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Trema la Merkel, trema l’Europa: ecco perché senza Angela siamo tutti nei guai

di Fulvio Scaglione

Alla fine, e a soli 64 anni, è il corpo che ti frega. Non come persona, perché Angela Merkel farà le cure che servono e starà bene. Ma come figura, come emblema di una politica e di uno stile. Mezza Kanzlerin, ovvero funzionaria al servizio dell’interesse collettivo, e mezza Mutti, ovvero massaia grigia e affidabile, e perciò politica dei record e dei quattro mandati di governo, Angela non può tremare. E invece lo ha fatto. Vistosamente. Clamorosamente.

La prima volta mentre affiancava Volodimir Zelenski, nuovo Presidente dell’Ucraina, più sorpresa che turbata. La seconda, otto giorni dopo, mentre ascoltava Franck-Walter Steimeier, presidente della Repubblica federale tedesca, che nominava un nuovo ministro. E questa volta le immagini erano ancora più angoscianti, perché quel tenersi le mani per controllare il tremore e quello sguardo più arrabbiato che preoccupato rivelavano la consapevolezza della Merkel e l’innegabilità del suo problema.

Addio uscita morbida e programmata dalle stanze del potere. Addio transizione liscia come il cambio di una delle pregiate automobili tedesche. E il punto vero dell’intera questione è che in questi giorni, mentre l’ora sta fuggendo, con la Kanzlerin-Mutti tedesca trema non solo la Germania ma un po' tutta l’Europa.
Perché si fa presto a dire Merkel, ma molto meno presto a trovare un altro leader che, come lei nel passato ventennio, garantisca all’Europa una qualche “forma” credibile per il ventennio a venire.
Molti hanno criticato l’Europa a trazione tedesca, ancorata al dogma della stabilità finanziaria. Molti hanno lamentato la presunta mancanza di carisma di Angela, d’altra parte laureata in Chimica mica uscita dalla Tv, che ha lanciato il suo slogan più memorabile (Wir schaffen das, Ce la faremo) nel 2015, accogliendo in agosto i migranti che a novembre avrebbe respinto. Ma alla fin fine, averne di politici così. Perché è stata la Germania della Merkel, se ci pensiamo, l’unico vero baluardo di quella visione europea del multilateralismo liberal-democratico che è tuttora il più efficace strumento dell’ipotetica governance mondiale. È stata lei a resistere (nei limiti del possibile, ovvio) alle smanie americane che con Donald Trump hanno raggiunto il massimo ma che già con Barack Obama (scudo missilistico anti-Russia in Polonia e Romania e crisi in Ucraina nel 2013-2014) hanno provato a trasformare l’Europa nel campo della nuova battaglia con Mosca. Non a caso non c’è leader europeo più detestato di lei in ambito Nato. È stata la sua Germania, d’altra parte forte del primato economico in Europa, a tenere più alta la fronte rispetto alle avance commerciali della Cina, suadenti, convenienti e forse compromettenti.

È stata ancora Angela, in questo caso non si sa se più Kanzlerin o più Mutti, vista l’età dell’avversario, a frenare le ambizioni di Emmanuel Macron, il principino populista di Francia, che parlava tanto di Europa e intanto lavorava per trasformarla in un feudo franco-tedesco, come il trattato di Aquisgrana firmato con la stessa Merkel dimostra. Poi, come sempre, Macron si è dato allo sport preferito, “France avant tout!”, ed è stata la Merkel a mettersi di traverso, anche a costo di mandare avanti la sua erede, Annegrette Kramp-Karrenbauer, con proposte che non solo smentiscono Macron ma lo stesso trattato di Aquisgrana. Ed è stata infine la Merkel, con quello stile fatto di poche parole, a tener dritta la barra europea sulla Brexit, facendo rimandare al mittente, la povera Theresa May, le sempre più confuse richieste inglesi per una rinegoziazione del patto d’uscita. A proposito di Macron e di Brexit. Vedrete, Angela sarà rimpianta anche dai movimenti del populismo neo-nazionalista. Perché lei dava un’impronta all’Europa, il che era per tutti un duplice vantaggio. Un’impronta comunque c’era (e come dicono i medici: meglio una cura di tante cure insieme; meglio una cura modesta che nessuna cura) e intanto, se volevi, sapevi chi criticare. Comodo.
Ma domani? In quest’Europa dove ognuno è populista a modo suo e dove ognuno è nazionalista pro domo sua, tra i leader come Orban e Salvini che si chiamano amici ma non vanno d’accordo su quasi nulla, nella Ue che tutti criticano (a sentirli, sono proprio gli europeisti i più convinti che occorre cambiare) ma che nessuno vuole più scassare, chi la darà l’impronta? Lo spagnolo Sanchez? L’olandese Rutte? Il finlandese Rinne? Vedrete, ricorderemo i tremori di Angela. Le Mutti non tremano. Quando succede non è un buon segno.

(da www.linchiesta.it - 29 giugno 2019)

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