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Commento introduttivo

Di per sè la riduzione del numero dei parlamentari non è né buona né cattiva: tutto dipende dal contesto e dalla temperie culturale in cui si inserisce.
Ebbene, per una molteplicità di ragioni, ben espresse nel testo di Carlo Nordio che propongo ai lettori di Fucinaidee, la riduzione votata ieri dalla nostra Camera dei Deputati è un pessimo segnale che attesta, qualora ancora ve ne fosse bisogno, lo stato veramente pessimo, al limite dell'indecenza, del senso di dignità della nostra attuale classe politica, purtroppo di quella come si suol dire "dei piani alti", che dovrebbe sentire il bisogno di dare anche il buon esempio. E attenzione, affermo ciò senza nulla concedere a visioni antipolitiche, oggi tanto di moda quanto deleterie. Anzi, affermo ciò con l'amarezza e la consapevolezza di chi sa benissimo che solo una politica "alta" potrà governare i processi di una società complessa qual è quella che viviamo.

Parto proprio dalla considerazione che la votazione di ieri è uno scivolone verso una visione antipolitica, che costituisce il retroterra culturale di chi, vedi il M5S, ha imposto questa decisione. E se non appare quindi strano l'atteggiamento dei grillini, certo non si spiega, se non con pericolose manovre tattiche, l'atteggiamento prono mostrato dal Pd, peraltro ormai reiteratamente, a partire dalla fase di incubazione di questo governo. E' sconcertante che il Pd, partito di solida cultura politica e parlamentare non abbia capito, il senso di uno sbandamento così gravido di conseguenze, certo per il Paese, ma anche per se stesso, posto che una parte degli elettori lo ha votato non tanto per le sue capacità di governo, non certamente brillanti, quanto per la circostanza che ancora poteva costituire un baluardo verso il dilagare dell'antipolitica e dell'antiparlamentarismo.

Appaiono spericolate capriole le posizioni di coloro, in questo partito, che sperano nella bocciatura di un improbabile referendum di cui già si sarebbero attivati per l'avvio della procedura prevista per la sua indizione.
Aldilà della situazione, forse imprevista, del voto favorevole del centrodestra, che complica tremendamente la procedura di indizione del referendum, (non si troveranno né il numero di parlamentari né quello dei consigli regionali necessari), ammesso che si trovino le cinquecentomila firme di richiedenti e che il referendum possa avere luogo, non capisco proprio come si possa immaginare che gli elettori vadano a votare per affossare un provvedimento che del dilagante clima di antipolitica è considerato un vessillo.

Si dice che c'è la promessa della revisione della Legge Elettorale e di altre riforme finalizzate all'equilibrio di pesi-contrappesi. In politica il "pagherò" è sempre molto incerto. Un amico mi diceva sempre che in politica "le promesse si mantengono se non se ne può fare a meno". E a questo punto il luogo di osservazione sarà non quello del Pd ma quello del m5S. Saranno loro a decidere se potranno o non potranno fare a meno di mantenere le promesse.

Paese veramente strano il nostro. Dopo l'esito referendario del 2016 che ha seppellito una riforma complessiva che prevedeva anche la riduzione del numero dei parlamentari, inserito però in una cornice di modifiche dell'architettura istituzionale dello Stato, ora ci troviamo di fronte ad una decisione che non serve a rimuovere le ragioni delle nostre debolezze istituzionali, non serve per ragioni finanziarie, non serve per migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'attività parlamentare.

In un Paese che avrebbe bisogno di una vera "democrazia governante" quale condizione necessaria - anche se non sufficiente - per provare a reimmettersi in un cammino di crescita, anziché affrontare i veri nodi della governabilità si cede - forse per salvare la poltrona - a quel populismo che a parole si dice di voler combattere.
Molti di coloro che ieri hanno votato la legge, li abbiamo visti nel fronte del "No" al referendum del 2016, in prima fila a strillare contro il pericolo per la democrazia che avrebbe costituito il rafforzamento dell'esecutivo.
Ebbene, a questi, che di storia evidentemente sanno poco, sarà bene ricordare che sono i governi deboli che costituiscono il terreno di coltura delle dittature, così come è l'antiparlamentarismo che va ad alimentare tale terreno.
E noi italiani dovremmo saperlo bene, visto che l'antiparlamentarismo non è certo nuovo nella nostra storia unitaria. Basti leggere ciò che del Parlamento si diceva e scriveva negli ultimi decenni del XIX secolo, bastano alcuni nomi: Alfredo Oriani, Vilfredo Pareto, Gabriele d'Annunzio. Così per capire a cosa portano i governi deboli basta guardare, le vicende che hanno preparato l'ascesa del fascismo e del nazismo.

Che un tale orizzonte sia sconosciuto ai grillini non stupisce certamente. Stupisce invece l'arrendevolezza del Pd, su un terreno che avrebbe dovuto presidiare con chiarezza e con ogni mezzo, costi quel che costi.
Anche in politica ci sono delle situazioni in cui è la chiarezza che paga!!!

Paolo Razzuoli

La politica per salvarsi vota assieme agli anti-casta

di Carlo Nordio

Ieri il Movimento 5 stelle ha imposto ai suoi riluttanti alleati il gravoso e umiliante pedaggio della riduzione dei parlamentari. Gravoso, perché ne ridurrà la rappresentatività e persino le entrate (è noto che i parlamentari contribuiscono con parte degli emolumenti al finanziamento del loro partito). Ed umiliante perché li ha costretti a ripudiare quell’indirizzo conservatore che si era manifestato nelle tre precedenti votazioni contrarie, e, se vogliamo esser franchi, nella stessa occasione referendaria voluta da Renzi, affossata anche da buona parte dei suoi compagni.

È dunque l’ennesimo boccone amaro che il Pd ha dovuto ingoiare per evitare l’incubo salviniano: voleva la discontinuità, e si è ritrovato Conte e Di Maio; voleva il rinnovo dei gruppi parlamentari, e si è ritrovato l’ipoteca renziana; voleva l’unità, e si è ritrovato la scissione. Ora assiste alla modifica della “Costituzione più bella del mondo” per un ostinato capriccio di Di Maio di cui nessuno capisce la ragione, perché i soldi risparmiati saranno pochi, e i problemi sollevati saranno molti. Con l’aggiunta del lugubre messaggio neanche tanto subliminale contenuto in questa bella pensata: che il Parlamento è una banda di sfaticati, e che il futuro della democrazia risiede nell’immediatezza delle consultazioni telematiche.

Il pastrocchio di ieri dimostra che anche il tacchino, talvolta, può prepararsi il pranzo di Natale.

È quasi incomprensibile che un partito di solida tradizione culturale e parlamentare come il Pd possa piegarsi così supinamente al populismo antipolitico di un movimento unito solo da una arcigna diffidenza verso ogni forma di democrazia rappresentativa, da un giustizialismo elementare, e da un dilettantesco misogeneismo verso ogni apertura alla modernità, vista come l’anticamera di un’inevitabile corruzione. Ed è ancor più incomprensibile che questa acquiescenza si manifesti nel momento di massima crisi dei pentastellati, lacerati dalle contraddizioni interne e dai plurimi voltafaccia del loro fondatore, che fino a ieri oltraggiava governanti e giornalisti con le più vituperevoli e sboccate contumelie.

Ma forse una spiegazione c’è, o almeno è l’unica possibile: il Pd, ossessionato non solo da una possibile vittoria di Salvini, ma soprattutto da un nuovo parlamento che potrebbe eleggere un Presidente di centrodestra, è disposto a tutto per blindare questa legislatura. E il taglio dei parlamentari, sembrerebbe garantirne la continuità, per la necessità di adeguarvi la modifica delle circoscrizioni e di elaborare una nuova legge elettorale.

E’ tuttavia un calcolo pericoloso, perché non tiene conto delle insolubili contraddizioni che si sono create proprio con il taglio di ieri. Perché ieri si è cambiata la Costituzione in uno dei suoi aspetti fondamentali. Questa modifica - si pensava - sarebbe entrata in vigore tra un paio d’anni, perché nel frattempo sarebbe stata sottoposta al vaglio del referendum previsto dall’art 138 quando non è raggiunto il quorum dei due terzi. Senonché ieri è intervenuto un fatto imprevisto: il centrodestra ha votato anch’esso a favore della riduzione. Non solo ha fatto superare il quorum dei due terzi (circostanza ininfluente giuridicamente ma politicamente significativa) ma ha così manifestato l’intenzione di voler evitare il referendum.

Quindi di qui a qualche mese la nuova Legge Costituzionale entrerà in vigore. Se nel frattempo sarà stata fatta la riforma elettorale, si dovrà ovviamente votare con le nuove regole. Se invece non sarà stato fatto niente, qualcuno dovrà pur domandarsi se il Parlamento possa ancora legiferare, visto che sarà delegittimato costituzionalmente dallo “ius superveniens”, e politicamente dalla sua stessa volontà autodemolitrice. Forse è per questo che il centrodestra si è così frettolosamente accodato alla maggioranza, confidando nelle inevitabili elezioni o, in alternativa, nel caos istituzionale e nel collasso del governo. Di sicuro, intanto, il voto di ieri allontana ancora per qualche mese le urne dando sollievo al larghissimo partito del non voto. I prossimi mesi ci diranno chi, in questo infernale pasticcio, abbia sbagliato i suoi calcoli. Probabilmente, in questa seconda metà dell’anno, li hanno sbagliati tutti.

(da Il Messaggero - 9 settembre 2019)

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