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Commento introduttivo

Non potranno essere certo le levate di scudi di Salvini a risolvere il gigantesco problema dell'immigrazione. Non potranno esserlo, tanto quando assumono il volto legislativo (decreti bis, tris e via dicendo), né tantomeno quando assumono il volto di slogan urllati, in qualche salotto televisivo o sui social.
Il tema dell'immigrazione è un fatto strutturale e non contingente. La pressione del sud del pianeta sul nord, è destinata ad accentuarsi nei prossimi decenni. Tema quindi che potrà essere affrontato solo con una visione politica seria e di prospettiva; insomma una politica che sappia guardare anche al dopo domani, e non solo all'immediato presente.
Oggi chiudere i porti o fermare una nave con qualche decina di povere persone a bordo può essere anche facile; domani, quando la pressione migratoria assumerà caratteri di ben altre proporzioni, il tema assumerà altri paradigmi: una sfida gigantesca, dalla cui soluzione dipenderà in gran parte lo sviluppo della nostra civiltà.

Ma certo il problema non può essere affrontato con il solo parametro della solidarietà (sicuro segno di civiltà ma politicamente insufficiente), bensì con una strategia che in questi anni l'assieme delle forze politiche italiane non ha saputo elaborare. Ci ha provato l'ex ministro Minniti, e gli strali più velenosi gli sono stati lanciati dalla sua parte politica, ovvero la sinistra.
Proprio la mancanza di una politica, è stato il più bel regalo fatto a Salvini e più in generale alla cultura politica che rappresenta. Una carenza questa che, non solo alimenta paure fra gli italiani, ma finisce per ritorcersi anche contro gli immigrati che, dopo un primo periodo di assistenza, vengono abbandonati a se stessi, facili prede della criminalità, o destinati al mendicio.

Occorre pertanto una coraggiosa strategia politica che, nel contempo, sappia rifiutare assurde ed inutili chiusure, ma sappia anche superare la logica di una accoglienza senza alcun controllo. Tema più volte trattato in queste pagine, anche ultimamente con l'articolo di Angelo Panebianco
Ma è chiaro che il tema investe l'intera Europa. Ed è proprio per questo che il primo passo verso l'elaborazione di una nuova politica continentale non potrà che essere la revisione del trattato di Dublino: quella revisione per la quale le forze attualmente al governo del nostro paese si sono messe di traverso.
Purtroppo non si possono nutrire troppe speranze, visto che anche quando il Parlamento di Strasburgo riesce a trovare un accordo, viene poi bloccato dal Consiglio Europeo, come si sa formato dai capi di Stato e/o di Governo dei paesi dell'Unione: organismo nel quale evidentemente pesano le istanze sovraniste del gruppo di Visegrad.

Comunque, in questa fase e come sopra ho già detto, l’unica decisione che potrebbe aiutare l’Italia è una riforma strutturale del trattato di Dublino. Quella a cui i partiti del governo gialloverde si sono opposti, pur dicendo ora di volere la redistribuzione dei migranti contro gli Stati europei egoisti, Olanda in primis, che invece li respingono. Giochi politico-elettorali di una politica, non solo italiana, che guarda alle percentuali di consenso di domani, senza neanche spingere oltre il naso per capire cosa potrebbe accadere dopodomani. E l’immigrazione, si sa, è uno dei temi che più può spostare l’indice del gradimento elettorale. Urlando “al lupo al lupo” contro una ong con 40 migranti a bordo, di fronte a un continente di oltre 700 milioni di persone.

Paolo Razzuoli

C’è solo un modo per evitare altre Sea Watch: cambiare il trattato di Dublino

di Lidia Baratta

Non sarà certo un decreto sicurezza salviniano, che sia anche bis, a risolvere la gestione dei flussi migratori. Né servirà l’ultimo caso dell’ennesima nave ferma a poche miglia dalle coste italiane, la Sea Watch 3, a farlo. Lo abbiamo già visto con la Diciotti, con la Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans e con le Sea Watch 1 e 2. Navi che diventano simboli dell’assenza volontaria di una politica europea sull’immigrazione. Davanti alle quali Matteo Salvini non fa altro che sfregarsi le mani, chiudendo gli occhi su barchini e barche a vela che continuano comunque ad arrivare sulle nostre coste mentre lui è impegnato a urlare all’emergenza e a sfidare la capitana di turno Carola Rackete, che prevedibilmente ha chiamato «sbruffoncella» nelle sue dirette Facebook. Con tanto di applausi del pubblico loggato.

Se davvero avessero voluto evitare tutto questo, in primis la sofferenza dei migranti a bordo, bloccati da giorni in mare in condizioni disumane dopo mesi di violenze e una traversata in mano agli scafisti, i colleghi della Lega salviniana qualche mese fa avrebbero potuto votare ad esempio al Parlamento europeo la riforma del Trattato di Dublino. Quella che per la prima volta elimina il criterio del primo Paese d’accesso e prevede il meccanismo del ricollocamento automatico dei richiedenti asilo tra i Paesi europei. Esattamente quello che il social Capitano senza nave chiede nelle sue dirette-comizio. E invece no, la Lega si è astenuta, dopo che nessun eurodeputato leghista si sia mai presentato in nessuna delle 22 riunioni del tavolo dei negoziati. Mentre i Cinque Stelle hanno addirittura contro, cambiando improvvisamente la rotta, in linea con propaganda elettorale delle “taxi del mare” imposta da Luigi Di Maio.

Quel voto trasversale a Strasburgo di novembre 2018, con l’approvazione della riforma che mise d’accordo i partiti più distanti, fu l’ultimo e unico atto di vera politica europea sui temi migratori. L’Europa, quella dei deputati eletti, trovò la soluzione. Una soluzione che è finita poi inevitabilmente per affondare in Consiglio, dove sono gli Stati a prevalere e non l’Europa. Una differenza da tenere a mente, per esser precisi, quando si dice “l’Italia è stata lasciata sola dall’Europa”.

Non solo il blocco dei muri di Visegrad, ma tutti Stati membri, non avendo alcun obbligo di deliberare entro una certa scadenza, hanno ignorato il testo arrivato dal Parlamento, facendosi scudo dietro il no di Orban e colleghi. Sul tavolo del Consiglio sono state per lo più presentate proposte per evitare i ricollocamenti obbligatori. Inclusa l’ipotesi di creare dei capannoni ai confini dei primi Paesi d’accesso. Laddove prevale la politica elettorale, non interessa a nessuno trovare davvero una soluzione per i migranti. Né nell’Italia di Salvini, né nell’Europa degli Stati. Tutti hanno fatto melina, anche rispetto alla più blanda proposta che arrivò durante il semestre di presidenza bulgaro.

Se davvero Salvini avesse avuto a cuore la risoluzione del problema dei flussi migratori, si sarebbe potuto almeno presentare ai vertici europei che si sono tenuti in questi mesi sul tema, e che invece ha puntualmente disertato nell’85% dei casi per andare in giro a fare campagna elettorale tra le piazze e le poltrone di Barbara D’Urso. Pronto a sfregrarsi le mani, in attesa dell’ennesimo scontro in mare con la ong e la capitana cattiva di turno.

Ora Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e altri stati membri dell’Ue hanno dato la loro disponibilità ad accogliere i 40 naufraghi a bordo della Sea Watch 3. Ma non sarà questo “sforzo di solidarietà”, come lo ha definito la portavoce del commissario all’immigrazione Dimitri Avramopoulos, a risolvere la questione migrazione. Non basterà il collocamento o lo sbarco di 40 persone a gestire le partenze dalla Libia. Non basterà uno “sforzo di solidarietà”, davanti a un fenomeno di portata storica di questo tipo.

L’unica decisione che potrebbe aiutare l’Italia è una riforma strutturale del trattato di Dublino. Quella a cui i partiti dell governo gialloverde si sono opposti, pur dicendo ora di volere la redistribuzione dei migranti contro gli Stati europei egoisti, Olanda in primis, che invece li respingono. Giochi politico-elettorali di una politica, non solo italiana, che guarda alle percentuali di consenso di domani, senza neanche spingere oltre il naso per capire cosa potrebbe accadere dopodomani. E l’immigrazione, si sa, è uno dei temi che più può spostare l’indice del gradimento elettorale. Urlando “al lupo al lupo” contro una ong con 40 migranti a bordo, di fronte a un continente di oltre 700 milioni di persone.

La battuta di Jean Asselborn, ministro degli esteri del Lussemburgo, alla fine potrebbe rivelarsi profetica: «Per Pasqua avremo un compromesso sulla riforma di Dublino. Ma non so di quale anno».

(da www.linchiesta.it - 29 giugno 2019)

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