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Che bello, oggi finisce la quarantena ma la paura purtroppo resta

di Flavia Perina

Ci sono tanti tipi di dopoguerra e quello che da oggi molti indicano come modello – il dopoguerra italiano, l’età del boom seguita al secondo conflitto mondiale – non è certamente il più probabile: allora la minaccia bellica finì da un giorno all’altro, in modo definitivo, segnando un prima e un dopo; oggi no. Oggi finisce la quarantena ma la paura di morire resta. Anzi, forse sale pure di intensità perché l’improvvisa circolazione di persone, mezzi, merci, aumenta il rischio – ce lo dicono ogni giorno gli esperti in tv – e raddoppia la necessità di protezione e cautela.

I sindaci che in queste ore promulgano ordinanze restrittive, mettono off limits i loro comuni, invitano a segnalare i disobbedienti delle seconde case, non fanno che rispondere all’ansia di larghissime fasce della popolazione. Gli altri, i governatori che agiscono al contrario cercando di forzare le maglie della Fase 2, fronteggiano in modo diverso lo stesso timore: parlano di biciclette, pesca, manutenzione delle barche sperando di sollecitare un ritorno alla “normalità” almeno psicologico.

Come si riaccende un Paese dopo averlo terrorizzato per due mesi a reti unificate, politica unificata, virologi unificati? È il problema del momento, per ora scarsamente messo a fuoco da chi guida il Paese e anche dalle opposizioni. Al risiko della paura hanno giocato tutti, con l’idea di consolidare posizioni politiche spesso traballanti.

A qualcuno è andata benissimo: il governatore campano Vincenzo De Luca, che a inizio anno era un uscente “a rischio” (la sua ricandidatura era largamente in forse) esce dall’emergenza come una superstar, un intoccabile. Per altri, e soprattutto per i lombardi, è finita assai male. Attilio Fontana e in misura minore Giorgio Gori sono stati a lungo il volto onnipresente dello stato d’eccezione e dello spavento nazionale, ma quel ruolo non gli ha portato bene in termini di popolarità.

Quanto al governo, è stato oggettivamente rafforzato dall’epidemia, che ha consentito di cancellare dall’agenda ogni appuntamento elettorale pericoloso e ogni dibattito parlamentare scomodo. Ma adesso si ha un bel dire “arrivano i soldi”, “misure mai viste prima”, “bazooka economico”. La paura è paura.

E dopo due mesi di bollettini di morte in diretta serale, dopo i film dei camion militari con le bare, dopo le riprese clandestine di agonizzanti in terapia intensiva, l’ecatombe dei medici, i cento spot al giorno sul mostro in agguato, dire “tornate a produrre, tornate normali”, non sarà tanto facile.

La psicoterapeuta Costanza Jesurum ha inquadrato molto bene la questione sul suo blog. Lo stallo economico che tutti paventano, scrive, «potrebbe arrivare dai comportamenti dei singoli». Con un possibile rialzo del tasso di contagio, «hai voglia ad aprire le frontiere, a mandare la gente al mare, o nei ristoranti: la gente non ci va».

E hai voglia a dire fabbriche a pieno ritmo, lavori riattivati, attività riaccese, spendete, consumate: al primo focolaio, al primo incremento dei malati, non serviranno neanche le ordinanze per cambiare registro. Le persone si rifugeranno in casa, e amen. Il virus, scrive la Jesurum, attaccando i corpi attacca i comportamenti economici: in questo momento è più potente di ogni ragionamento sui bilanci famigliari o sul Pil.

Il racconto del dopo-Covid come opportunità, come dopoguerra pieno di possibilità, passa attraverso questa cruna molto stretta. Gestire con equilibrio e razionalità le emozioni del Paese sarà uno dei compiti più complicati della Fase 2, inconciliabile con la strategia del terrore usata per tenere gli italiani in casa nei giorni più bui della Fase 1 e con il clima di caccia all’untore visto in azione per settimane. Scansino per un po’ i virologi e si prendano in carico qualche psicologo sociale: gli spiegherà che la paura non si cancella per ordinanza, che i grandi traumi collettivi sono facilissimi da produrre ma molto complicati da superare.

(da www.linchiesta.it - 4 maggio 2020)

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