della scuola “tradizionale”!

 

Lucca, 19 maggio 2020

 

 

La scuola è socialità. Non si rimpiazza con monitor e tablet

 

(testo dell’appello di Massimo Cacciari e di altri intellettuali italiani)

 

Per quanto ancora frammentari e non univoci, i messaggi che ci raggiungono in questo esordio della fase 2 a proposito della scuola sono ben più che allarmanti.

La prospettiva che emerge è quella di una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, sostituita da un’ulteriore

generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità telematiche di insegnamento. Non si tratterà soltanto di utilizzare le tecnologie

da remoto per trasmettere i contenuti delle varie discipline, ma piuttosto di dar vita ad un nuovo modo di concepire la scuola, ben diverso da quello tradizionale.

Ebbene, si può certamente riconoscere – come da più parti nel corso degli ultimi anni si è sostenuto in maniera argomentata – che la scuola italiana avrebbe

bisogno di interventi mirati, collocati su piani diversi, tali da investire gli stessi modelli della formazione e lo statuto epistemologico delle varie

discipline. Ma altro è porre all’ordine del giorno un complessivo e articolato processo di riforma, frutto di una preventiva e meditata elaborazione teorica,

tutt’altra cosa è appiattire il complesso processo dell’educazione sulla dimensione riduttiva dell’istruzione. Basterebbe mettere il naso oltre le Alpi

per avvedersi che quasi tutti i Paesi europei, in prima fila i nostri competitors sul piano economico, hanno già riaperto (o stanno riaprendo) le scuole,

pur permanendo condizioni sanitarie analoghe a quella italiana.

Francia e Germania, Belgio, Danimarca e Olanda, Norvegia e Repubblica ceca, Austria e Svizzera, e in parte perfino il Regno Unito, sono ripartiti, sia pure

con prudenza e gradualità, mentre anche la Spagna, ormai più tormentata di noi dal flagello del virus, sta valutando di svolgere almeno qualche settimana

di scuola prima della pausa estiva. Per quanto riguarda il prossimo anno scolastico, nessuno sottovaluta i vincoli oggettivi che potrebbero persistere

anche in autunno, rendendo troppo rischioso il tentativo di ritorno alla normalità. Ma dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due

modalità di insegnamento – in presenza o da remoto – vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di

una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla distribuzione di

tablet.

È probabilmente superfluo ricordare che il termine greco scholé, dal quale derivano i termini che nelle lingue moderne descrivono la scuola, indica originariamente

quella dimensione di tempo che è liberata dalle necessità del lavoro servile, e può dunque essere impegnata per lo svolgimento di attività più nobili,

più corrispondenti alla dignità dell’uomo. Ne consegue che la scuola non vuol dire meccanico apprendimento di nozioni, non coincide con lo smanettamento

di una tastiera, con la sudditanza a motori di ricerca. Vuol dire anzitutto socialità, in senso orizzontale (fra allievi) e verticale (con i docenti),

dinamiche di formazione onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una coscienza civile e politica. Insomma, qualcosa di appena più

importante e incisivo di una messa in piega o di un cappuccino.

 

I firmatari dell’appello

 

Alberto Asor Rosa

Maurizio Bettini

Luciano Canfora

Umberto Curi

Donatella Di Cesare

Roberto Esposito

Nadia Fusini

Sergio Givone

Giancarlo Guarino

Giacomo Marramao

Caterina Resta

Pier Aldo Rovatti

Carlo Sini

Nicla Vassallo

Federico Vercellone

 

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