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La rivoluzione è già finita: il Palazzo si è mangiato Salvini (e pure i Cinque Stelle)

di Riccardo Paradisi

È la crisi del governo populista del cambiamento e di una storia che doveva essere nuova - addirittura rivoluzionaria - ma si consuma con riti e liturgie di obbedienza primo-repubblicana. La remissione del mandato, la possibilità del reincarico, il giro di consultazioni, le correnti interne ai partiti, il gioco del cerino, la direzione nazionale (del Pd) che deve esprimersi…manca solo “il ventaglio di possibilità”, che era la formula forte nel lessico delle crisi nella prima repubblica. Adesso si dice “i possibili scenari” ma abbiamo capito che è la stessa cosa.
Non è solo l’effetto inevitabile di una legge elettorale proporzionale, è la resilienza della struttura: la lunga durata dei tempi e dei modi istituzionali contro il tweet, la diretta Fb, la presunta presa diretta dei sondaggi. In questa crisi aperta al buio in pieno agosto da Matteo Salvini descamisado, in questo stato di sospensione dove s’attende che faranno il Pd, i Cinquestelle e come intenderà muoversi il presidente Sergio Mattarella è la resistenza delle costanti strutturali repubblicane a risaltare.

I fatti parlano. Salvini pensava che fosse scontato, una volta aperta la crisi così, all’improvviso e in nome dei pieni poteri, che si andasse diritti al voto. Ha avuto presto modo d’accorgersi anche lui che esiste il Parlamento con le sue regole, i suoi codici, i rapporti di forze e le variabili che contiene. E così sempre Salvini dopo aver evocato il paese reale, la piazza e il popolo sovrano, affidato di nuovo l’Italia alla Madonna conclude più prosaicamente il suo intervento in Senato ricordando agli amici Cinquestelle e a Conte che lui è sempre disponibile a riprendere il discorso, a fare un governo contro l’aumento dell’Iva e per il taglio dei parlamentari. Che insomma s’è un po’ scherzato. E infatti la Lega nel tardo pomeriggio ritira la sfiducia a Conte: “E' una scelta di coerenza con l'apertura fatta in Aula da Matteo Salvini – spiegano i suoi - se tieni una porta aperta non puoi tenere la sfiducia”.

Niente male anche la compiuta evoluzione di Giuseppe Conte, come aspirato dal suo ruolo istituzionale. Il premier che s’era presentato come “l’avvocato degli italiani”, il garante del contratto tra le forze populiste, diventa arbitro delle forme e cerimoniere d’una liturgia per una crisi ordinata. Rampogna, nella sua comunicazione a Palazzo Madama, la Lega per gli strappi istituzionali, definisce Salvini “pericoloso”, “inquietante” e “inaffidabile” per i suoi acuti populisti ma bacchetta anche quei Cinquestelle che mentre lui parla s’allontanano dall’aula o vociferano. Anche a loro Conte dà lezioni di grammatica istituzionale.

Appunto i Cinquestelle. Che apprendono in fretta la lezione. Il grillino Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato d’una forza che in rottura coi vecchi protocolli aveva annunciato un futuro in streaming e promesso di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, risponde così a chi gli chiede con chi faranno il governo i Cinquestelle: “Lo diremo a Mattarella in sede di consultazioni”. Una risposta che forse nemmeno Arnaldo Forlani avrebbe dato così ingessato.
Per non parlare di Matteo Renzi, il rottamatore – il mai nel mio nome un’alleanza Pd Movimento Cinquestelle - il primo adesso, dopo le retoriche contro la palude, a chiedere un governo di legislatura, a togliere ogni veto non solo su Conte, ma persino su Di Maio, perché “mai nella storia repubblicana si è votato in autunno e un motivo ci sarà”.
E poi Berlusconi, il decisionista liquidatore del teatrino della politica che si ritrova un partito sospeso tra il miraggio d’una futura coalizione vincente di centrodestra al governo e il più realistico approdo all’idea d’un sostegno a un governo Ursula. Magari, a proposito di permanenze, con la benedizione di Romano Prodi. Certo, i suoi dicono pubblicamente che si deve andare al voto, la linea ufficiale di Forza Italia è questa, ma fonti interne al partito raccontano di molti azzurri sempre più attratti dalla prospettiva d’un governo di legislatura. Per durare, per evitare l’annessione alla Lega salviniana, per ancorare il centrodestra all’Europa. “Perché dobbiamo esserci anche noi” riassume Gianni Letta pratico – sempre a proposito di permanenze - la cui voce non ha mai smesso in questi giorni di percorrere il corridoio che porta all’orecchio del Cavaliere.

E così la liturgia si conclude con Conte che prima di salire al Colle per rimettere il mandato ha l’ultima parola in Parlamento dove chiude a ogni possibilità di ripensamento e respinge la tardiva offerta leghista di ripensarci, per serietà e amore delle istituzioni.

Adesso s’apre il ventaglio di possibilità o se preferite si squadernano i possibili scenari di soluzione della crisi. L’attenzione è sulla direzione nazionale del Partito democratico di oggi, dove si capirà quanto sarà avanzato il confronto tra la segreteria Zingaretti e la componente renziana, maggioritaria nei gruppi parlamentari. C’è però ancora un certo scetticismo rispetto all'ipotesi di un governo Pd-M5S. Nessuno nel Pd che non sia renziano si fida troppo di Renzi. All’interno dei Cinquestelle ad avanzare è invece l’ipotesi di un reincarico a Conte.
Ecco perché se il movimento delle cose sembra andare verso un governo di legislatura non è da escludere completamente che invece l’esito sia il voto. Le consultazioni del presidente Mattarella inizieranno comunque oggi alle 16 al Quirinale e dovrebbero terminare giovedì pomeriggio. Si comincerà dai presidenti di Camera e Senato e poi si procederà con tutte le delegazioni. La partita evidentemente a questo punto si gioca tra Pd e Cinquestelle e all’interno di questi due partiti, dove le divergenze sulla strada da prendere sono ancora forti.

Nulla è ancora certo dunque, tranne lo sfondo su cui la crisi si staglia e si consuma che è quella d’un sistema che alla fine ha resistito a tutti gli stress test degli ultimi vent’anni. Referendum costituzionali, bipolarismi muscolari, tentativi di premierato di fatto, strappi istituzionali, colpi di spalla e colpi di testa. Tutto riassorbito, compreso in ordine d’apparizione l’assalto gialloverde.

(da www.linchiesta.it - 21 agosto 2019)

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