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I lettori di Fucinaidee già conoscono la penna graffiante di L.M.L. Ora ne conosceranno un’altra: una penna da cui sgorga una prosa pervasa da una vena poetica, la cui scorrevolezza evoca quasi l’armonia di una lirica romantica.

  L.M.L. ci offre un quadro di un tempo che fu, certo con la nostalgia di chi ne ricorda i tratti di semplice e spontanea felicità, ma anche con la consapevolezza che quei tempi appartengono ad un passato che mai più potrà tornare.

Paolo Razzuoli

 

 

L’UNIVERSO UMANO DI CORTE PIAGGE

 

Di L.M.L.

 

In corte Piagge viveva una ciurma di bimbetti e ragazzotti di varia età, figli di coniugi di cui almeno uno era nato e cresciuto lì, in Corte Piagge, appunto, dietro il Viale Carlo del Prete, un microcosmo di affetti e relazioni sincere e tenaci, tramandate di generazione in generazione.

C’erano coppie formate da vedovi risposati, ciascuno dei quali si prendeva cura dei figli dell’altro con lo stesso amore che riservava ai propri; Mario e Cetta avevano preso in casa anche gli orfani del fratello di lui. Landa era rimasta vedova a 28 anni con tre bimbi piccoli: le donne di corte facevano a gara ad aiutarla in ogni modo. Anche un piatto di minestra era prezioso in quegli anni ’30 del XX secolo, nonostante la retorica celebrazione delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Italia fascista!

Le case erano ( e lo sono ancora sebbene abitate, salvo rare eccezioni, da non “indigeni”) come tutte le case di corte: una attaccata all’altra, come una attaccata all’altra erano le famiglie che ci vivevano: genitori, nonni, figli amici per la pelle e per la vita , anche i“dami” o “dame” ( fidanzati/e nda) di fuori, introdotti nella cerchia, venivano accolti con fraterno affetto, solo per il fatto di esser stati scelti da uno, o una, di corte.

Qui si componevano per aggregazione naturale gruppi  formati  da membri delle singole famiglie e selezionati per età: i giovanotti, i ragazzi, i bimbi, ed ogni gruppo frequentava la stessa scuola, la stessa classe, si divertiva con gli stessi giochi mentre i grandi badavano a loro, ma con discrezione, perché pericoli non ce n’erano, tutt’al più qualche ginocchio sbucciato o un bernoccolo in testa, spesso provocati da cadute dagli alberi dove si saliva per rubare la frutta ancora acerba.

 Durante le sere estive si stava tutti insieme a veglia all’aperto: il ricordo di quando Egidio comprò un cocomero di 10kg e ne distribuì una fetta ciascuno è  rimasto indelebile, perché il cocomero era per i più un irraggiungibile oggetto del desiderio ed anche perché, a più di uno, provocò un forte mal di pancia per l’ingordigia di mangiare anche il bianco della buccia!

Il tempo intanto passava veloce e i ragazzini nati negli anni’20 erano cresciuti, avevano cominciato a lavorare, continuavano ad essere amici e a frequentarsi anche nelle semplici divertenti attività del tempo libero.

Anna Maria, la figlia di Cesare ed Amelia, forse la più bella delle ragazze di corte, si fidanzò con Achille, che lavorava per l’U.S.Lucchese, società calcistica cittadina dalla storia gloriosa, che era solita donare panettone e spumante ai dipendenti e ai giocatori in occasione del Natale. I fratelli minori della ragazza e tutti gli amici della corte, quell’anno 1952, trascorsero insieme la notte di S.Silvestro in casa di Mario e Cetta gustando panettone e bevendo la “sciampagna” della Lucchese. A distanza di anni, quella memorabile serata veniva ancora ricordata dai non più giovani ragazzi di corte e raccontata a figli e nipoti, increduli all’idea che una bottiglia di spumante dolcigno e un comune panettone Motta avessero potuto determinare una festa di Capodanno così riuscita.

All’ inizio degli anni ‘60 Egidio potè permettersi un lusso per i più inarrivabile: il televisore!

In estate la scatola magica veniva posta all’aperto affinchè tutti potessero godersi i programmi: ciascuno si portava la sedia e si incantava  a guardare i casti spettacoli di varietà e le commedie in prosa.

Una sera, una delle piccole di corte, Maria, impaurita dal giallo del tenente Sheridan che la Rai stava trasmettendo, presa da un impellente bisogno fisiologico, non trovò il coraggio di uscire dal rassicurante gruppo di spettatori per andare a fare pipì, resistè un po’ ma ad un certo punto, complice anche l’arietta frizzante  della sera e un passaggio di particolare suspance dello sceneggiato, si arrese e “battezzò” la sedia!

La povera bimba, scoperta, dovette subire per mesi le prese in giro degli amici, che la soprannominarono, malignamente, “la pisciona”.

Il televisore di Egidio e la radio Marelli di Cesare rappresentarono per anni gli unici canali di informazione per gli abitanti della corte:   grazie a questi si imparavano anche le canzoni di San Remo: “Volare” di Modugno costituì  il pezzo forte di uno spettacolino che i ragazzi misero su nelle stalle  di Mario, promosse a teatro, al quale vennero invitati i “vecchi” dietro pagamento di qualche spicciolo con  cui comprare le cioccolatine al latte all’Alimentari di Orfeo, luogo di delizie proibito e proibitivo per le tasche di fanciulli ignari del termine “paghetta”.

La performance dei due più piccoli, Maria e Mario jr, fu memorabile: la disgraziata, e stonata, coppia canora, in abiti zingareschi, si esibì tenendosi per mano; gli scroscianti applausi che seguirono non si è mai saputo se fossero una manifestazione di affettuoso incoraggiamento o di sollievo perché lo strazio era giunto al termine. Non che risultasse tanto migliore la performance proposta dalla showgirl Gina: “ dottore, mio marito sta male, che devo fare?” “non si preoccupi signora, ma mi raccomando, gli dia da mangiare regolato”. “Dottore, mio marito peggiora” “Ma cosa gli ha dato da mangiare?”  “Quello che mi ha detto lei: Regolato, il ciuo della stalla!” E giù risate, non del pubblico, ma della stessa Gina,  l’unica a trovare divertente la battuta. Comunque, il tutto fruttò denaro sufficiente per le cioccolatine per quel giorno e per il futuro, dato che “il pubblico” preferì  continuare ad elargire spiccioli dietro solenne promessa che mai più sarebbe stato costretto ad assistere a spettacoli di quel genere.

In corte Piagge le stagioni dell’anno mostravano in modo speciale le loro caratteristiche: il ritorno dei fiori e delle foglie in primavera, i frutti ed il sole cocente dell’estate sulle pietre e sui  muri sgretolati delle case, la fossa ghiacciata e l’erba bruciata dal gelo dell’inverno, tutto assumeva un fascino particolare, ma lo spettacolo più bello era offerto dall’autunno: Maria si innamorò di questa stagione quando, un pomeriggio piuttosto grigio di ottobre, andando a trovare i nonni, svoltò la curva di  via  delle Tagliate: sulla destra vide i campi appena arati, sentì il profumo della terra smossa  e dell’uva fragola, con i grappoli neri che occhieggiavano tra il rosso ed il giallo dei pampini.

Le foglie dei pioppi , giunte alla fine della loro breve vita, regalavano, a chi volesse goderne, lo spettacolo di un colore dorato, reso più brillante dal vento che le agitava. La nebbiolina profumata di buono rendeva i campi lontani ed indistinti, e smorzava i mille colori delle piante in tonalità più discrete ed ancora più varie. Alla bambina  sembrò di sentire anche il sentore acre delle castagne messe ad arrostire nella brace dei caminetti, che sicuramente erano accesi nelle case a mitigare il primo pungente soffio della nuova stagione.

Dopo tanti anni, Maria ricorda ancora quel giorno e ricordandolo capisce perché, nella sua carriera di studentessa prima e di insegnante poi, abbia amato così profondamente  la poesia di Giovanni Pascoli:  capace di dare voce in modo tanto profondo allo spettacolo colorato dell’autunno, ai suoi profumi, alle dolci malinconie dei primi brividi di freddo sulla pelle.

Autunno significava anche inizio della scuola, il primo di ottobre, quando si riponevano (perché le stagioni allora erano ben delineate e definite) sandali e calzoncini corti e si tornava  ad indossare, sotto i grembiuli con il fiocco rosa o celeste, le maglie di lana, confezionate dalle nonne durante le ore delle chiacchierate serali in corte.

Per alcuni dei ragazzi delle Piagge cominciava l’agonia:  Iolanda  ogni mattina sospirava “Buon per le galline che non vanno a scuola!” avviandosi al “supplizio” per mano a Guido, affine per età e per l’inesistente voglia di studiare.

Ma il più coriaceo, il più refrattario, il più renitente allo studio  era Nilo: a 14 anni frequentava ancora le elementari ed ogni giorno dopo la scuola, al suo ingresso in corte con il grembiule nero che lasciava scoperte gambe pelose da adolescente, veniva accolto dai lazzi impietosi dei più piccoli, che sfogavano sul disgraziato “miccio” la stizza  per la supponenza del gruppo dei più grandicelli, di cui Nilo, per età se non per testa, faceva parte.

In questo piccolo universo, come ovunque, il tempo ha continuato a trascorrere imperterrito ed impietoso: i nonni se ne sono andati con la stessa discrezione con cui hanno vissuto la loro esistenza umile, nascosta  e grande, quasi eroica, nell’affrontare  anni ed eventi difficili, spesso tragici. I ragazzi, ormai grandi, sono andati a vivere altrove e la corte è rimasta sola e silenziosa a ricordare con nostalgia il chiasso ed i giochi di un passato sempre più lontano. O meglio, il chiasso gioioso è quello che ha perduto e che le manca, perché ai suoi  confini si vive un putiferio continuo e fastidioso causato dal traffico ormai insostenibile di via delle Tagliate e dall’attività del supermercato che ha preso il posto del grande orto di Vittorio con i suoi alberi di pesche, le piante di fragole, i peri; delle gabbie per le galline di Amelia con a lato il ciliegio di Mario; della casa stessa di Mario, acquistata e demolita dalla società a cui fa capo la catena, per ampliare il parcheggio.

Siamo rimasti in pochi, ormai, a conservare questi ricordi, per noi unici, ma certamente simili a quelli di tanti altri che hanno avuto la fortuna di crescere in una corte in anni in cui i rapporti umani si consolidavano con l’età.

Dedico il modesto frutto della mia memoria a tutti coloro che hanno vissuto e condiviso con me ciò che qui è stato raccontato e a quanti ci hanno accompagnato con le loro cure ed il loro affetto ed oggi riposano a “Sant’Anna”, il camposanto che sorge nei pressi di Corte Piagge.

 

Lucca, 23 giugno 2019

 

 

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