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Un governo lontano dal Nord

di Giovanni Orsina

Nessuno di noi se lo augura, ci mancherebbe, e tutti speriamo anzi che le Cassandre siano destinate a esser smentite. Gli indicatori mostrano però con chiarezza che l'Italia è entrata in una crisi economica e sociale destinata nei prossimi mesi a farsi sempre più profonda.
Il sondaggio che ha presentato ieri su questo giornale Alessandra Ghisleri (La Stampa - 12 maggio 2020 - ndr.) ci parla di un Paese preoccupatissimo, al nord più che altrove.
A meno che la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca resti lettera morta. E poi che il Recovery Fund europeo si riveli infine molto, ma molto corposo – due eventualità sulle quali al momento, e sempre sperando di sbagliare, non me la sentirei di scommettere –, non è impossibile che alla crisi economica e sociale se ne aggiunga, magari nel 2021, anche una di finanza pubblica.

Una "tempesta perfetta" di questo tipo, oltre a mettere terribilmente sotto pressione la nostra già molto malandata democrazia, farebbe esplodere due fratture storiche che fino al 1992 i partiti, e dal 1994 il sistema politico bipolare sono riusciti a gestire, sia pure con grandissima fatica.
La prima è di natura sociale, e contrappone i lavoratori dipendenti, in particolare del settore pubblico, agli autonomi.
La seconda è geografica, e separa il nord dal sud. Le due divisioni sono strettamente collegate l'una all'altra, com'è ben noto, anche se non si sovrappongono del tutto.
Con la perfidia alla quale ci ha ormai abituati, Covid-19 sta lavorando ad allargarle entrambe.

Sappiamo benissimo che ha colpito molto più il nord del sud. Gli strascichi anche psicologici che lascerà saranno geograficamente disomogenei: né al centro né al sud si è visto nulla di paragonabile all'immagine angosciante che resterà per sempre il simbolo della pandemia in Italia, la fila di carri militari che portano via i defunti da Bergamo. E soprattutto ha devastato il lavoro autonomo, là dove il lavoro dipendente pubblico è riuscito invece a conservare intatto il proprio reddito. Anzi: non potendo consumare, ha incrementato le riserve.

Poiché la frattura sociale e quella geografica in larga misura si sovrappongono, questo vuol dire che il nord è stato più colpito anche da un punto di vista economico.

Il governo Conte si colloca quasi per intero su un solo versante delle due fratture.
Il Partito democratico ha da sempre radici robuste nel pubblico impiego.
Il Movimento 5 stelle le ha notoriamente nel Mezzogiorno.
Nel 2018, per altro, ha pescato anch'esso a piene mani nel bacino elettorale dei dipendenti pubblici.
Nessuno dei due partiti ha una gran tradizione di dialogo coi lavoratori autonomi e con l'Italia settentrionale.
A entrambi difettano la sensibilità e i codici culturali adatti.

L'unico nella maggioranza che quella sensibilità e quei codici li ha è Renzi. Che però ha già avuto l'occasione di agganciare l'Italia del lavoro autonomo, sottraendola a Berlusconi, e l'ha perduta.
Ed è costretto oggi a tentare un difficilissimo recupero in condizioni assai malagevoli.

Si capisce allora per quale ragione – oltre che a motivo della complessità oggettiva della situazione e della sua stessa, strutturale, fragilità politica – il governo stia facendo così gran fatica a decidere dove mettere i soldi, "tirato" com'è fra il richiamo del proprio elettorato e il grido di dolore dei settori più colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia.
Il gabinetto Conte si sta giocando la partita della vita. Per se stesso, innanzitutto, perché se sbaglia rischia di venir travolto. Ma soprattutto per il Paese.

Torniamo allo scenario iniziale, infatti. Se sotto i colpi della crisi le due fratture, sociale e geografica, dovessero allargarsi molto, le tensioni sociali e il peso sulle istituzioni potrebbero farsi insostenibili. E non solo. Il tessuto produttivo del Nord e il lavoro autonomo sono notoriamente il motore economico del Paese. Ne dipendono in larga misura sia l'apparato pubblico sia i trasferimenti sociali.
Un governo che trascurasse quel motore per soddisfare la propria base elettorale potrebbe tutelarla e darle soddisfazione nel breve periodo. Ma nel medio la condannerebbe.

(da La Stampa - 13 maggio 2020)

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