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Elezioni europee: i segnali da leggere con realismo e lungimiranza

di Paolo Razzuoli

Qualche giorno prima delle elezioni ho proposto una riflessione intitolata "Il 26 maggio votiamo pensando all’Europa". Ho inteso così sottolineare che, pur non ignorando i riflessi del voto sul fronte interno, era all'Europa che gli elettori avrebbero dovuto guardare al momento della loro scelta elettorale. Ebbene, anche se in Italia non si parla d'altro che delle conseguenze del voto sugli equilibri politici interni, immediati e a medio termine, è sul versante europeo che intendo spendere qualche parola di commento.

Parto da un rapido riassunto dei risultati elettorali italiani.
Con 61.576 sezioni scrutinate su 61.576, (quindi risultati assolutamente definitivi), la Lega è al 34,33? per cento (alle Politiche aveva il 17,4, alle Europee del 2014 appena il 6,2).
Il Pd ottiene il 22,69 per cento (contro il 18,8 delle Politiche e il clamoroso 40,8% delle Europee con Matteo Renzi). E sorpassa il Movimento 5 Stelle.
Il partito di Di Maio è al 17,07 per cento (alle Politiche aveva 32,7, alle ultime europee il 21,2).
Forza Italia è all'8,79 (alle Politiche era al 14).
Chiara la crescita di Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, al 6,46 per cento.
+Europa si attesta al 3,09; Europa Verde al 2,29; La Sinistra all'1,74; Partito comunista 0,88; Partito animalista 0,60.
Sono solo cinque, dunque, i partiti che superano lo sbarramento del 4% dei voti per accedere al riparto dei seggi.

Non vi è dubbio che in Italia i sovranisti abbiano conseguito un risultato importante, anche se, sommando i voti della Lega e del M5S i totali in voti reali (quindi non in percentuali) riservano qualche sorpresa rispetto a quelli del 2018; sono radicalmente cambiati i rapporti fra di loro, non il saldo complessivo, inferiore a quello del 2018. Diverso è invece il ragionamento se confrontato con il risultato del 2014: ma con i ritmi frenetici con cui si evolve la politica, al pari di ogni altra esperienza nel tempo che viviamo, quelle elezioni appartengono ad un'altra epoca.

Altro paese in cui la cultura nazionalista ha ottenuto un ottimo risultato è l'Ungheria, in cui ha sbaragliato la lista del premier Orban.

In Francia il Rasseblement National di Marine LePen non è andato oltre il risultato precedente, ed anche in Germania, dove la CDU ha perso, non ha guadagnato la destra di AFD.
Insomma, l'avanzata dei sovranisti non consentirà loro di guidare il governo europeo. I partiti europeisti, se pur indeboliti soprattutto nelle loro componenti tradizionali (Popolari e Socialisti), potranno ancora governare, se pur con una coalizione allargata ai Liberali (ALDE), e magari anche ai Verdi, che hanno avuto un risultato di tutto rispetto.

Ma sarebbe un grave errore se ci si limitasse a tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. L'affermazione dei nazionalismi non nasce per caso; non è un bizzarro incidente della storia. E' un'affermazione che viene da lontano, e che affonda le radici nella incapacità delle classi politiche dominanti di dare risposte alle sfide ed alle paure del nostro tempo. Paure e ansie correlate con uno sviluppo che genera incertezze, che, nella sua radicale novità, non sembra essere capito da una classe politica che anziché governarlo sembra subirlo passivamente. Di fronte ad una politica che non riesce né a far sognare per il futuro né a rassicurare sul presente, la gente si fa ammaliare dalle sirene false ed incantatrici di un ritorno al passato, tanto illusorio quanto pericoloso.

Quindi il campanello d'allarme non può in alcun modo essere sottovalutato. Una maggioranza europeista si troverà, ma avrà senso se riuscirà ad imprimere una nuova marcia alla costruzione europea.
L’Europa, grande mercato di consumi e per questo corteggiato da tutti, è di fronte a una scelta decisiva: ritrovare nuovo slancio o rassegnarsi a un rapido tramonto per il prevalere delle divisioni. Nel primo caso potrà giocare un ruolo nella partita in corso a livello mondiale. Nel secondo è chiaro che gli Stati europei, anche quelli più forti come la Germania, dovranno rassegnarsi a essere soltanto spettatori. Sarebbe un vero peccato perché verrebbe meno un elemento di dialettica importante: l’Europa è stata, nella storia, culla della democrazia e della cultura, motore del mondo. Può e deve dare contributi importanti, per esempio, perché venga perseguito con forza e come bene assoluto l’obiettivo più importante di tutti: la pace globale, perché il tempo delle guerre venga superato. Possibilmente per sempre.

Ma l'Italia non può essere certo uno spettatore passivo. Purtroppo, con questo governo e questa maggioranza il nostro paese sarà sempre più isolato e la sua credibilità sarà sempre minore.
Invece l'Italia dovrebbe attrezzarsi per non restare "in panchina". Potrebbe farlo perché, nonostante tutto, siamo la seconda industria manifatturiera europea, perché abbiamo risorse che tutti ci invidiano, perché su molti fronti continuiamo ad essere i migliori.
Ma per avere un ruolo occorre archiviare il teatrino della politica, la demonizzazione dell ’avversario ad ogni costo, la ricerca del consenso a prescindere dai contenuti, la demagogia e la superficialità che prendono il posto della capacità di visione sugli scenari futuri.
E con la situazione politica attuale questi sembrano obiettivi lunari!!!

Certamente, almeno in Italia, è stata una campagna elettorale in cui di Europa si è parlato meno del dovuto. E anche la prima ondata di commenti ha avuto come priorità la situazione interna. Tutti argomenti giustificati dalla straordinaria incertezza e dalle emergenze che, a partire dall’andamento dei conti pubblici, risulteranno evidenti nei prossimi mesi. Sul fronte interno c’è una priorità: la politica deve al Paese chiarezza. All’orizzonte si distingue bene un fronte di pioggia battente che avanza rapido e può trasformarsi facilmente in tempesta capace di fare danni enormi. I conti dell’economia non tornano. Entro l’anno, per farli quadrare, sarà necessario trovare da 30 a 45 miliardi, che non sono poca cosa. Le politiche di austerità hanno fallito perché la riduzione dell’imponente debito pubblico richiede sviluppo economico, ma finora la capacità d’investire sulla crescita con determinazione è mancata. È bene non perdere altro tempo. Il rischio è che i mercati finanziari non ne concedano più. E, se lo spread andrà fuori controllo costringendoci a pagare prezzi drammatici, la colpa non potrà essere data alla speculazione internazionale.

Ascoltando o leggendo i commenti di queste ore, non sembra che ci sia consapevolezza della situazione. Non sembri retorico il richiamo ai capponi di Renzo di manzoniana memoria. Di fronte alla necessità di una profonda riforma del sistema paese, anzitutto per cercare di accrescerne la produttività, non si fa altro che ripetere le solite narrazioni, logore, stanche ed inutili.

Posto che occorre molta cautela nella valutazione del risultato di queste elezioni sul versante interno, il quadro non è certo incoraggiante. Solo una classe politica credibile, forte e capace di visione e progettualità, potrà trovare il coraggio di imboccare un percorso veramente riformista per l'Italia. Al momento non se ne vede traccia all'orizzonte.

Lucca, 27 maggio 2019)

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