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La pensione viaggia sui numeri, non sulla slitta di Babbo Natale

di Sandro Gronchi e Mirko Bevilacqua

Anche in versione “quota 100”, la pensione d’anzianità resta insostenibile e iniqua. Lo è nella componente retributiva e in quella contributiva. Perciò il lento passaggio dal regime retributivo a quello contributivo non potrà migliorarne la pagella.

La pensione d’anzianità e le sue componenti

L’età pensionabile italiana, salita a 67 anni nel 2019, è tra le più alte d’Europa, in linea con la longevità che supera tutte le altre, pressoché a pari merito con quella spagnola. Ciò nonostante, l’età media di pensionamento è tra le più basse, soprattutto a causa della pensione “d’anzianità” che la riforma Fornero ha voluto chiamare “anticipata”. L’istituto, tipicamente italiano, consente di anticipare il pensionamento a qualunque età, purché sia maturata un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini, nel seguito arrotondati a 43 per semplicità espositiva, o di un anno meno per le donne.

Gli uomini che maturano il diritto alla pensione d’anzianità nel 2019 (1° gennaio) hanno lavorato, al più, tutti e 23 gli anni successivi al 1995, e quindi almeno 20 in precedenza. Pertanto, il combinato disposto delle riforme Dini e Fornero garantisce, per loro, il diritto al calcolo retributivo fino al 2011. Più esattamente, garantisce che la componente “retributiva” della loro pensione sia generata dai contributi versati fino a tal momento, mentre quelli versati dal 2012 generano la componente “contributiva”.

L’interesse implicito

Se la carriera lavorativa è stata continua (non ha subito interruzioni) i contributi del primo tipo risalgono ai 36 anni che cominciano col 1976. Assumendo che il salario sia cresciuto al tasso “normale” dell’1,5 per cento all’anno in termini reali, tenuto conto delle aliquote contributive di volta in volta in vigore, il loro importo complessivo ammonta a 7,38 volte l’ultima retribuzione annua. In altri termini, fatta quest’ultima uguale a 100 euro, ammontano a 738 euro.
Se la retribuzione pensionabile non supera il “tetto Inps” pari a circa 47 mila euro (come accade nella grande maggioranza dei casi) la componente retributiva della pensione è all’incirca uguale a una percentuale dell’ultimo salario pari al 72 per cento, ottenuta moltiplicando i 36 anni sopra menzionati per l’aliquota di rendimento del 2 per cento. Fatta l’ultima retribuzione uguale a 100 euro, la componente vale quindi 72 euro all’anno, che si riducono a 43,2 (60 per cento) quando “subentra” il coniuge superstite. Per quantificare la prestazione complessiva, cioè la somma di tutte le annualità, mancano la vita residua del pensionato “diretto” e quella del coniuge.
L’età al pensionamento del primo è almeno uguale a 58 anni, ottenuti sommandone 43 all’obbligo scolastico di 15. Pertanto, i più giovani pensionati d’anzianità del 2019 sono nati nel 1961. La loro vita residua a 58 anni è destinata a superare quella indicata nell’ultima tavola di sopravvivenza “per contemporanei” rilevata dall’Istat nel 2017. Si può stimare facendo riferimento alle tavole che l’Istat medesimo ha elaborato per proiettare la popolazione residente. In tal modo, si ottiene un esito di 28,2 anni. Pertanto, la prestazione diretta ammonta 28,2×72=2.030,4 euro. All’età di 58+28,2=86,2 anni il pensionato lascerà un superstite di 4,8 anni più giovane (fonte Istat) che vivrà per altri 12,3. L’importo complessivo della reversibilità si può quindi stimare in 12,3×43,2=531,36 euro. In totale, la prestazione retributiva ammonta a 2.030,4+531,36=2.561,76 euro.
Il cospicuo scarto dai contributi che la generano lascia presagire che questi ultimi beneficiano di un interesse implicito elevato. Infatti, mettendo a confronto il calendario dei versamenti con quello delle rate di pensione, la tecnica finanziaria consente di calcolare un interesse del 3,1 per cento all’anno in termini reali. Ciò significa che, se i contributi fossero stati depositati su un conto corrente bancario, la capienza per prelevare tutte le annualità di pensione vi sarebbe solo se la banca pagasse un tasso d’interesse del 3,1 per cento oltre l’inflazione.

L’analisi di Samuelson

Sono passati sessant’anni da quando Paul Samuelson, Nobel per l’economia nel 1970, dimostrò che i sistemi pensionistici a ripartizione e prestazione definita sono sostenibili se e solo se le loro regole (aliquota contributiva, requisiti di accesso alla pensione, sistema di calcolo e indicizzazione) remunerano i contributi in base al tasso di crescita della massa salariale. Il teorema è un prezioso strumento nelle mani dei governi perché consente di valutare a priori la sostenibilità dei provvedimenti prima di vararli. In Italia, la massa salariale è mediamente cresciuta, in termini reali, poco più dell’1 per cento all’anno negli ultimi 40 anni, con un trend decrescente che le prospettive demo-economiche difficilmente potranno invertire. Perciò è presto detto che la componente retributiva della pensione d’anzianità è insostenibile.

Quota 100

Dispiaciuto di aver dovuto rinviare “quota 41”, il ministro Salvini si compiace di avere almeno ottenuto “quota 100” che, a parte il nome fuorviante, altro non fa che intervenire sulla pensione d’anzianità scontando di 5 anni (da 43 a 38) il requisito contributivo per chi abbia varcato la soglia anagrafica del 62esimo anno.
È probabile che allo sconto non sia interessato chi deve subire il calcolo contributivo dal 1996 (avendo potuto lavorare meno di 18 anni entro il 1995). Si spiegherebbe così il numero delle domande finora presentate, molto inferiore a quello degli aventi diritto.
Riguardo agli interessati, valgono due osservazioni. La prima riguarda le carriere continue che, non potendo avere una durata inferiore a 41 anni (23 dopo il 1995 e almeno 18 prima), possono anticipare la pensione d’anzianità per non più di 2. La seconda osservazione è che l’anticipo massimo di 5 anni è fruibile solo dalle carriere di 38 che hanno lavorato non più di 20 anni nei 23 successivi al 1995, dovendone aver lavorati almeno 18 prima.

In sintesi, quota 100 è principalmente rivolta ai soliti noti che la riforma Dini aveva mantenuto nel regime retributivo. Anticipando la pensione d’anzianità, costoro beneficiano di una prestazione retributiva complessivamente maggiore, mentre resta invariata la contribuzione corrispondente. L’esito è l’aumento dell’interesse che remunera quest’ultima, in violazione ulteriore della condizione di Samuelson.

Le prospettive

Sarebbe errato pensare che, a regime, il sistema contributivo possa porre rimedio garantendo la restituzione dei contributi a tutti, e quindi anche ai pensionati d’anzianità. Infatti, i coefficienti di trasformazione saranno obsoleti perché basati sulla minore longevità delle generazioni che precedono quelle cui sono assegnati. Non potranno quindi essere “guardiani perfetti” della restituzione. Anzi, lasceranno scappare molti buoi consentendo alla generalità dei pensionati di ricevere più di quanto versato. Ciò che più conta, l’obsolescenza crescerà velocemente al decrescere dell’età al pensionamento, cosicché i pensionati più giovani saranno molto più avvantaggiati. Ecco perché la pensione d’anzianità, anche nella versione quota 100, resterà insostenibile e iniqua dopo l’avvento del regime contributivo. Questioni inutilmente complesse per un governo in costante vena di semplificazioni?

(da www.lavoce.info)

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