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Alcuni pensieri attorno al Conte bis

di Paolo Razzuoli

Nello scorso gennaio, in un breve articolo per questo sito, ho scritto che non sarebbe stato il governo giallo-verde a predisporre la manovra per il 2020. Non pensavo fosse una previsione tanto complicata: a mio avviso vi erano tanti segnali che portavano a questa comclusione.
Ma nulla ho detto circa le circostanze che avrebbero segnato la caduta del governo: ebbene, non avrei certo immaginato che le cose avessero preso la piega su cui si sono poi incanalate.

Mai avrei pensato ad una simile giravolta trasformista capace di portare all'alleanza Pd-M5S, illudendomi che nella politica italiana possa esserci ancora qualche idealità e una dignità da tutelare.
Non avrei certo pensato che Giuseppe Conte possedesse una così spiccata vocazione al trasformismo, tale da far apparire Agostino Depretis, dalla storia patria indicato quale campione del trasformismo, come un ingenuo scolaretto di scuola elementare.
Ed ancora, non avrei certo immaginato un così clamoroso autogol di Salvini: un autogol che è riuscito a compiere quella specie di miracolo, come viene da più parti visto l'accordo fra Pd e M5S.

Ma insomma ciò che è accaduto non è poi così strano, appunto nella storia di un paese come il nostro in cui il trasformismo è di casa, sin dagli albori della sua vita unitaria.
E aggiungo non è assolutamente strano in un momento in cui, al di là della narrazione pubblica, la conservazione di certe posizioni assume una valenza fortissima quale elemento di condizionamento delle scelte.
In questa prospettiva, due punti di osservazione mi sono apparsi sempre molto chiari. Uno è quello di Renzi, che ora ha la maggioranza nei gruppi parlamentari del suo partito, che perderebbe con nuove elezioni, qualsiasi ne sia l'esito. L'altro è quello dei grillini, che con nuove elezioni sarebbero sicuramente ridimensionati. Grillini che, al di là del loro passato, hanno provato l'ebrezza del governo; e si sa, nell'esercizio di certi ruoli ci si prova gusto, soprattutto quando sono arrivati senza alcuna fatica ed alcun serio tirocinio, come nel caso del M5S.
Specularmente, il Pd, abituato al governo, è difficile immaginarlo acconciato all'opposizione, rassegnato ai morsi della fame di un potere che gli è ovviamente necessario per cercare di risalire la china.
E poco importa se sino a qualche settimana fa si sarebbero volentieri sputati in faccia. Sono dettagli insignificanti, in un Paese che ha una memoria politica collettiva pari più o meno a quella di un criceto.

Insomma, questioncine non proprio di poco conto, e che qualsiasi politico che non abbia la testa proprio "de coccio", come dicono a Roma, non può ignorare, anche se acciecato dal delirio di onnipotenza.
Qualcuno sostiene che Salvini avrebbe dovuto innescare la crisi al ridosso delle elezioni europee: mi permetto di obiettare che a mio modesto modo di vedere l'esito sarebbe stato esattamente lo stesso, posto che le vere ragioni che hanno consentito la giravolta già esistevano. Senza pensare di insegnare niente a nessuno, al posto di Salvini avrei fatto di tutto per continuare un'esperienza in cui poteva far pesare un successo peraltro ottenuto in elezioni diverse da quelle per il rinnovo del Parlamento nazionale, potendo, nel contempo, utilizzare la debolezza dei suoi alleati grillini, che delle elezioni anticipate avevano, ed ancora hanno, una paura terribile.

Non si può inoltre dimenticare che lo stesso Salvini ha dato una bella lezione di trasformismo che, a meno che uno non sia proprio "de coccio" impara alla svelta. Infatti Salvini ha un bel da urlare al tradimento quando lui stesso - in barba alla piattaforma politica con cui si è presentato alle elezioni del marzo 2018 - ha fatto una clamorosa giravolta trasformista alleandosi con i grillini. E si sa: a volte va bene mentre altre va male. Ma certo, apparentemente ha giocato male, a meno che non abbiano ragione coloro che sostengono che la verità è che si è voluto sfilare, nella prospettiva di non riuscire a levare le mani dalla manovra. Può darsi, ma mi sembra improbabile. Certo prima o poi le elezioni ci saranno e se, come è a mio avviso possibile (anzi probabile), il nuovo governo dovesse fallire, potrebbe raccogliere i frutti di tale fallimento. Staremo a vedere.

Ma, andando oltre i ragionamenti sulla crisi del governo precedente, veniamo a quelli sul nuovo governo, che nasce in un momento di estrema complessità della vita del Paese, e che potrebbe avere conseguenze fondamentali sulla vita dei due sottoscrittori dell'accordo.
Partiamo da qui. Se per i Cinque Stelle un fallimento significherà un rapido schianto dopo un’esperienza di politica e di potere molto breve - cinque anni o poco più - per i Democratici un passo falso segnerà con ogni probabilità la fine di una tradizione quasi centenaria. Insomma, il Pd si trova a dover sostenere un test definitivo per capire se la sinistra italiana è all’altezza dei tempi nuovi, se è capace di individuarne le priorità e le urgenze, oppure se le sue energie sono esaurite.
Nel Pd certo è presente una cultura liberal-riformista, ma dopo una stagione in cui è sembrata maggioritaria, oggi è soccombente, rispetto all'ala statalista, giustizialista e assistenzialista.
Il rischio è quindi che, in una logica movimentista e di governo, peraltro già vista, il Pd sposti il suo baricentro verso sinistra, con l'intento di recuperare quei voti (di sinistra), che gli sono sfuggiti e confluiti nei grillini.
Ma anche il terreno del M5s è scivoloso, perché non sarà facile tenere insieme i molteplici spezzoni del movimento, alcuni di sinistra altri di destra, certo sinora tenuti assieme dalla logica antisistema, ma difficilmente sintetizzabili in una prospettiva di governo, ora che la retorica No-Tav, No-Vax, No-Tap è diventata inutile.

Non si possono inoltre tacere fatti inquietanti, come il voto sulla piattaforma Rousseau: un fatto eversivo (non è esagerato) per le istituzioni di democrazia rappresentativa, e che un alleato che ad esse si ispira non avrebbe dovuto mai accettare, se sorretto da adeguato spessore di consapevolezza democratica. Non ci si può infatti abituare a tutto e non si possono chiudere gli occhi di fronte a determinate situazioni.
Le istituzioni di democrazia rappresentativa sono una cosa seria, conquistata a durissimo prezzo, e che nessuno può dare per scontate; anzi, in varie parti dell'Occidente, culla di queste istituzioni, sono fortemente sotto attacco.
IL voto non è un gioco; non è ammissibile che ad un ristretto gruppo di persone, tramite uno strumento privato, venga attribuito il potere di decidere su scelte riguardanti l'intera comunità nazionale. E' un pericoloso precedente, anche in relazione allo strapotere di cui sono depositari certi strumenti di uso di massa. vi immaginate cosa potrebbe succedere se Facebook o Twitter decidessero di creare un partito e di competere alle elezioni?
Ma tornando al voto sulla piattaforma dei grillini, finché rimane all'interno di un partito, passi pure; ma quando viene imposto come condizione capace di influire sulla vita di organi istituzionali, va respinto con forza, costi quel che costi.
Altro terreno delicato è quello della riduzione dei parlamentari: peraltro presente anche nella riforma costituzionale bocciata, anche con il concorso dei grillini, nel referendum del 2016. Certo, la riduzione dei parlamentari può utilmente essere una scelta all'interno di una riforma costituzionale che definisca con attenzione i pesi e contrappesi, che elimini il bicameralismo paritario, che ripensi la Legge Elettorale, che riveda i rapporti fra i livelli di governo che nei decenni sono stati ingarbugliati oltre ogni ragionevole limite. Porre il focus esclusivamente sulla riduzione dei parlamentari, è frutto però di un pensiero populista, che identifica il Parlamento come espressione di un sistema e di una casta da combattere. Insomma, si tratta di un atteggiamento che si inserisce nel solco dell'antiparlamentarismo, che anche l'Italia ha conosciuto molto bene, e che ha costituito la premessa della fine delle libertà politiche e civili.
Sono questioni che vanno maneggiate con grande oculatezza, fissando paletti e confini che nessuna circostanza può consentire di oltrepassare. La storia al riguardo potrebbe insegnarci molte cose: basterebbe conoscerla....

In verità Giuseppe Conte, nelle sue dichiarazioni programmatiche, ha fatto cenno ad un più ampio disegno di riforma costituzionale, pur lasciandolo vago nei suoi contenuti. Mi sembra un impegno in verità velleitario; comunque staremo a vedere...

Ed ora che il Conte bis è quasi nella pienezza dei suoi poteri, (la fiducia appare infatti scontata), quale potrà essere il suo orizzonte anche sulla base delle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio?
Parto da due dati a mio avviso positivi. Il primo è il recupero dell'orizzonte europeista, ed il conseguente ritorno del nostro Paese ai tavoli europei che contano. europeismo su cui non mi pare di dover troppo indugiare, giacché al riguardo ho espresso il mio pensiero in numerosi articoli.
Su un dato tuttavia desidero soffermarmi: la narrazione salviniana secondo cui questo governo sarebbe stato fatto a Bruxelles o a Berlino. E' una narrazione fuorviante e pericolosa, che mira a tracciare un solco fra noi e l'Europa. L'italia è parte dell'Europa; lo è per collocazione geografica, per la sua storia e per la sua cultura. Certo l'Europa è stata la culla delle più drammatiche tragedie belliche che hanno dilaniato l'umanità; ma l'Europa, dopo aver rischiato l'autodistruzione con la seconda guerra mondiale, è stata protagonista di un meraviglioso processo di rinascita, basato sull'integrazione. Processo certo ancora a metà, sicuramente con difetti, ma straordinario, soprattutto dove si consideri il punto di partenza. Ebbene, l'Italia di questo meraviglioso sogno è stata fondatrice e protagonista. E questo sogno non va abbandonato, bensì custodito e rilanciato con forza. E' in questo sogno che le nuove generazioni possono sperare di trovare un futuro. E che l'Italia si sia nuovamente data un governo "integrazionista" è sicuramente un bene. Ma la lezione sarà bene che l'apprendono anche le forze europeiste che, non raramente, hanno in questi anni cercato di scaricare la colpa delle loro inadeguatezze sulla governance europea. Quante volte abbiamo sentito dire "ce lo chiede l'Europa"; un mantra che inesorabilmente mina la fiducia degli elettori nell'UE, portando acqua al mulino dei sovranisti, quindi massimizzando i danni.

L'altro dato positivo è che - a mio modo di vedere - è molto meglio che la manovra per il 2020 venga scritta da questo governo anziché dal precedente. Non solo per il diverso atteggiamento degli organi europei (delresto conseguente alla modifica del nostro nei loro confronti), ma anche per il diverso atteggiamento dei mercati, che di norma non si muovono in modo irrazionale.
Qui però vanno smorzati alcuni eccessivi entusiasmi che ho letto e sentito. Certo l'atteggiamento della Commissione presieduta da Ursula Von Der Leyen sarà improntato ad uno spirito di comprensione/collaborazione, ma sempre nel rispetto delle regole la cui modifica non sarà certo una passeggiata.
E comunque sarebbe un errore chiedere più deficit per finanziare la spesa corrente; ben diverso è invece il tema del finanziamento dei grandi progetti.

Le mie perplessità si fanno forti quando, dall'orizzonte dei prossimi mesi, si passa ad una prospettiva di più lungo respiro, come un po' enfaticamente viene dichiarato dai protagonisti dell'accordo.
Capisco benissimo la voglia di durare, come capisco benissimo l'aspirazione a superare la scadenza della prossima elezione del presidente della Repubblica, prevista per il 2022. Mi sembra tuttavia un'ambizione eccessiva, anche in ragione della nostra debolezza politica, che ci ha dato 66 governi in circa settant'anni di storia repubblicana.
Le roboanti dichiarazioni di Zingaretti, ed in verità anche di Conte, sinceramente contrastano con i soliti contenuti programmatyici, fatti di slogan, magari anche condivisibili, ma che mancano di quella coerenza necessaria a disegnare un vero progetto di cambiamento del Paese, di cui ha bisogno per rientrare da protagonista nell'agone globale.
Al di là della premessa con cui Conte ha esordito nelle sue dichiarazioni programmatiche, anzi proprio smentendola, il programma manca di un disegno concretamente realizzabile. In sostanza propone un elenco di interventi (magari anche in astratto condivisibili), più da programma elettorale che da consapevole azione di governo.
sembra puntare più sul tema della ridistribuzione del reddito che non sulla sua produzione. Sembra fare capolino, leggendo i punti programmatici, il tema della "decrescita felice", cara ai grillini e ad una parte della sinistra, quindi terreno di incontro fra i contraenti della nuova maggioranza.
Ma al di là del pensiero sul tema, credo sia fuori discussione che per dar seguito alle indicazioni programmatiche occorrono risorse, che solo uno scatto nell'aumento della produttività potrà in qualche modo fornire. E non sarà facile, anche in ragione della crisi generale delle economie occidentali, che vede il rallentamento anche della locomotiva tedesca, e Cina e Usa impegnati nel loro duello sui dazi.
Comunque, tanto per fare un esempio, nulla si dice circa le difficoltà strutturali che frenano la nostra competitività, quali i costi burocratici, le inefficienze della Pubblica Amministrazione, l'eccessiva tassazione del lavoro. Anzi, proprio a tal proposito, noto che si parla di riduzione del costo del lavoro per dare più soldi ai lavoratori e non per abbassare il costo del lavoro per le aziende. Ebbene, non è certo questa la strada per rilanciare la competitività del nostro sistema.
Probabilmente ci sarà accordata dagli organi europei un po' più di flessibilità, ma le risorse vanno utilizzate per avere il sufficiente respiro per attivare le riforme che servono, non per continuare a finanziare un sistema da tutti riconosciuto come inefficiente, il cui collasso così potrà essere rinviato ma non eluso.
Purtroppo, penso che nei prossimi mesi riemergeranno le pulsioni populiste dei grillini, momentaneamente ob torto collo interrate come un fiume carsico, si faranno sentire gli effetti di diffidenze personali, si farà avvertire il peso della irrealizzabilità della cultura politica della sinistra radicale. E allora saranno guai.

Ma focalizzando in modo esplicito sui contenuti dell'azione di governo, penso che ci siano due temi - a cui l'opinione pubblica è particolarmente sensibile - su cui si giocherà la prossima stagione politica italiana e non solo italiana: quello economico e quello dell'immigrazione. Su questi temi si vedrà quali esiti ci lascerà l'attuale maggioranza, al pari delle altre europeiste che governano i paesi Ue. L'avanzata degli antieuropeisti sembrerebbe arrestarsi, e sarebbe irresponsabile non approfittarne.
Di fronte a questo stallo, i partiti non populisti e non sovranisti, siano essi di destra, cioè conservatori tradizionali, o socialdemocratici di sinistra, hanno una finestra di opportunità. Ma è uno spiraglio stretto da sfruttare con decisione e senza indugi. Basterebbe un errore per portare nuova benzina ai populismi/sovranismi.
Per il nostro Paese due sono i punti cruciali da affrontare per sottrarne il monopolio alla propaganda populista: l'immigrazione e la stagnazione economica. Punti la cui complessità non può sfuggire a nessuno.

Partendo dall'immigrazione, Molti italiani votano per chi promette di proteggerli da quelli che percepiscono essere i rischi dell'ondata migratoria. E' vero che molte paure si basano su informazioni errate circa l'arrivo con i barconi, oppure su esagerazioni dell'effetto dell'immigrazione sulla criminalità, dimenticandosi di tutti quegli immigrati che aiutano le nostre famiglie e la nostra economia e ristabiliscono un equilibrio generazionale.
La realtà è che l'italiano medio non è pronto a vivere in una società multietnica, almeno non lo è ancora, e queste preferenze culturali vanno tenute in conto quando si gestiscono i flussi migratori. Senza cadere nelle plateali (e inutili) sceneggiate di Salvini, il nuovo governo dovrà essere assai prudente sull'apertura dei confini, sul numero di immigrati ammessi e su quali accogliere. L'Italia infatti, e questo è solo demerito nostro, attira un pool di immigrati tra i meno istruiti e i più poveri. Dobbiamo imparare ad attrarre persone con un livello di istruzione medio più elevato.
Tanto per capirci, se il nuovo governo si limiterà all'apertura dei porti, offrirà nuove armi alla politica populista. Il tema vero è quello di immaginare e gestire una autentica politica immigratoria; e per questa non mi sembra che al momento ci siano le condizioni necessarie.

L'altro fronte di attrazione di consenso ai sovranisti è quello del lungo periodo di stagnazione economica che dura ormai da troppo tempo, collegato peraltro al tema di un modello di sviluppo che sempre più genera paure ed insicurezze. Questo assieme di fattori implica che madri e padri il cui tenore di vita oggi è, in media, molto superiore a quello dei loro genitori, hanno perso la speranza di vedere i figli star meglio di loro. Non solo. Le politiche pensionistiche e il nostro debito pubblico non fanno che trasferire risorse dai giovani di oggi e dalle generazioni future agli anziani di oggi. Problema che è aggravato dal fatto che la nostra scuola - che sta vivendo una crisi da cui non si vede come uscire - non è uno strumento capace di garantire pari opportunità.
Già ho fatto riferimento alla recessione in cui sta entrando l'Europa, aggiungo proprio nel momento in cui la politica monetaria ha quasi esaurito le sue cartucce. Se l'Italia non avesse accumulato inutilmente un debito enorme avremmo spazio per combattere la recessione con adeguate politiche fiscali espansive. Purtroppo, proprio a causa del debito, siamo sotto la spada di Damocle di uno spread che potrebbe schizzare in alto aumentando il costo del debito e quindi le tasse necessarie per ripagarlo.
Non sono problemi di facile soluzione e nessun governo degli ultimi decenni ha mostrato di saper mettere in atto politiche coraggiose per risolverli. Ma oggi potrebbe aiutarci la consapevolezza dell'urgenza: Se non la sfruttiamo, convinti che non esistono scorciatoie populiste basate su deficit pubblici o sovraniste basate sull'isolazionismo, allora populismo e sovranismo torneranno in auge. E sarà solo colpa nostra.

Ebbene, al di là della retorica, nei punti programmatici del Conte bis non vedo concretamente traccia di questa consapevolezza. Da qui la mia perplessità sulla sua capacità di riuscire ad affrontare un orizzonte di ampio respiro. Presto si potrà comunque tastare il polso dell'elettorato. Entro l'anno ci saranno le elezioni per il rinnovo del governo regionale in Umbria ed in Emilia romagna. Nella prossima primavera andranno al voto tante altre regioni. Se l'esito di queste votazioni sarà lusinghiero per l'attuale maggioranza, che potrebbe anche diventare strategica nelle piattaforme politiche regionali, il governo potrà durare. Ma se l'esito dovesse premiare l'opposizione, questa maggioranza non reggerà, e crollerà sotto i colpi delle inevitabili ripercussioni che tali esiti avranno anche sul quadro nazionale.

Infine, ma non certo ultimo di importanza, un cenno ad aspetti del quadro politico; tema da tempo rilevante in Italia, ma ancor più in questa fase di transizione, da cui - penso - si uscirà con scenari politici diversi rispetto a quelli d'ingresso.
Già ho detto della componente liberal-riformista del Pd, ora messa in minoranza. Irrilevante appare anche la componente più liberal-conservatrice, ingabbiata in un presunto centrodestra a trazione leghista. Personalmente non ho mai creduto che il blocco sociale che si riconosceva in Forza Italia, (mi riferisco alla sua epoca migliore), possa riconoscersi in un blocco sovranista e populista.
Mi pare quindi di estrema attualità il tema relativo alla rappresentanza politica di quella componente di impronta liberale, le cui divisioni sono ormai obsolete, in ragione delle mutate condizioni di contesto generale.
Il ragionamento approda quindi alla necessità di dare una rappresentanza autonoma a tale cultura politica, operazione certo molto complicata, ma che potrebbe costituire una opportunità per i troppi elettori che oggi, delusi, si astraggono dalla partecipazione al voto. Certo occorre un progetto molto chiaro e credibile, una classe dirigente che lo sappia rappresentare coerentemente e con dignità, tempi adeguati per la sua realizzazione. Ma se non si comincia mai certamente il traguardo sarà sempre lontano. E' un argomento di cui si parla tanto, ma che sinora è rimasto a livello di buone intenzioni. E' auspicabile che l'attuale evoluzione politica possa imprimere una accelerazione verso qualche concreta iniziativa.

Giuseppe Conte, nel capitolo delle sue dichiarazioni riservato alle riforme costituzionali, ha fatto esplicito riferimento alla necessità di garantire "l’accesso democratico alle formazioni minori", ed ha altresì fatto esplicito riferimento alla riforma della Legge Elettorale.
Sinora sono stato sostenitore di un impianto con forme di premio di maggioranza per favorire la governabilità. Sono stato strenuo sostenitore della riforma costituzionale proposta da Renzi e della Legge Elettorale ad essa riconducibile. Non solo sono ancora convinto della giustezza di questa posizione, ma aggiungo che la bocciatura di quella riforma è alla base di guai per il Paese con cui dovremo fare i conti per decenni.
Data la situazione attuale però, mi chiedo se non sia il caso di riflettere su un momentaneo ritorno al proporzionale, dando nuova dignità al concetto di mediazione, troppo sbrigativamente confusa con l'inciucio ed il bieco compromesso. So bene che questo approccio pone il tema delle connotazioni dei soggetti chiamati alla mediazione; è difficile immaginare una mediazione sviluppata fra partiti personalisti, privi di un serio radicamento culturale e territoriale.
Non lo so, su questo versante è necessaria una riflessione politica seria e ponderata, stando bene attenti a difendersi da colpi di testa, di sole o di tweet che siano.
Di questo l'Italia, ed in verità non solo essa, ha tanto bisogno; se ci riusciremo non saprei proprio dire....

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Camera dei Deputati - 9 settembre 2019

Lucca, 9 settembre 2019

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