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Vietato sprecare il dividendo dell’uscita dei no-euro

di Francesco Daveri

Ai mercati è bastato che i no-euro fossero messi alla porta perché calasse la percezione di rischiosità del debito pubblico italiano. Il nuovo governo deve non sprecare questo regalo, resistendo alla tentazione di fare più deficit e impostando una manovra di qualità, contenendo la spesa pubblica corrente.

La exit dei no-euro e i rendimenti sul Btp

È bastato che salisse al Quirinale lo stesso presidente del Consiglio del governo precedente ma privo dell’ipoteca dei no-euro sulle sue azioni e sul futuro dell’Italia. Prima ancora che il premier incaricato Giuseppe Conte sciogliesse la riserva. Prima ancora della formazione di un nuovo governo e anzi con tutte le incognite legate alla formazione di un esecutivo tra due partiti come Pd e M5s che si sono detestati, insultati e combattuti con colpi sotto la cintola negli ultimi anni. Prima ancora che siano state delineate le linee guida di una manovra di bilancio che si preannuncia come minimo in salita ripida, data l’eredità del passato e le aspettative presenti di una svolta di bilancio. Insomma, non è ancora successo niente ma è bastato che i mercati avessero solo la percezione del “basta no-euro” – cioè che Matteo Salvini e i suoi esperti economici da social network non saranno più nella stanza dei bottoni – e il costo del debito italiano è sceso allo 0,99 per cento sui Btp a 10 anni. Sono 84 punti base in meno rispetto al 9 agosto, quando il rendimento sui Btp italiani si impennò all’1,83 per cento salendo di 42 punti base in due giorni e interrompendo una discesa iniziata alla fine di maggio.

Naturalmente nei dati sul rendimento dei Btp non c’è solo l’effetto “no-euro exit”. C’è un trend mondiale e continentale di tassi a lunga che sono scesi ovunque a precipizio dall’inizio dell’anno, incorporando le aspettative di una possibile recessione in America. Per isolare in modo semplificato quanto conta l’effetto “basta no-euro” nel calo dei tassi sui Btp negli ultimi venti giorni si può guardare cosa è successo ai rendimenti dei bonos spagnoli nello stesso periodo di tempo. La Spagna, grazie alla sua robusta crescita economica, paga già da vari mesi un rendimento molto basso. Il 9 agosto il rendimento sui bonos spagnoli decennali – il titolo confrontabile con i Btp italiani – era infatti pari a un minuscolo 0,27 per cento. Quello stesso rendimento è sceso il 29 agosto allo 0,12 per cento, in un periodo in cui né dalla Spagna né da Francoforte è arrivata alcuna notizia rilevante. Nello stesso periodo il rendimento dei treasury Usa è sceso dall’1,73 all’1,52 per cento, più o meno in linea con quello dei bonos spagnoli. Prendendo la riduzione del rendimento sui bonos come il punto di riferimento dei trend di mercato per un paese osservato speciale (come Spagna e Italia sono) viene fuori che, tra il 9 e il 29 agosto, il tasso spagnolo è sceso di 15 punti base (da 0,27 a 0,12), mentre in Italia lo stesso tasso è sceso di 84 punti (da 1,83 a 0,99). L’uscita dei no-euro sembra dunque valere un bonus di 69 punti base. Ed è un bonus ottenuto senza passare per la roulette delle elezioni anticipate, con una campagna elettorale che si sarebbe svolta a colpi di promesse inattuabili sullo sfondo della Brexit e della prosecuzione di una guerra tariffaria che molto preoccupa le borse di tutto il mondo. Mica male.

Come non sprecare il dividendo della “no-euro exit”

La fortuna però è sempre meglio non sprecarla. È vero che in Europa Ursula von der Leyen, la presidente designata della Commissione, ha, tra l’altro, annunciato l’intento di rivedere le regole fiscali dell’Unione – ritenute da larga parte del nostro mondo politico responsabili dell’eccessiva restrittività delle politiche di bilancio seguite dall’Italia negli ultimi anni. Ed è anche vero che sulle regole di bilancio la nuova presidente della Bce Christine Lagarde ha fatto eco a von der Leyen, citando anche gli eurobond come strumento per rafforzare l’euro. C’è però da considerare che rivedere regole europee pur bizantine e condizionate a grandezze come l’output gap, difficili da misurare e da comprendere per la maggior parte dei cittadini europei, non vuol dire che si vada verso un’Europa senza regole fiscali in cui chi vuole spende e spande. Come insegna la storia americana, in un’unione monetaria qualche regola di bilancio che vincoli i singoli stati a non fare deficit eccessivi ci vuole. E in un’unione molto imperfetta, come un’unione monetaria di tanti stati nazionali, le regole sono ancora più necessarie. In ogni caso, per approvare queste regole – forse – più favorevoli ci vorrà del tempo. Intanto la prossima legge di bilancio va fatta con le regole esistenti. Che danno margini di flessibilità in presenza di circostanze documentabili come una recessione o altre circostanze eccezionali. L’arrivo di dati meno positivi dai fatturati e dagli ordinativi assieme a dati in chiaroscuro sul mercato del lavoro potrebbero aiutare a istruire una pratica di richiesta di maggiore flessibilità da parte del nuovo governo. Magari con maggiori speranze di successo rispetto al governo precedente dove c’era chi credeva nella filosofia di battere i pugni sul tavolo e di non partecipare alle riunioni dove si prendono le decisioni. Ma è difficile che – dopo i pur importanti attestati di stima – al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ora a capo di una maggioranza giallorossa, non venga rammentato dai membri della Commissione l’impegno preso all’inizio di luglio da una persona con il suo stesso nome e la sua stessa carta d’identità anche se a capo di una maggioranza di colore parzialmente diverso. Sarà difficile disattendere l’impegno a fare tutto il possibile per rispettare le regole in materia di disavanzo eccessivo a distanza di una manciata di settimane.

Molto meglio dunque che il nuovo governo imposti una manovra che guardi alla qualità del bilancio pubblico, tornando a investire sul futuro e risparmiando ove possibile una parte delle risorse destinate alla spesa corrente con la precedente legge di bilancio, per creare lo spazio per una riduzione graduale ma permanente del carico fiscale che non sia rubata alle future generazioni.

(da www.lavoce.info - 30 agosto 2019)

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