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Nella finanza non ripetiamo gli errori del dopo-crisi 2008

di Marco Onado

Se il dopo-pandemia dovrà essere affrontato con un vero spirito di ricostruzione, teniamo conto delle lezioni della crisi finanziaria del 2008. Il sistema mondiale è oggi più robusto, ma solo in parte. Rivela anche presenza di doping.

Il problema di fondo di come finanziare la risposta economica alla pandemia è che non sono state rimosse le cause di fondo della crisi del 2008. La risposta a un evento catastrofico generato da eccesso di debiti privati e pubblici (ma con l’unica eccezione dell’Italia soprattutto dei primi) e da rischi enormi accumulati dal sistema finanziario per puro azzardo, è stata di irrobustire le banche e nello stesso tempo consentire alle banche centrali di immettere liquidità in dosi massicce, abbassando i tassi di interesse fino al mondo surreale inferiore allo zero. Il debito è risultato molto più sostenibile ed è addirittura cresciuto ulteriormente, superando ogni record storico. In altre parole, un’indigestione è stata curata con una dieta di cotechino e polenta taragna.

Indebitarsi a basso costo

Cosa significa tutto questo? In primo luogo, che la tesi secondo cui il sistema finanziario mondiale oggi è robusto è solo una mezza verità (e dunque una mezza bugia): vale per le banche ma non per il resto del sistema finanziario globale. È bene ricordare i titoli di coda del film La grande scommessa (una spietata analisi degli eccessi speculativi che hanno determinato la crisi) in cui si dice che nel 2015 avevano cominciato a circolare titoli definiti Clo (Collateralised loan obligation) che altro non erano se non la reincarnazione dei titoli Cdo, cioè i più tossici inventati da Wall Street. E guarda caso non passa giorno che la stampa internazionale non lanci segnali di allarme per il debito accumulato dalle imprese di tutti i paesi con l’emissione di bond sia perché gran parte delle emissioni veniva da aziende appena al di sopra del livello junk, cioè spazzatura (qualcuno ricorda i mutui subprime?) sia appunto per le incognite del rischio effettivo contenuto nelle obbligazioni Clo. Questo significa che ancora una volta dovranno essere le banche centrali a intervenire e infatti stanno iniziando a comprare anche titoli emessi da imprese, come previsto nel caso della Bce dal programma Pepp: un nome che sarebbe piaciuto a Gianni Brera, ma che invece significa Pandemic Emergency Purchase Programme. Con uno svantaggio, sia detto di passata, per l’Italia perché noi abbiamo meno imprese di dimensioni tali da poter accedere direttamente ai mercati.
Ma il problema fondamentale è che se non usiamo questa crisi per mettere mano una volta per tutte ai problemi interni al sistema finanziario continueremo a perpetuare le distorsioni economiche che hanno determinato la crisi del 2008 e rendono socialmente meno sostenibile quella del Covid.
Vasto programma, diceva il generale De Gaulle dell’idea di eliminare i cretini. Ma un punto ineludibile dell’agenda politica. Due esempi per tutti. Possibile che l’Europa continui ad essere sorda rispetto all’idea di tassare le transazioni finanziarie? È stato detto fino alla nausea che è un tipo di imposta che deve essere introdotto a livello sovranazionale, che ha un potenziale di gettito enorme anche con aliquote irrisorie e che potrebbe essere destinato a scopi comuni. Quale migliore occasione, adesso che non ci sono più i veti britannici, per almeno rispolverare il dibattito e fare uno straccio di studio di fattibilità?

Capitalismo dopato

E ancora. Le imprese nel mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno registrato profitti record ma sono oggi più indebitate di prima e come si è detto hanno attinto a piene mani al mercato obbligazionario, che era diventato come il paese dei Balocchi in cui l’aranciata sgorga dalle fontanelle. Come mai? Semplicemente perché si sono indebitate per ricomprare sul mercato le loro azioni, con il risultato di indebolire l’azienda patrimonialmente, ma di arricchire gli azionisti e con loro i manager i cui bonus sono legati alle quotazioni azionarie. Un’operazione allegramente portata avanti prima e dopo la crisi del 2008, che l’Economist (non Lotta Comunista) ha definito “capitalismo dopato”. Con il risultato che gran parte dei miliardi che Trump ha messo a disposizione del settore produttivo andranno a imprese che anche nei tempi recenti si sono distinte in queste operazioni. Un altro foglio sovversivo, il New York Times, ha denunciato che le società alberghiere e le compagnie aeree americane hanno fatto acquisti di azioni proprie anche nell’ultimo anno per miliardi di dollari. Risorse sparite dalle aziende per darle agli azionisti (e ai manager) e oggi riconsegnate in confezione regalo dallo zio Sam. Insomma, le cose che non funzionano nel sistema finanziario mondiale sono tante. Se il dopo-pandemia dovrà essere affrontato con un vero spirito di ricostruzione, non dimentichiamo che questo è il nodo di fondo, come avevano ben capito i regolatori e i politici degli anni Trenta.

(da www.lavoce.info - 1 aprile 2020)

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