logo Fucinaidee

Le elezioni ombra e la fine della gloriosa epoca delle libertà globali

di Paul Berman

Mi hanno chiesto di commentare occasionalmente le elezioni irradiando una luce di speranza, e ho accettato di farlo. Ma anziché speranza, vorrei irradiare un’ombra: un’era grandiosa, tragica e magnifica delle questioni internazionali sta arrivando alla fine. Tutti lo possono vedere. Dovrebbe essere argomento di discussione in tutte le campagne elettorali, ma non tutti concordano sulla descrizione stessa di questa era che si va a chiudere, e su quale significato attribuire alla sua eclissi. In ogni caso, rimanere senza parole è la reazione più comune.

Domenica scorsa Michael Bloomberg ha rievocato, nelle frasi che ha pronunciato a Norfolk, in Virginia, le origini di questa epoca. E questo gli è stato utile. Ha ricordato che, nell’estate del 1941, in un momento in cui la Guerra Mondiale stava andando male, se non peggio, Franklin D. Roosevelt incontrò Winston Churchill su una nave della marina al largo della costa del Newfoundland. L’America manteneva una posizione palesemente neutrale. Ma Roosevelt e Churchill condividevano l’aspettativa che, nel giro di poco, (nel dicembre di quell’anno, come poi avvenne) l’America avrebbe preso il suo posto tra i combattenti. L’intervento americano avrebbe, come era probabile, spostato l’equilibrio della guerra. Roosevelt e Churchill colsero l’occasione per stabilire una questione di principio.

Si trattava degli obiettivi bellici, quelli presentati nel documento che divenne poi celebre come “Carta Atlantica”. Bloomberg, nel suo resoconto degli eventi, ha abbellito un pochino i fatti. Ha incorporato nella carta anche un discorso che Roosevelt aveva fatto poco tempo prima, dove scandiva le “Quattro Libertà”. Che erano: libertà di parola, libertà di culto, libertà dalla necessità e libertà dalla paura: solo due di queste, cioè la libertà dalla necessità e quella dalla paura sono finite nella Carta. In ogni caso, la stessa Carta atlantica stabilì che una cosa chiamata “libertà” fosse un obiettivo da raggiungere. Bloomberg non si è sbagliato di tanto. E la definizione di libertà come requisito costituì un evento fondamentale nella storia del mondo.

Fu anche un evento americano, visto che, dal 1776 in poi, la libertà è stata per tradizione un obiettivo di guerra americano – libertà in una versione o nell’altra, comprese quelle più illusorie. Ma l’America non era mai stata, prima di allora, una potenza mondiale. O, come nella Prima Guerra Mondiale, non sapeva come comportarsi da potenza. Ma nel 1941 le cose erano diverse. Era chiaro che gli Stati Uniti fossero in grado di estendere il proprio dominio militare su gran parte della Terra, e questo lasciava immaginare che fossero anche in grado, dopo le ostilità, di intervenire su alcune di queste aree, manipolandole per renderle congeniali all’antico obiettivo. Queste erano le speranze. La Carta Atlantica le ha messe in chiaro. Erano speranze che equivalevano a un appello per una fase nuova, e rivoluzionaria, della civilizzazione del mondo, pacifica e per certi versi liberale.

Anche nel 1941, del resto, vennero fatti alcuni sforzi per costruire istituzioni adatte a un futuro pacifico e liberale, a cominciare dalla creazione delle Nazioni Unite. Cose cioè che mettevano in risalto la portata universale di queste ambizioni. Per quanto riguarda le Nazioni Unite ci fu troppa ingenuità. Ma le successive creazioni del dopoguerra furono invece progettate su basi realistiche. La Nato, che ha cominciato a esistere nel 1949, ha garantito la pace in Europa e ha anticipato la federazione politica europea. Gli accordi economici e le organizzazioni del dopoguerra sono stati i migliori alleati della Nato per rendere stabile la pace e porre ulteriori fondamenta per una federazione europea. Mentre le organizzazioni economiche che hanno stabilizzato un ciclo economico fatto di espansioni e frenate hanno reso più semplice il commercio internazionale e, così facendo, hanno creato le circostanze per la produzione di ricchezza.

Lo smantellamento degli imperi dell’Europa Occidentale nelle altre aree del mondo è stata la conseguenza logica dei punti della Carta Atlantica stessa, visto che prevedeva l’auto-determinazione delle nazioni (sebbene Churchill non avesse mai inteso l’auto-determinazione come la scomparsa dell’Impero britannico). E lo stesso è stato per la decolonizzazione, visto che le potenze europee, ormai unite alla Nato, non avevano più la necessità di armarsi l’una contro l’altra mantenendo colonie in zone così lontane. E così è successo.

Da questi sviluppi, insomma, sono arrivate ondate di libertà: la distruzione delle gerarchie razziali stabilite per legge, insieme alla rivolta contro la tradizione culturale delle idee razziste; e la distruzione delle gerarchie di genere, stabilite per legge; e in generale, la diffidenza nei confronti delle gerarchie culturali; la democratizzazione delle culture. Queste ondate liberatorie sono fluite, dopo qualche decennio, verso est, in direzione dell’Unione Sovietica, il cui stesso ignominioso impero è giunto al collasso. E poi verso altre parti del mondo. Le ondate di liberazione sono riuscite a filtrare anche nelle terre arabe e islamiche, anche solo in rivoletti insufficienti, accompagnate da terribili movimenti di risacca.

Oggi i primi segnali di un ritiro su larga scala – i primi in 75 anni – sono diventati non solo visibili ma, con la Brexit, anche ufficiali. Dalla Guerra Mondiale fino alla fine dello scorso gennaio, proprio adesso, l’unione federale dell’Europa democratica non aveva fatto altro che crescere. Ma Brexit significa restringimento, non solo in campo economico. Churchill nel 1946 aveva invocato gli “Stati Uniti d’Europa”, ma proprio i suoi Tory hanno da poco mostrato al mondo che la libertà, nella sua versione liberale e britannica, sarà considerata da adesso in avanti come una idiosincrasia in scala ridotta delle isole britanniche (se proprio).

L’Unione Europea riuscirà a procedere, con qualche difficoltà, senza il Regno Unito, ma nessuno ricorda che, fino a poco tempo fa, appariva come un enorme faro, che illuminava come in futuro il mondo intero fosse destinato a federarsi sotto l’egida di una devozione condivisa per la libertà e la ricchezza della democrazia, e l’abbondanza della varietà delle culture.

Anche il ritiro americano ha, allo stesso modo, preso una sua forma ufficiale. Fino ad adesso, sembrava concepibile – anche solo in linea di principio – che i leader Repubblicani di sani principi avrebbero, in qualche modo, preso coscienza della follia dei loro errori del 2016 e avrebbero colto l’opportunità per porvi rimedio. Ma questi leader di sani principi, nelle loro decisioni al Senato, hanno scelto altrimenti. Hanno perfino surclassato i Tory inglesi. Dopo tutto, la America First di Donald Trump è una consapevole risurrezione degli slogan anti-Roosevelt, anti-atlantisti e anti-liberal dell’inizio degli anni ’40 – un America First lanciato contro l’idea stessa che la devozione altruistica per la libertà democratica, sia in casa sia fuori, avrebbe dovuto diventare la causa dell’America.

O forse qualcuno pensa ancora che Trump scelga i suoi slogan nella più gaia ignoranza delle loro connotazioni storiche? La sua astuzia non dovrebbe più essere in discussione, ormai. Inoltre, lui e Bloomberg hanno una cosa in comune, cioè il fatto di essere il frutto di una generazione sufficientemente anziana da ricordare, dai tempi dell’infanzia, i motti e gli slogan dei primi anni ’40. E se Bloomberg ha colto l’occasione per riflettere sulle Quattro Libertà e la Carta Atlantica, Trump ha capito che rimettendo America First al centro del panorama politico, ha tracciato una linea nera sia sulle libertà che sugli atti costitutivi.

La cancellazione della Carta Atlantica era il senso stesso, proprio adesso, del processo di impeachment: i crimini e i misfatti di Trump consistono principalmente in un attacco alla politica di solidarietà americana. Ma, in ogni modo, il processo non ha suscitato una discussione seria sulle sue implicazioni più profonde: cioè se sia mai stato giusto per l’America pensare a se stessa in termini di altruismo, in opposizione ai calcoli mercantilistici impliciti in First. Il deputato Adam Schiff, in una delle arringhe conclusive del processo, ha lanciato qualche allusione a questo genere di questioni. Lo stesso Schiff che, a mio giudizio, oggi è il più grande oratore americano. Ma la fine di un’era della storia mondiale non è stato il suo argomento principale in nessuna fase dell’impeachment, né il suo né quello di nessun altro. E questi sviluppi non compaiono neanche nella campagna elettorale, anche se, da un momento all’altro, Bloomberg o qualcun altro potranno arrivare a sfiorarli, con toni stupiti o desolati.

No. Ciò che una volta era immenso, cioè la nozione di un destino glorioso per gli ideali democratici nel mondo, portati avanti dai Paesi democratici, si è quasi del tutto dissolto. Oggi è diventato imbarazzante perfino parlarne. La sinistra politica, nella sua grande confusione, è affondata in una sorta di isolazionismo che si autodefinisce idealistico, mentre la destra politica è affondata in una sorta di isolazionismo che si definisce anti-idealistico. E il sole è tramontato. Shadow Inc è il nome del servizio di sviluppo di app del Partito Democratico, e Shadow Inc. potrebbe anche essere il nome delle elezioni 2020: un evento crepuscolare, tetro, perso nelle tenebre di ciò che oggi può essere a stento ricordato.

(da www.linchiesta.it - 19 febbraio 2020
Questo articolo è uscito in inglese su Tablet magazine)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina