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Tante critiche e pochi impegni: la risposta del governo alla Ue

di Francesco Daveri

Il governo italiano tenta di evitare la procedura di infrazione per deficit eccessivo con una risposta piena di critiche all’Europa e agli altri partner europei. Ma omette i dettagli sugli impegni che intende assumere, soprattutto per il 2020.

Una letteronzola da Roma a Bruxelles

Questa volta di fronte al rapporto di 23 pagine arrivato da Bruxelles il governo italiano non ha opposto una replica sbrigativa, ma ha inviato una risposta articolata.
Alla letterona del 5 giugno non si è cioè replicato con una letterina, ma con quella che per estensione del testo (sei pagine) rappresenta una via di mezzo tra le due. Una letteronzola, insomma, ricca di critiche ma povera di impegni propositivi.

La risposta mescola due parti. La prima è una critica agli attuali difetti dell’architettura istituzionale europea. È il grosso della replica, l’83 per cento del suo contenuto: le pagine 1 e 2 e poi da pagina 4 a pagina 6. Molte delle critiche all’Europa sono note e alcune di queste, in linea di principio, condivisibili. A pagina 1 e 2 si ricorda la necessità di “aprire una fase costituente per ridisegnare le regole di governo delle nostre società e delle nostre economie, riconsiderando modelli di sviluppo che si sono rivelati inadeguati di fronte alle nostre società impoverite, attraversate da sfiducia, delusione e rancore”. Per l’Europa questo implicherebbe “una riflessione approfondita su come assicurare un effettivo equilibrio tra stabilità e crescita, tra riduzione e condivisione dei rischi”. A pagina 5 si indica poi l’esigenza di “strutturare un bilancio dell’Eurozona più ambizioso in termini di risorse e di obiettivi, tra i quali inserire la stabilizzazione ciclica, la crescita di lungo termine e la convergenza tra i paesi. La somma di 17 miliardi (di cui si è parlato all’Eurogruppo) appare decisamente insufficiente”. Certo, sarebbe meglio coniugare la coerenza delle azioni e delle parole. Da questo punto di vista, è curioso che un appello a “più Europa” arrivi da un governo che – soprattutto per la parte politica oggi preponderante nella coalizione, cioè la Lega – ha fatto del “meno Europa” la sua bandiera. O quelle nella letteronzola sono parole al vento oppure il governo deve chiarire al suo interno se vuole più o meno Europa.

La critica alle regole europee nella risposta del governo a Bruxelles include anche punture di spillo dirette a specifici paesi, il cui cattivo comportamento non è sanzionabile o almeno non è sanzionato sotto le regole esistenti. L’“ossessione dei conti in ordine” spingerebbe alcuni paesi europei a una “accentuata concorrenza fiscale”. E qui si menziona l’uso spregiudicato dei tax ruling , gli accordi tra singoli paesi e imprese multinazionali che – fissando una (molto) “modica quantità” di imposte che le grandi aziende accettano di pagare a paesi assetati delle loro competenze e di base imponibile – finiscono per sottrarre risorse fiscali agli altri stati Ue, in tal modo peggiorando le loro possibilità di far quadrare i conti. Qui il bersaglio numero uno è l’Irlanda, ma sul banco degli imputati ci sono anche Lussemburgo e Olanda e l’idea di una web tax europea di cui si discute da molto tempo sarebbe un modo per affrontare il problema. Ma nel mirino del governo italiano c’è anche la Germania che, senza essere nominata, può essere facilmente identificata come un “grande partner che consegue ampi surplus di parte corrente e di bilancio, piuttosto che attivare politiche di investimento, di innovazione, di protezione sociale e di tutela ambientale”, in tal modo danneggiando gli sforzi compiuti dall’Italia per crescere a un ritmo più sostenuto. Insomma, se non cresciamo è colpa dell’Irlanda e della Germania.

Dal governo tante parole, pochi impegni

La risposta dal governo italiano era attesa, però, non per raccogliere le idee dell’Italia sulla riforma dell’Europa, ma per conoscere gli impegni precisi da assumere allo scopo di scongiurare il rischio di procedura di infrazione per disavanzo eccessivo (a causa della mancata riduzione del debito nel 2018 e negli anni precedenti). A questo riguardo, la risposta del governo italiano è molto povera di impegni vincolanti.

Alla richiesta di Bruxelles di attuare una correzione di bilancio compresa tra i 5 e i 7 miliardi sul 2019 (richiesta onerosa perché in un certo senso vale doppio, dato che dovrebbe essere attuata a metà anno), il governo esibisce i 2 miliardi di tagli di spesa accantonati nella legge di bilancio 2019. Tali fondi, tuttavia, come hanno ricordato gli altri paesi europei al premier italiano Giuseppe Conte, proprio perché inclusi nella legge di bilancio, erano già stati contabilizzati. Ci vuole altro. Per venire incontro alle richieste della Commissione (uscente, ma in carica fino a ottobre), il Tesoro preleverà un dividendo straordinario di circa un miliardo dalle Cassa depositi e prestiti. Poi ci sarebbero fino a tre miliardi che potrebbero residuare dai fondi accantonati per reddito di cittadinanza e quota 100 (dall’Inps mancano dati ufficiali). E nei primi mesi dell’anno sono andate meglio del previsto le entrate fiscali, grazie al successo della discussa ma efficace fatturazione elettronica e grazie al boom delle nuove (o finte) partite Iva indotte dall’introduzione dell’aliquota unica al 15 per cento per le società di persone con un fatturato inferiore a 65 mila euro. Il che potrebbe portare, secondo il vice ministro Laura Castelli, a entrate aggiuntive non ancora contabilizzate per due miliardi.

Ma al di là del 2019, la vera partita sarà sul bilancio 2020. La lettera all’Europa ricorda che il Parlamento ha invitato il governo a riformare l’Irpef e a evitare gli aumenti automatici di imposte indirette oggi contabilizzati a bilancio. La riforma fiscale voluta dalla Lega (a oggi un mostro tributario con Irpef al 15 per cento per le famiglie con redditi sotto i 50 mila euro e aliquota accorpata al 39 per cento per gli altri individui) ridurrebbe le entrate fiscali di 17 miliardi, oppure “solo” di 8 miliardi nel caso in cui la riforma fiscale colga l’occasione per cancellare la misura marchio dell’era renziana, gli 80 euro, che oggi “valgono” entrate per circa 9 miliardi. Cancellare le clausole di salvaguardia delle imposte indirette per il 2020 richiederebbe di trovare risorse per 23 miliardi. In tutto, dunque, il conto di maggiori risorse da reperire oscilla tra i 31 e i 40 miliardi. Nella risposta a Bruxelles si menziona, senza ulteriori dettagli, l’attivazione di “un programma complessivo di revisione della spesa corrente e comprimibile”. Ma bisognerebbe ricordarsi che con le spending review del passato è stata attenuata la crescita della spesa, mentre riduzioni dei livelli di spesa pubblica non sono mai arrivate.

Con queste premesse, non è strano che la lettera del governo italiano abbia trovato un’accoglienza gelida a Bruxelles dove – per tutti – ha parlato il commissario Moscovici: “Prenderemo anche in considerazione la risposta di Conte, ma in questo momento una procedura per debito è giustificata, quindi andiamo a lavorare, in maniera costruttiva, per evitarla. Ma non lo si fa attraverso scambi, commenti sulle regole: lo si fa sul rispetto delle regole che sono intelligenti e favoriscono la crescita”.
Alla letteronzola del governo bisognerà aggiungere qualche dettaglio per convincere i partner europei a non andare avanti nella procedura di infrazione.

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(da www.lavoce.info)

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