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nell'interesse dei cittadini

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Il decreto che il governo varerà questa settimana deve definire l'entità dell'intervento di emergenza per l'economia e stabilire come verranno spesi questi fondi. Per dimensione il decreto è più che una legge di Bilancio: 55 miliardi di euro, il 3 per cento del Pil. Spesso (o sempre) una legge di Bilancio è il compromesso tra interessi diversi, e il testo finale è un elenco di spese la cui priorità è dettata in gran parte da chi ha imposto con maggior forza le proprie richieste. Questo non dovrebbe mai accadere, tanto meno durante un'emergenza. E' compito del presidente del Consiglio evitarlo.

In questa crisi due erano le priorità: far sì che nessun lavoratore perdesse lo stipendio a causa del Covid, che nessuna impresa fallisse. E che la scuola non abdicasse al suo ruolo.
Invece siamo arrivati agli incentivi per biciclette e monopattini, nuove agevolazioni per il fotovoltaico e l'ecobonus del 110 per cento per le facciate delle case. E le scuole rimarranno chiuse tutta l'estate.

Una legge di emergenza deve avere priorità specifiche e urgenza. Era stato promesso un decreto entro aprile, uscirà a metà maggio e intanto lavoratori e imprese aspettano, e non è detto che sopravvivano. Persino gli Stati Uniti, dove l'epidemia era esplosa un mese più tardi che da noi, nonostante l'amministrazione Trump e un Congresso polarizzato, sono stati più rapidi nel varare un decreto di emergenza.

Iniziamo dalla scuola. In alcuni Paesi europei, peraltro molto colpiti dall'epidemia, ad esempio in Francia e Svizzera, durante il lockdown asili e scuole elementari hanno sempre garantito il servizio ai genitori occupati nei settori essenziali: sanità, forze dell'ordine, protezione civile, vigili del fuoco. In Austria, Danimarca e Germania asili e scuole elementari sono già aperti; in Francia e Svizzera la prossima settimana. Questa è la condizione necessaria perché i genitori possano tornare al lavoro. Il ministro della Pubblica istruzione, Lucia Azzolina, per togliersi il pensiero di trovare soluzioni complesse per una situazione difficile ha chiuso tutto fino a settembre. Fra riaprire tutte le scuole oggi e chiuderle fino a settembre si dovevano cercare soluzioni intermedie, difficili da inventarsi, certo, ma questo dovrebbe essere il compito del ministro che pare solo interessato ai, pur importanti, dettagli dell'esame di maturità.

Sul lavoro l'emergenza non consentiva esperimenti. Come ha spiegato l'ex presidente dell'Inps, Tito Boeri, bisognava estendere la cassa integrazione a tutti. Invece si è preferita la cassa in deroga, che prima di arrivare all'Inps richiede l'approvazione di ogni singola Regione. Questo ha solo creato ritardi e diversità di trattamento da zone a zone del Paese. Con il risultato che a molti lavoratori la cassa continuano a pagarla le aziende.

Per la liquidità alle imprese ci si è affidati alle banche, e la liquidità arriva con il contagocce. Il motivo è che se un'azienda fallisce, come purtroppo potrebbe accadere, nel turismo ad esempio ma non solo, un pubblico ministero potrebbe formulare un capo di imputazione per bancarotta fraudolenta, e il direttore di banca che ha concesso il credito correrebbe rischi penali. Non sorprende che nonostante il prestito sia garantito dallo Stato le banche procedano con cautela. Si doveva usare l'Agenzia delle entrate che conosce gli Iban di tutte le aziende e avrebbe potuto accreditare i 25mila euro direttamente sui loro conti correnti. E se non si voleva fossero a fondo perduto il rimborso poteva essere previsto tramite le imposte future.

Fra qualche settimana riceveremo dal Mes (il fondo creato dall'Europa, e quindi anche da noi, per le emergenze) 36 miliardi di euro (a fronte dei 14 che l'Italia versò quando fu creato). Un prestito a dieci anni, con tasso di interesse sostanzialmente pari a zero, grazie alla garanzia europea. Con un analogo Btp avremmo pagato un tasso dell'1,8 per cento. Sorprende come in Italia ci sia ancora chi tra i politici si ponga il problema se finanziarsi o meno a costi così bassi.
Unica condizione che viene posta ai fondi del Mes è che quei soldi vengano usati per spese sanitarie "dirette e indirette" per la cura e prevenzione del Covid-19. In Italia si è subito aperta la discussione su quell'inciso, "dirette e indirette". Ad esempio, le spese per la cassa integrazione possono esservi incluse? No: per quelle spese c'è già l'ombrello della Bce che si è impegnata a comprare una quantità enorme di debito pubblico italiano, oltre 100 miliardi di euro entro Natale, fondi che possono coprire ogni spesa, inclusa la cassa integrazione, un altro aiuto dell'Europa.

Come con il decreto, anche nel caso del Mes c'è il rischio che le risorse diventino una distribuzione a pioggia. Quel prestito deve essere usato per la sanità, indipendentemente dal vincolo europeo. E' nell'interesse del nostro Paese. La pandemia ha mostrato quanto sia fragile in molte regioni la sanità pubblica: anche dove vi sono eccellenze mondiali sono emerse situazioni gravi e talvolta fuori controllo.
I 36 miliardi del Mes devono essere l'occasione per ridisegnare la sanità per un mondo in cui i virus saranno un rischio sempre più frequente compresa una seconda ondata del Covid-19 che potrebbe presentarsi già in autunno. Porre la sanità in cima alle priorità, il governo lo deve prima di tutto ai cittadini.

(dal Corriere della Sera - 10 maggio 2020)

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