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L'Europa di Ursula von der Leyen

di Massimo Bordignon

Ursula von der Leyen è presidente della Commissione. Al Parlamento europeo ha proposto un programma ambizioso per rispondere alle richieste di Pse e Verdi. Sull’area dell’euro ha sostenuto idee utili anche per l’Italia.

Esame passato

Alla fine, Ursula von der Leyen ce l’ha fatta. Non era né ovvio né scontato, come mostra la risicata maggioranza (solo 9 voti in più del minimo dei 374 necessari, con 22 astenuti e 327 contrari) con cui ha ottenuto il via libera del Parlamento europeo alla presidenza della Commissione. Era partita male, forse anche perché mal consigliata; penalizzata in partenza dal suo essere scelta dai capi di governo al di fuori delle candidature del Parlamento (i famosi spitzekandidaten), non era andata bene nei colloqui preliminari con i diversi gruppi politici. Da molte parti, le era stato addirittura suggerito un rinvio a settembre, per avere più tempo per formulare il suo programma e impratichirsi sui temi che stavano più a cuore al Parlamento europeo.
Ma di fronte a richieste precise da parte dei gruppi politici, von der Leyen ha saputo reagire e il programma con cui si è presentata all’aula ha concesso moltissimo ai partiti europeisti su cui intende basare la sua azione di governo: socialisti e verdi, oltre a popolari e liberali. Non ha convinto fino in fondo i partiti ambientalisti, anche se sembra difficile immaginare che non la sosterranno poi sulle sue proposte sul clima. E non ha convinto tutti i socialisti, soprattutto tedeschi e francesi, che non le hanno perdonato il fatto che la sua candidatura fosse stata preferita a quella di Frans Timmermans a seguito di un veto da parte dei governi conservatori di Visegrad, appoggiati anche dal governo italiano.
Ha poi paradossalmente ottenuto la nomina con i voti determinanti di questi ultimi, in particolare del Partito nazionalista polacco e del nostro Movimento 5 stelle, ma non ha avuto e, anzi, ha sostanzialmente rifiutato i voti dell’estrema destra di Identità e democrazia (cioè essenzialmente della Lega, del partito di Marine Le Pen e di Alleanza per la Germania).

Il fatto che sia passata con una così limitata maggioranza sicuramente la indebolisce, ma solo fino a un certo punto, perché l’Ue non è una democrazia parlamentare; l’esecutivo, cioè la Commissione, non richiede la fiducia del Parlamento per governare e ci vogliono i due terzi dei voti per sfiduciarla con una mozione di censura. In più, se porterà avanti il suo programma, è difficile immaginare che alla fine non troverà il sostegno dei partiti europeisti, compresi alcuni dei deputati che ora non l’hanno votata.

Il programma

Ma cosa propone in sostanza la nuova presidente? Il programma, troppo ampio per essere discusso qui, è sicuramente ambizioso. Per esempio, sull’ambiente l’obiettivo è accelerare il processo di riduzione delle emissioni dannose entro il 2030, con un sistema di compensazione per i settori più colpiti e l’introduzione di una border carbon tax per evitare di avvantaggiare i produttori esterni. Sull’economia si parla di un fondo di riassicurazione europea per la disoccupazione, dell’introduzione di un sistema di salari minimi, del dare priorità alla legislazione e agli investimenti europei nell’economia digitale, del rivedere la tassazione di impresa per combattere l’elusione fiscale, a cominciare dall’introduzione di una digital tax. Sull’area euro, del completamento dell’Unione bancaria con l’assicurazione europea sui depositi, del rafforzamento del nuovo bilancio sulla convergenza e del pieno uso della flessibilità concessa sul patto di stabilità e crescita, tutte cose favorevoli all’Italia. E nonostante l’appoggio ottenuto da Visegrad, il programma non fa sconti sulla necessità di rispettare lo stato di diritto, né su quella di un approccio europeo comune alla protezione delle frontiere e al diritto d’asilo, insistendo tra l’altro sul dovere morale di “salvare vite in mare”. Infine, sul piano delle riforme della governance europea, von der Leyen propone di dare al parlamento il diritto di iniziativa legislativa, al momento una prerogativa della Commissione, e rivedere il sistema dei spitzekandidaten per renderlo operativo e vincolante per le prossime elezioni europee.

Naturalmente, l’attuazione di questo programma non dipende soltanto dalla volontà della Commissione o del Parlamento. Su molti punti, sarà decisivo il ruolo degli stati. Per esempio, sono essenzialmente i paesi nordici, compresa la Germania, a bloccare il completamento dell’Unione bancaria o l’introduzione di un fondo di riassicurazione europea per la disoccupazione. Da questo punto di vista, però, il fatto che queste proposte verranno ora portate avanti da una conservatrice, oltretutto ex ministro del governo tedesco, ne rende paradossalmente più facile l’accettazione anche da parte di questi paesi.

L’ombra di Putin non può entrare in Commissione

Il diverso posizionamento dei due partiti governativi italiani al momento del voto ha pesanti effetti anche sul piano interno. Il presidente del Consiglio italiano si era speso molto per condurre entrambi i partiti a sostenere von der Leyen, a compimento del compromesso raggiunto con i partner europei, con la finalità di ottenere in cambio un posto di rilievo per l’Italia nella prossima Commissione. La decisione di voto della Lega rimette il progetto in discussione.
A questo punto, c’è da chiedersi se sia sensato lasciare al partito di Matteo Salvini l’indicazione dei candidati italiani (un uomo e una donna) alla Commissione, come era stato deciso all’indomani dei risultati delle elezioni europee: difficilmente il Parlamento europeo, che deve approvarne la nomina, sarà ben disposto verso un candidato leghista. Anche perché, a giudicare dai commenti sulla stampa internazionale, la vicenda delle intercettazioni in Russia ha convinto diversi osservatori internazionali che un esponente della Lega in Commissione rappresenterebbe una lunga mano del Cremlino sulle decisioni europee.

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(da www.lavoce.info - 20 luglio 2019)

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