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Breve commento introduttivo

Come i nostri lettori ben sanno, da tempo sto ponendo il tema della necessità di dar vita ad un progetto politico che sappia dare una adeguata rappresentanza alla vasta area sociale del paese, che magari un po' sbrigativamente possiamo definire liberal-democratica.
Un'area che, con una frase un po' ad effetto, consentitemi di definire come alternativa "ad una destra che ci vuole portare fuori dall'Europa, e ad una sinistra che è già fuori dal mondo.
Un'operazione politica gigantesca, che sinora non è riuscito a condurre in porto nessuno.
E' lo spazio politico che stava cercando di coprire Renzi, alla cui azione ho personalmente rivolto qualche interesse, pur avendo maturato il convincimento che il progetto politico difficilmente potrà avere i risultati sperati, per ragioni che in questa sede non mi pare meritino di essere approfondite.
Naturalmente la vicenda del coronavirus avrà un impatto enorme anche sul versante politico. E' infatti impossibile immaginare che quando il Paese riuscirà a rialzare la testa, non ci saranno forti rivolgimenti politici. Come sempre è accaduto nella storia, all'uscita dalle crisi si sono create nuove condizioni politiche e sono emerse nuove classi dirigenti.
Da qualche tempo sto pensando che l'unica figura che potrebbe porsi quale leader di un processo di rinnovamento politico è Mario Draghi: un profilo che ne possiede tutte le caratteristiche, sia sul fronte interno che su quello internazionale.
E' impossibile sfuggire alla sensazione che, dopo il suo articolo, Draghi sia di fatto entrato nell’arena, si vedrà se come “regista europeo” del mega-piano Marshall che (speriamo) verrà, o come “premier e riferimento politico della ricostruzione italiana”.
Ma forse le due cose non sono così confliggenti. Mario Draghi forse potrà aiutare l'Europa a non sgretolarsi ulteriormente e, contemporaneamente, il nostro Paese a rialzare la testa da una drammatica crisi che, non dimentichiamolo, si è abbattuta su un'Italia già fragile e seduta su se stessa.

Paolo Razzuoli

L’intervento di Draghi accelera i progetti politici per il dopo virus (e il dopo Conte)

di Mario Lavia

In questa specie di Montagna incantata che è diventata la politica italiana, i piani della discussione si confondono, è impossibile sapere quanto durerà la guerra, impossibile sapere quanto durerà il dopoguerra ma la discussione ormai interseca i due piani, eppure qualche segno va comunque colto. Per esempio, ieri il Senato ha avuto un brivido quando Matteo Renzi ha detto con una perentorietà che segnala uno scricchiolio nella maggioranza che con il coronavirus dovremo convivere due anni, non certo nel senso che dovremo stare a casa fino al 2022 ma che comunque la psicologia e anche la vita reale non torneranno come prima. È stato un modo per drammatizzare quello che avverrà a guerra finita ma soprattutto per spronare il governo a un maggiore realismo (e qui l’insoddisfazione, chiamiamola così, verso l’operato di Giuseppe Conte è stata evidente).

In realtà i discorsi di Renzi ma anche di Pierferdinando Casini e, con toni e finalità diversi, persino di Matteo Salvini, hanno sbattuto in faccia al presidente del Consiglio un problema non da poco, e cioè il rischio forte che l’Italia possa sì vincere il morbo ma poi soccombere, e presto, dinanzi alla penuria economica.

Tradotto in termini politici, è come se avessimo da una parte i combattenti del partito contian-democratico, e dall’altra chi vorrebbe già ora guardare più in là iniziando da subito a mettere soldi in quantità straordinaria: una richiesta avanzata da giorni in modo tranchant dalla destra e appoggiata da Italia Viva soprattutto ora che è apparso il gran richiamo di Mario Draghi con l’articolo sul Financial Times.

Nel dibattito al Senato un po’ tutti lo hanno citato, compreso il presidente del Consiglio che ovviamente non vuole regalare Super-Mario alla destra (e sarebbe davvero un paradosso clamoroso se ora l’ex capo della Banca centrale europea diventasse l’eroe dei sovranisti). Infatti poi il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha sposato le sue indicazioni, e magari nel decreto di aprile si arriverà più vicino ai 30 miliardi di euro rispetto ai 25 previsti in un primo momento.

Ma è impossibile sfuggire alla sensazione che, dopo il suo articolo, Draghi sia di fatto entrato nell’arena, si vedrà se come “regista europeo” del mega-piano Marshall che (speriamo) verrà, o come “premier della ricostruzione italiana”. Il premier attuale, Conte, vorrebbe restare sul qui e ora, avendo pure ottime ragioni dalla sua, e in questo senso è stato “costretto” a fare al Senato quello che non aveva fatto il giorno prima alla Camera, cioè porsi il problema del coinvolgimento delle opposizioni che poi è anche un modo per riacciuffare un Renzi sempre più scalpitante.

(da www.linchiesta.it - 27 marzo 2020)

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