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Gentiloni commissario? Ecco perché non è un trionfo (e in Europa rimane tutto così com’è)

di Andrea Fioravanti

La trama della prossima commissione europea guidata da Ursula von der Leyen sarà come quella de Il Gattopardo: tutto cambierà per non cambiare mai. La neo presidente ha presentato oggi (10 settembre) la sua squadra di 27 commissari. Tredici donne, un record, portafogli nuovi da baci perugina “proteggere lo stile di vita europeo”, e alcune nomine mirate per mandare messaggi politici al Continente. Von der Leyen promette di rimanere vicina ai cittadini europei, pretende che tutti i commissari visitino «tutti gli stati membri nella prima metà dei nostri mandati», e stravolge, in apparenza la composizione della commissione Juncker. Ma sono le conferme a far capire che non è iniziata per l’Italia l’epoca dei rubinetti aperti. Perché per un Paolo Gentiloni che diventa commissario degli Affari europei, c’è un Valdis Dombrovskis che supervisionerà il suo lavoro come vicepresidente esecutivo per l'economia. Tradotto: il rigorista lettone marcherà a uomo l’ex presidente del Consiglio italiano. Bruxelles potrà dare tutta la flessibilità prevista dai trattati ma una riforma dell’eurozona che cambi il Patto di Stabilità nemmeno per sogno. Sono questi i paletti entro i quali si dovrà muovere Gentiloni. E il governo giallorosso che sperava nel cambiamento dell’Eurozona dovrà fare come sempre: trattare centesimo su centesimo. Per capire il clima segnatevi questa frase dell'eurodeputato del Ppe Markus Ferber, membro della commissione Affari economici del Parlamento europeo: «Durante la commissione Juncker, il patto di stabilità e crescita ha perso molta credibilità. Il fatto che ora un italiano sia incaricato della sorveglianza fiscale del disordine di bilancio dell'Italia è tutt'altro che ideale. Paolo Gentiloni deve dimostrare di essere risoluto quando si tratta di regole fiscali». Capito l'antifona?

E dire che nelle ultime settimane c’era stato un lento movimento di persuasione per modificare le regole stringenti europee sui conti pubblici. Ma ora è destinato a schiantarsi contro il muro della realpolitik. Anche la più politica delle Commissioni non può non tenere conto dei rapporti di forza. Lo scoop del Financial Times che riportava l’esistenza di un piano tra le mani dei funzionari europei per semplificare le regole di bilancio della zona euro e allentare i vincoli di bilancio aveva fatto ben sperare. Dopo la smentita della portavoce della Commissione, ha rincarato la dose la futura presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde che ha chiesto una riforma delle regole di bilancio per evitare la recessione. Tre giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai partecipanti del Forum Ambrosetti per cambiare il Patto di Stabilità e crescita e investire in infrastrutture, innovazione, ricerca ed educazione. Un appello a cui ha risposto subito il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire: «Mattarella ha ragione».

Ed ecco che la nomina agli Affari economici di Paolo Gentiloni poteva essere l’ultimo tassello di questa alleanza franco-tedesca per cambiare finalmente l’eurozona, con l’appoggio scontato degli Stati del Sud Europa. Il piano era approfittare del calo del Pil tedesco. Secondo Parigi e Roma, la Germania avrebbe bisogno di fare deficit per far ripartire l’economia. E invece in 48 ore è cambiato tutto, o forse niente. Il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha detto che la Germania continuerà a rispettare il pareggio di bilancio fino al 2023, e il bilancio del 2020 non aumenterà la spesa o l'onere del debito. Tradotto: zero deficit. E se la Germania non fa deficit cade il presupposto per cambiare tutto.
Anche il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha ricordato all’Italia che i sovranisti europei non fanno gli interessi dei sovranisti italiani: «Respingiamo rigorosamente un ammorbidimento delle regole di Maastricht come richiesto dall’Italia. Non può diventare una seconda Grecia. Non siamo pronti a pagare i debiti dell'Italia!».
Una porta in faccia a chi spera nel cambiamento dell’eurozona. I Paesi del Centro Nord europa non cambiano idea. Per rincarare la dose Kurz ha detto che se proprio si dovranno modificare i trattati europei allora bisognerà inserire: «Sanzioni in caso di violazione delle norme. Il mancato rispetto delle norme sul debito deve comportare automaticamente sanzioni».

Una tragedia? Non proprio. Nella commissione “gattopardo” von der Leyen, si farà tutto come sempre. Perché la trattativa non è mai stata tecnica, ma politica. il problema non sono mai stati i due vincoli previsti dal Patto di Bilancio: ovvero non fare più del 3% di deficit rispetto al Pil o non superare il 60% del debito pubblico. Anche perché l’Italia col 134% del Pil è fuori con l’accuso da anni. Il vero vincolo è il disavanzo strutturale. Tradotto: le entrate meno le uscite tolte le spese temporanee e una tantum. Con il Fiscal compact deve rimanere a zero. La regolina da tenere a mente è questa: quando un Paese cresce il deficit strutturale è superiore a quello reale, ed è inferiore quando c’è una recessione. Quindi è strategico capire quanto ogni volta l’Italia sarà lontana dal suo Pil effettivo. In questo limbo si giocherà la trattativa tra Bruxelles e Roma fin quando non ci sarà una riforma.

(da www.linchiesta.it - 10 settembre 2019)

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