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Breve commento introduttivo

Non vi è alcun dubbio che in questo drammatico momento, il sostegno alle famiglie in condizione di estrema povertà sia indispensabile. Deve essere però chiaro che esso è fondamentale per fronteggiare una emergenza, ma non è la strada per creare le condizioni per la ripresa. La ripresa potrà essere garantita solo da una seria politica degli investimenti e di un serio piano per lo sviluppo industriale del Paese.
Ora abbiamo reddito di emergenza, reddito di cittadinanza, cassa integrazione guadagni ordinaria, in deroga ecc.; che confusione! Tutte iniziative assistenziali, certo necessarie in questa drammatica fase di emergenza, ma tutte realizzate con soldi presi a prestito che, prima o poi dovranno essere restituiti. E per restituirli occorre produrre ricchezza, e la ricchezza si produce con un serio piano degli investimenti ed un progetto di sviluppo industriale di cui non si vede traccia. Insomma, senza un forte incremento del pil, sarà difficile evitare situazioni dagli esiti imprevedibili.
Intendiamoci, non è che il tema sia nuovo; purtroppo è assai precedente all'emergenza coronavirus. Sono ormai decenni che in Italia è assente un serio dibattito sullo sviluppo del Paese. Negli ultimi decenni la politica si è avviluppata nella mera ricerca del consenso immediato, abdicando a qualsiasi capacità di progettazione. Abdicazione che rende l'attuale emergenza ancor più pesante.
Ma accanto al coronavirus, da noi ce n'è un altro, subdolo e pericolosissimo: quello di una politica anti-industriale, fortemente presente nella cultura populista, ma anche insinuatosi in frange della cultura politica non proprio riconducibili al populismo. Frange di cultura politica che oggi concorrono alla responsabilità di governo nel nostro Paese.
Mi pare deltutto condivisibile quanto dice Carlo Bonomi, circa le drammatiche conseguenze che potrebbe avere una politica che non metta al centro il tema della ripresa; certo ora occorre fare in modo che tutti possano avere da sfamarsi; ma in prospettiva, una prospettiva che non consente di perdere tempo, occorre mettere in campo una politica che privilegi gli strumenti per la ripresa. Ad essa - deve essere chiaro a tutti - non può esserci alcuna alternativa.

Paolo Razzuoli

"I prestiti non bastano Il governo si muova"

Intervista a Carlo Bonomi di Rita Querzè

"Aziende e posti di lavoro si salvano con gli investimenti - dice al Corriere il presidente di Confindustria Carlo Bonomi - il governo si muova".
"Abbiamo reddito di emergenza, reddito di cittadinanza, cassa ordinaria, straordinaria, in deroga, Naspi, Discoll... Potrei continuare. La risposta del governo alla crisi si esaurisce in una distribuzione di danaro a pioggia. Danaro che non avevamo, si badi bene, si tratta di soldi presi a prestito. Possiamo andare avanti così un mese, due, tre. Ma quando i soldi saranno finiti senza nel frattempo aver fatto un solo investimento nella ripresa del sistema produttivo, allora la situazione sarà drammatica. Stabiliamo pure che le imprese non debbano licenziare. Ma non si salvano per legge le aziende dal fallimento. Se questa è la rotta del governo, l'approdo non può essere che uno: l'esplosione di una vera e propria emergenza sociale già a settembre-ottobre".

Il presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi sta preparando il trasloco dal suo ufficio milanese in Assolombarda a quello in viale dell'Astronomia. Il 20 maggio il passaggio del testimone con Vincenzo Boccia avverrà a porte chiuse. L'assemblea pubblica è rimandata a settembre. Le priorità che Bonomi aveva indicato nel programma elettorale fanno riferimento a un mondo che non esiste più. La nuova agenda che il presidente di Confindustria troverà sulla scrivania avrà un solo punto all'ordine del giorno: dare strumenti alle imprese (e al Paese) per superare la crisi.

Non è l'unico a segnalare il rischio emergenza sociale. Come evitare il peggio?
"Le proposte non ci mancano. Peccato che al governo difetti la volontà di ascoltare. Ho l'impressione che ci si prepari a scaricare le responsabilità su banche e imprese. Non lo permetteremo".

La povertà aumenta, difficile non riconoscerlo. E non intervenire.
"Certo. Peccato che con queste politiche presto andrà anche peggio. A meno che non si creda davvero che a risolvere i problemi della disoccupazione siano i navigator ".

L'ultimo decreto vale 25 miliardi. Come lo valuta?
"Sono molto perplesso: non c'è niente sull'industria. Prevale la logica del dividendo elettorale garantendo nel brevissimo periodo un po' di soldi a ciascuna categoria sociale".

In precedenza il governo è intervenuto con il decreto liquidità per le aziende. Prendiamo i 25 mila euro al 2% d'interesse. Le domande sono poche. Come lo spiega?
"Troppa burocrazia. E poi quando un'impresa chiede fondi è perché ha un progetto da realizzare. Le politiche del governo aumentano l'incertezza. Tirando le somme, la liquidità alle imprese non sta arrivando".

Le prime tre misure che il governo dovrebbe adottare?
"Chiediamo che si sblocchino tutte le opere pubbliche già finanziate. Inoltre, sia gli incentivi di industria 4.0 e sia i pagamenti dei debiti che lo Stato deve alle imprese devono trasferirsi in liquidità immediata, cioè con una detrazione sulle imposte che si pagano quest'anno".

Lei ha largamente criticato la gestione della Fase 2...
"Oggi si riparte e non abbiamo ancora capito quali siano state le proposte del comitato di esperti creato dal governo. Al cui interno, per inciso, non c'è nemmeno un imprenditore. Stiamo ripartendo senza un metodo, con uno scontro fortissimo governo-Regioni. La confusione è sotto gli occhi di tutti".

E nel merito, cosa non va?
"Serve un sistema di tracciamento dei contatti che non è ancora in campo. Penso alla app Immuni che dovrebbe essere collegata ai dati del sistema sanitario nazionale".

Le imprese sono pronte?
"Le imprese sono pronte e lo hanno dimostrato, basta guardare ai settori che non hanno mai smesso di produrre. C'è un punto invece che non è stato ben compreso: le imprese oggi stanno riaprendo con costi maggiori e con una produttività più bassa perché bisognerà attuare il distanziamento".

Per questo giovedì scorso ha auspicato una deroga ai contratti collettivi sugli orari di lavoro? Non teme che così il rapporto con i sindacati parta in salita?
"Credo che i problemi vadano messi sul tavolo e su questo vada impostato un discorso serio con i sindacati che il governo dovrebbe agevolare".

Agevolare favorendo il dialogo o con incentivi?
"Bisogna avere ben presente che quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici, per tutti. Quando sento chiedere aumenti contrattuali, per esempio nell'alimentare, significa che a molti la situazione non è chiara".

L'alimentare sta subendo la crisi come altri settori?
"Pensi ai costi della logistica e delle materie prime: stanno aumentando per tutti".

Gli sforzi dei dipendenti non vanno premiati?
"Vanno premiati, certo. Per questo abbiamo chiesto al governo di detassare e decontribuire gli aumenti che le imprese possono garantire ai lavoratori alle prese con l'orario ridotto e la Cig. La risposta però è stata ancora una volta negativa".

Tra due settimane sapremo dall'impatto sul numero dei contagi se la ripartenza è sostenibile. Questo appuntamento la preoccupa?
"Quello che mi preoccupa e mi indigna è che si giochi ancora a dare la responsabilità alle imprese di un eventuale aumento dei contagi. Il Codice civile mette in capo all'impresa la salute e sicurezza dei lavoratori. Con il Covid-19 questo genera una situazione potenzialmente deflagrante. Penso al rischio di cause di lavoro e alla possibilità che venga richiesto alle aziende di dimostrare che un dipendente ammalato non si è contagiato in azienda: semplicemente una follia".

Nelle proposte del Pd per la ripartenza si parla di interventi dello Stato con capitale di rischio nelle imprese, anche con quote di minoranza. Che ne pensa?
"Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti. Per esempio questo sarebbe il momento per rilanciare con più risorse il piano Industria 4.0 visto che a questa crisi sopravviverà chi investirà. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti".

(dal Corriere della Sera - 4 maggio 2020)

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