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Perché serve il Meccanismo europeo di stabilità

di Pietro Reichlin

Il Meccanismo europeo di stabilità permette di erogare prestiti a paesi che non riescono a trovare fondi sul mercato. Rende dunque poco probabile il ripetersi della crisi dei debiti sovrani e delle banche che abbiamo vissuto nel 2010-2012.

La questione della condizionalità

Alla fine del 2019 Micromega ha pubblicato un documento contro il Meccanismo europeo di stabilità firmato da trentadue economisti. Nel frattempo, la polemica politica sul tema si è placata, ma vale la pena tornare sui contenuti dell’appello che, a mio parere, contiene affermazioni di dubbia validità e soprattutto non risponde alla domanda più importante: serve o non serve un meccanismo di salvataggio e prevenzione contro le crisi finanziarie sistemiche nell’Eurozona?

Una buona parte del documento dei trentadue economisti lamenta il fatto che il credito ai paesi che violano le regole di disciplina fiscale sia soggetto a “condizionalità”. In verità, la condizionalità è presente in tutte le istituzioni pubbliche che soccorrono paesi che perdono accesso ai mercati e anche gli stati federali condizionano i trasferimenti a programmi di rientro dagli squilibri fiscali. In ogni caso, occorre ricordare che il Mes è un organismo che dispone di un bilancio limitato (il capitale versato dai paesi membri e le risorse che potrà raccogliere sul mercato) e mette a rischio il denaro dei contribuenti di tutti i paesi della zona euro. Se lo prestasse senza condizionalità a paesi con finanze pubbliche dissestate, dovrebbe fare affidamento su una più ampia base fiscale e ciò richiederebbe un grado di integrazione politica che in Europa non esiste.

Secondo gli estensori del documento, “il solo fatto che [vi sia la possibilità di ristrutturare] costituisce agli occhi dei mercati un fattore di rischio, a fronte del quale gli investitori chiederanno interessi più elevati”. Ma quale sarebbe l’alternativa? La ristrutturazione dei debiti consente agli stati di continuare a finanziarsi presso il Mes o altri creditori evitando che ciò porti a una bancarotta futura ancora più costosa per debitori e creditori. Se il Mes fosse obbligato a finanziare gli stati con debito insostenibile senza che a questi possa essere chiesta una ristrutturazione, diverrebbe un fondo ad alto rischio e dovrebbe pagare interessi più elevati sul mercato. Non dimentichiamo che alcune nostre banche locali si sono rivelate super-rischiose proprio perché, tra il 2007 e il 2014, hanno continuato a elargire prestiti a imprese e famiglie che non avevano la possibilità di pagare le rate dei mutui. Questa prassi ha messo nei guai le banche e non ha salvato i debitori. Il default della Grecia è stato così costoso per tutti, soprattutto per i greci, perché le autorità europee hanno atteso troppo tempo prima di accordarsi su una ristrutturazione del debito che appariva necessaria già nel 2011.

Il ruolo della Bce e le politiche di austerità

I trentadue economisti riconoscono che il Mes è stato istituito per fungere da “prestatore di ultima istanza, un ruolo che in ogni stato è svolto dalla banca centrale”, ma aggiungono che questo ruolo “è stato vietato” alla Banca centrale europea. Alla luce di quanto fatto da Mario Draghi durante il suo mandato (con i vari programmi di acquisto di titoli sul mercato e i prestiti a lunga scadenza alle banche), è difficile negare che la Bce abbia svolto pienamente il ruolo di prestatore di ultima istanza. Il Mes potrà alimentare il fondo di risoluzione delle crisi bancarie rafforzando e ampliando questa stessa funzione. Tuttavia, anche chi ritiene che la politica monetaria non sia stata sufficientemente espansiva, dovrebbe rallegrarsi del fatto che il Mes possa svolgere (anche se limitatamente) una funzione che la Bce non avrebbe saputo o voluto mettere in atto.

I trentadue economisti affermano che il Mes si caratterizza come “un organismo assolutamente coerente con l’impostazione che ha prevalso nell’Unione”, cioè le “politiche di austerità”. Ma queste politiche sono decise dai governi europei, non dal Mes, che invece rende disponibile una linea di credito priva di condizionalità per i paesi che soddisfano i parametri di disciplina fiscale, ma anche una linea di credito per chi non li rispetta. Al di là delle considerazioni sulla previsione o meno di condizionalità, si deve anche aggiungere che la disciplina fiscale è basata su parametri flessibili e sensibili al ciclo economico e, quindi, non necessariamente recessivi. Ma anche se il Mes adottasse condizioni troppo severe per la concessione del credito, ciò non è sufficiente per considerarlo inutile o dannoso.

In conclusione, a me sembra che l’appello dei trentadue economisti sia, più che altro, un documento contro l’austerità e a favore di un bilancio pubblico sovra-nazionale che consenta di fare politiche economiche più espansive. Queste posizioni sono del tutto legittime, ma ci portano completamente fuori tema. Le questioni dell’austerità e del bilancio pubblico federale sono frutto della negoziazione tra gli stati, che rispecchia divergenze di interessi tra i paesi europei. L’obiettivo di una maggiore condivisione dei rischi a livello europeo è perfettamente condivisibile, ma il Mes serve proprio perché quell’obiettivo non è stato ancora raggiunto. Oggi abbiamo in cantiere un organismo che serve a rendere poco probabile la ripetizione della crisi dei debiti sovrani e delle banche che abbiamo vissuto nel 2010-2012. Come mostrato da me e Valentina Milano su questo sito, il Mes ha contribuito (insieme alle politiche monetarie) a spegnere la speculazione, a incrementare il grado di condivisione dei rischi nell’Eurozona e a stabilizzare l’Unione monetaria. Chi dice che il Mes è inutile dovrebbe spiegare perché non è utile avere un organismo pubblico che può prestare soldi a paesi che non riescono a trovare fondi sul mercato e, in tal modo, arrestare quelle ondate di panico che hanno determinato un rialzo dei tassi d’interesse sui titoli sovrani dei paesi non direttamente responsabili della crisi.

(da www.lavoce.info - 7 gennaio 2020)

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