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Risultati prove Invalsi 2019: la diagnosi di un malato grave

di Andrea Gavosto e Barbara Romano

I risultati delle prove Invalsi 2018-2019 sono la spia di un fallimento della scuola italiana. Le opportunità educative sono molto diverse a seconda delle regioni, della scuola e della classe frequentate, del genere e della famiglia di provenienza.

Il termometro è più affidabile

Gli esiti delle prove Invalsi 2018-2019, presentati la scorsa settimana, sono la spia di un profondo fallimento della nostra scuola. Sebbene molti aspetti critici non siano nuovi, il dibattito che ne è seguito è insolitamente vivace e ci auguriamo prosegua, magari ancorandolo di più a quanto le prove Invalsi ci dicono davvero.

Partiamo dallo strumento. Spesso l’affidabilità delle prove Invalsi è stata criticata e ancora oggi è talvolta sotto accusa. I miglioramenti sono stati, però, notevoli, specie negli ultimi due anni.

Ci sono stati finalmente progressi nell’eliminazione del cheating, i comportamenti opportunistici di docenti e studenti. Fuor di eufemismo, i taroccamenti.
Negli anni scorsi si era provato – senza successo, anzi con effetti controproducenti nei confronti delle classi migliori – a controllare il cheating con correzioni puramente statistiche. Ora si è presa una strada diversa. Le prove in quinta superiore, così come dallo scorso anno in terza media, sono svolte prima dell’esame e sganciate dal suo risultato, disincentivando azioni scorrette. La novità più rilevante è rappresentata dalle prove a computer (computer-based) nella secondaria di I e II grado, con correzione automatica. Il cheating si riduce perché le prove sono diverse per ogni studente, pur restando di difficoltà equivalente: non è facile per i docenti aiutare nelle risposte o manipolarle in fase di trasmissione, è impossibile copiare. Inoltre, così si possono “ancorare” alcune domande tra una rilevazione e l’altra per confrontare direttamente i risultati e vedere se, per quel grado, gli studenti siano migliorati o meno.
In passato solo il campione sorvegliato (il 10 per cento del totale) era credibile – e infatti su quello si basano i rapporti e le presentazioni dei dati Invalsi, ora con le prove al computer risultati censuari e campionari dovrebbero convergere.

Con le prove di quinta superiore si è raggiunta la copertura completa del corso di studi e la copertura curriculare è stata estesa all’inglese. I tassi di partecipazione sono stati molto elevati: dal 99 per cento nella primaria al 95 per cento in quinta superiore, dove la media è abbassata dagli istituti professionali.

Per medie e superiori, infine, i risultati sono espressi non più solo con punteggi, ma per livelli descrittivi delle prestazioni cognitive: per l’italiano e la matematica sono stati definiti con una metodologia simile a Ocse-Pisa, per l’inglese grazie al quadro comune europeo di riferimento (Qcer).

Ma il paziente è moribondo I risultati delle prove confermano criticità e iniquità, in parte conosciute fin dalle prime rilevazioni del 2005-2006, con alcuni inediti.

Le opportunità educative sono molto diverse a seconda dell’area del paese, della scuola e della classe che si frequentano, del genere e della famiglia di provenienza. In media, i divari tra Nord e Sud sono lievi all’inizio della primaria. Nel Meridione, però, già dalla seconda primaria si registra una variabilità elevata dei punteggi a livello di scuole e soprattutto di classi: sintomo di forti differenze, legate a docenti e dirigenti, che possono condannare gli studenti nelle classi peggiori a ritardi scolastici permanenti.

Dalla scuola media le differenze territoriali si accentuano: gli allievi di Campania, Calabria, Sardegna e Sicilia hanno apprendimenti in italiano, matematica e inglese nettamente inferiori (di circa 40 punti a fronte di una media di 200) al resto del paese. Purtroppo lo sapevamo già, mentre forse si sa meno che anche il resto dell’Italia non sta affatto bene. In tutte le cinque macro-aree, almeno uno studente su tre è al di sotto del livello minimo di raggiungimento dei traguardi posti dalle Indicazioni nazionali per il curricolo (il testo di riferimento che ha sostituito i “programmi ministeriali”) in italiano e matematica. Con prevedibili forti eterogeneità: nel Mezzogiorno si sale al 40 per cento per l’italiano e oltre il 50 per cento per la matematica.

La scuola media rimane dunque l’anello debole, perché questi tre anni concludono il ciclo primario di base comune a tutti gli studenti, per tutti strutturato allo stesso modo e che a tutti dovrebbe garantire il raggiungimento di competenze minime che consentano di affrontare “in autonomia le situazioni di vita tipiche della propria età”. Invece, proprio qui si spezza irrimediabilmente l’equilibrio. E alle superiori recuperare diventa impossibile. Il divario tende ad allargarsi al crescere del livello scolastico, fino a esplodere in quinta superiore, com’è naturale in un processo cumulativo come l’istruzione.

Perché quest’anno l’allarme ha tanta eco? Forse, perché non ci sono più alibi: tutto l’arco di studi è coperto, la partecipazione è molto elevata, il cheating è stato di fatto annullato. Peraltro, a parte i tecnicismi, come non allarmarsi se una quota rilevante di allievi in terza media ha competenze da quinta elementare?

A fronte di un sistema di istruzione con regole largamente unitarie a livello nazionale (stessi sistemi di reclutamento e formazione degli insegnanti e dirigenti, sistemi di incentivi uniformi, indicazioni curriculari e quadri orari sostanzialmente identici) non è facile spiegare l’aumento delle differenze territoriali. Una pista è guardare al capitale sociale: così come il sistema d’istruzione formale può aumentare i livelli di capitale sociale  e di coinvolgimento civico, altrettanto plausibile è che la qualità di un sistema educativo e la sua efficacia siano influenzate dal capitale sociale nel contesto di riferimento. Che al Sud e nelle Isole è più basso. A ciò si aggiunga che il Sud è caratterizzato da una maggiore iniquità: le differenze nei punteggi sono dovute, molto più che al nord, non alle sole differenze fra gli individui, ma a differenze tra scuole e tra classi.

Un’altra pista è la qualità dei docenti, che al Sud potrebbe essere più bassa a causa di una autoselezione negativa: i migliori si spostano in contesti più favorevoli per lavorare con colleghi più motivati, famiglie più coinvolte e studenti più interessati.

I fenomeni descritti dai dati Invalsi sono piuttosto chiari. Le spiegazioni e i rimedi molto meno: servirà nuova ricerca che spieghi meglio i meccanismi sottostanti ai divari per arrivare alla definizione di politiche adeguate.

(da www.lavoce.info)

Per approfondire

Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione

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