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Il 26 maggio votiamo pensando all’Europa

 

Di Paolo Razzuoli

 

     Il titolo di queste riflessioni può sembrare banale; si dirà: “Ma se si vota per il Parlamento europeo a cosa vuoi che si pensi?”.

  Ebbene, le cose non stanno proprio così. Per molti decenni le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo sono state vissute come una sorta di referendum (in verità assai costoso) sul governo in carica nei rispettivi paesi e – conseguentemente - sulle maggioranze che li sostenevano.

Chi era contro il governo lo segnalava votando, alle elezioni europee, per un partito di opposizione mentre tanti fra quelli che gli erano meno ostili si astenevano.  

 Pochissimi conoscevano le istituzioni europee ed i meccanismi del loro funzionamento. L’europa del resto non era un tema politicamente divisivo nelle varie comunità nazionali; sin dalla sua nascita, l’Europa era vissuta come una faccenda delle élites. Gli elettori erano generalmente favorevoli poiché l’integrazione europea era percepita come una condizione capace di accrescere il benessere per tutti.

  Era così già nel 1979, anno dello svolgimento delle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, di cui ricordo perfettamente la temperie politica ed il “sentire” degli elettori.      

  Si può quindi dire, anche se ciò sembra paradossale, che è la prima volta in cui l’Europa

avrà qualcosa a che fare con le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo: una parte almeno dei cittadini europei voterà pensando all’Unione, sceglierà

un partito o l’altro in funzione dei suoi orientamenti in materia di integrazione europea.

  In verità qualche segnale già lo abbiamo avvertito da una quindicina d’anni.

Il primo segnale che le cose stavano cambiando arrivò con il referendum sul trattato costituzionale in Francia del 2005. Poi la combinazione

fra una decennale crisi economica e i flussi migratori ha consolidato la tendenza. Il resto è cronaca di questi anni: la Brexit, i successi elettorali

di movimenti politici ostili all’Europa detti sovranisti. Adesso, all’interno di ogni comunità nazionale, sull’Europa ci si divide. La disinformazione

di un tempo, per quel che se ne sa, è rimasta: moltissimi europei continuano a non sapere quasi nulla di come funzionano le istituzioni dell’Unione, per

esempio, di che cosa andranno a fare gli eletti al Parlamento da loro stessi votati. Ma l’area del disinteresse si è almeno in parte ridotta.

   Questo è naturalmente un bene perché la consapevolezza è la base di ogni scelta elettorale, e non solo.

 

Versante interno e versante europeo

 

   Ma non si può nascondere che esista un intreccio fra il versante interno e quello europeo, cioè una corrrelazione fra il risultato delle elezioni ed i suoi riflessi sui due crinali.

 Ora cercheremo di indagarli.

 

Versante europeo

 

  Sul versante europeo la vittoria dei cosidetti "sovranisti" imprimerebbe una pericolosa svolta al processo di integrazione europea: direi l'idea di orizzonti più ampi prodotta dalla politica del nostro continente.

Credo che non dobbiamo mai dimenticare, pur nella consapevolezza dei limiti e degli errori, cosa era l'Europa alla fine degli anni '40: un ex campo di battaglia con macerie ancora fumanti, un continente che si è trovato sull'orlo dell'abisso dell'autodistruzione, quale esito drammatico e fatale delle esasperazioni dei nazionalismi e della loro implicita carica di aggressività.

Un quadro che i giovani di oggi, che si muovono senza difficoltà in gran parte del continente non riescono nemmeno ad immaginare anche perché, purtroppo, la scuola fa sempre maggior scempio della storia.

   Se è pur vero che il percorso europeo è stato anche punteggiato da incertezze ed errori, stiamo attenti di non "gettare il bimbo con le acque sporche". Il dietrofront sull'integrazione europea si presenta come la più drammatica autocondanna, come il più pesante macigno che noi potremmo mettere sul futuro dei nostri figli.

  Certo, il percorso va sottoposto ad analisi seria, senza reticenza alcuna, per comprendere e correggere. 

Infatti i  movimenti anti-europei non sono nati per caso, non sono un incidente di percorso più o meno irrazionale e incomprensibile. Sono il frutto di tutto ciò che non va nell’Unione europea così come è oggi. La peggiore scelta sarebbe la più facile, la meno costosa politicamente (nel breve periodo): la scelta dell’inerzia.

Sarebbe tuttavia la scelta politicamente più costosa nel medio-lungo orizzonte, quella che, con ogni probabilità, farebbe morire per asfissia la stessa idea di integrazione.

 Ma occorre - come dicevo - avere il coraggio di indagare il percorso, a partire da certi vizi di origine che sono stati nascosti come la polvere sotto il tappeto; fra questi uno incompatibile con una visione federalista, vale a dire una smania regolamentatrice laddove non se ne avvertiva il bisogno, ed un assordante silenzio laddove invece sarebbe stato necessario far sentire, forte e chiara, la voce di una vera politica.  

 Una governance capace - tanto per fare un esempio - di regolamentare la pezzatura della frutta, o di deliberare sulla gestione delle spiagge (direttiva Bolkestein), mentre è assente sulla politica estera, sulla regolamentazione del commercio mondiale o sul fondamentale tema dell'immigrazione.

  Ma volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, mi piace ricordare che di fronte alle situazioni di crisi l'Europa ha mostrato in passato di saper trovare quel colpo di reni necessario per andare avanti. E' auspicabile che la crisi di questi anni possa contribuire alla maturazione complessiva dellaimprorogabile necessità di cambiare passo. Ma occorre arrestare la marcia dei sovranisti. Occorre farlo nella consapevolezza che questa è la vera emergenza e la vera priorità. Una priorità che travalica le tradizionali divisioni destra-sinistra; oggi il vero crinale è fra coloro che vedono nell'Europa una opportunità, anzi dico chiaramente una necessità, negli scenari globali le cui conseguenze peraltro sembrano non trovare capacità di indagine adeguata, e coloro che invece pensano di risolvere le criticità del nostro tempo tramite un nostalgico ed infruttuoso ritorno ad una dimensione nazionale.

  In vista dell’appuntamento con gli elettori europei, uno sforzo di elaborazione politica c’è stato, purtroppo con la solita assenza italiana.

Allegati a questo contributo potrete leggere due documenti, uno di Emmanuel Macron e l’altro    di Annegret Kramp-Karrenbauer (Segretario della CDU) che, pur nelle loro differenze, offrono importanti elementi di confronto politico sul crinale europeista. 

 

Il versante interno

 

  La maggior consapevolezza dell’orizzonte europeo del voto del 26 maggio non esclude certo la sua portata sul versante interno. 

Negli ultimi tempi la politica italiana è stata un continuo e crescente battibecco fra le forze di maggioranza. Una situazione insostenibile, oltre che disgustante, che certo non potrà proseguire.

   Non è facile immaginare gli esiti del voto del 26 maggio.

 Qui da noi giocano le solite propensioni trasformiste,

gli atteggiamenti di certi uomini tutti d’un pezzo, dotati di principi che non si spezzano ma che, in compenso, possono piegarsi in qualunque direzione.

 Come certamente avrete potuto constatare, i nostri euroscettici oggi al governo non minacciano più referendum sull’euro e/o altri sfracelli, dicono ora solo di voler cambiare — come dei riformisti qualsiasi — l’Europa che c’è.

Qualcuno potrà chiedersi se sono rinsaviti; io non credo proprio perché, leggendo oltre gli stanchi e stucchevoli loro slogan, ci sono i comportamenti più che eloquenti.   

  Più che aver quindi capito che rompere con l’Europa sarebbe un suicidio collettivo, probabilmente, compulsando i sondaggi, hanno preso atto che gli italiani non li seguirebbero in una avventura

anti europea.

 Quindi non conviene dichiararsi antieuropei in modo aperto, salvo poi tenere comportamenti che, de facto, ti marginalizzano sempre più sino a metterti fuori.

 Qui da noi è stata poi alimentata una forma strisciante di antieuropeismo, riconducibile al vezzo italico di scaricare su altri le proprie inadeguatezze e/o incapacità. Un vezzo alimentato anche da forze non certo antieuropeiste e che, massimizzando i danni, hanno finito per portare acqua al mulino dei  sovranisti.

  Quante volte abbiamo sentito ripetere il mantra “ce lo chiede l’Europa”. Quante volte lo abbiamo sentito anche da versanti non certo ostili al progetto europeista.

 Un atteggiamento irresponsabile, che nasconde vizi gravi e consolidati della politica italiana: l’incapacità di assumersi sino in fondo le proprie responsabilità, la facile ricerca di un capro espiatorio, la ricerca del consenso immediato in barba a qualsiasi orizzonte più ampio.

  Anche il quadro dell’offerta politica è da noi molto particolare, a partire dalla circostanza che qui non c’è chi possa rappresentare degnamente la tradizione riferibile al Partito Popolare Europeo. E mi riferisco alla tradizione vera, quella che affonda le radici nel pensiero di De Gasperi o di Adenauer, che è alla base dell’orizzonte europeista, che rifiuta ogni compromesso con chi in tale orizzonte non si riconosce, sapendo bene che questo è un confine invalicabile.

  Forza Italia, che pur ancora appartiene alla famiglia del Ppe, ogni giorno invita Salvini a staccare la spina del governo con il M5S, per tornare “all’ovile” del centrodestra. Quasi che se ritorna con Forza Italia, d’un lampo, la Lega si “redimesse dai suoi peccati”.

 E’ questo un capolavoro di trasformismo, un esempio mirabile di “politica senza pensiero”, il paradigma di una politica dominata dalla dittatura del presente.

   E’ un quadro desolante, che priva di una rappresentanza politica dignitosa tutti coloro – come chi scrive – che si riconoscono nella più alta tradizione politica del popolarismo europeo.

  Ma anche dall’altra parte il quadro non è poi così chiaro, visto che, se pur in modo sotterraneo ma crescente, non mancano nel Pd coloro che fanno l’occhiolino ai grillini, in nome di un comune nemico.

 Si evoca poi il nobile obiettivo politico di “sistemizzare” gli antisistema; ebbene, mai si è vista così grande illusione, come molti eventi della nostra storia stanno a testimoniare.

   Insomma, non è facile capire come si comporterà l’elettorato; è possibile che la Lega abbia un forte incremento, e ciò potrebbe alimentare la tentazione di Salvini di tirare la corda sino a romperla.

 Ma su un altro tema mi pare si debba maggiormente riflettere, cioè su come costruire un’alternativa seria e credibile alla demagogia, al populismo, ad una politica che non fa più sognare.

  E qui ci vorrebbe veramente uno scatto di consapevolezza da parte di coloro che hanno coscienza della complessità della situazione; uno scatto di assunzione di responsabilità che facesse cadere desuete barricate, in nome di una situazione di assoluta emergenza.

    Nell’archivio della presidenza del Consiglio ci sono alcune foto scattate fra la fine del 1945 e l'inizio del 1946 in cui si vedono, assieme, De Gasperi, Nenni e Togliatti. Tre figure molto diverse e con orizzonti politici altrettanto divaricati. Ma accomunate da un obiettivo, quello di costruire il nuovo stato democratico. Poi ve n'è un'altra, del 27 dicembre 1947, data della firma della Costituzione, in cui si vedono Enrico De Nicola, Umberto Terracini e De Gasperi, anche qui figure molto diverse, che con la loro firma sancivano una tappa fondamentale della costruzione del nuovo stato, se pur in un clima molto diverso da quello del 1946, e a pochi mesi dallo scontro epico del 18 aprile 1948.

  Certo eravamo in uno scenario incomparabile con l'attuale, e di fronte a giganti della nostra storia. Ma uno sforzo comune per provare a rimettere il paese su un binario virtuoso dovrebbe essere ricercato.

  Oggi la vera emergenza è quella di sconfiggere la demagogia, i falsi populismi, la politica fatta di soli slogan e sondaggi. Per questo occorre saper guardare oltre gli orizzonti del presente, sapersi staccare dalla logica del consenso immediato, ridare pensiero alla politica ed avere il coraggio di dire la verità alla gente.

 Uno sforzo erculeo, vista la realtà, ma una strada obbligata, in una fase in cui il processo di sfaldamento del nostro tessuto sociale richiede una "manutenzione straordinaria".

  Sarebbe pertanto auspicabile che, dopo le europee ormai i mminenti, le attuali forze di opposizione non si limitassero a rincorrere il governo sul suo stesso terreno, corsa già persa in partenza, ma trovassero la capacità di imboccare una strada nuova e coraggiosa.

  Non sarà facile, ma chissà, l'Italia è un paese dopo tutto ricco di risorse!!!

 

Conclusioni

 

    Anzitutto è necessario dare un voto per l'Europa, per guardare in avanti, pensando alle prossime generazioni.

Dare un voto all'Europa senza se e senza ma, tenendo la barra ben salda sull'Europa, al di fuori di qualsiasi condizionamento di natura interna.

  Una scelta quindi per una forza che abbia l'Europa nel suo Dna, senza tentennamenti e senza equivoci.

 Una scelta complicata per coloro che si riconoscono nella storia del popolarismo europeo, che in Italia non hanno una adeguata rappresentanza, come sopra ho cercato di dimostrare.

Una scelta che sarà faticosa ma indispensabile, posto che è importante la coerenza con un progetto e non con una sigla.

Una scelta che, come ebbe a dire il grande Montanelli, molti faranno "turandosi il naso". Ma è una scelta che siamo chiamati a compiere....

    Probabilmente gli euroscettici non riusciranno ad ottenere la maggioranza nel Parlamento di Strasburgo, ma un loro successo sarebbe comunque una iattura per l'intera Europa e per l'Italia in modo particolare.

Un significativo successo delle forze sovraniste, ancorché non sufficiente per dar loro la maggioranza, finirebbe per condizionare in senso "nazionalista" le scelte complessive. Ormai la capacità di sapersi decondizionare dalla dittatura del presente è merce rara, in Italia e fuori.

In una logica del genere, ispirata all'egoismo più che alla solidarietà, i sistemi fragili come il nostro finirebbero per essere inevitabilmente penalizzati. Sembra se ne stiano accorgendo anche i nostri sovranisti, almeno a giudicare da qualche affermazione letta in questi giorni.

  Mentre l'Italia dovrebbe partecipare da protagonista ai vari tavoli europei (gliene dà diritto la sua storia ed il suo ruolo di fondatrice dell'Ue), ormai da tempo sembra essere posta ai margini delle decisioni che contano davvero. E non da ora, per la sua scarsa credibilità nel concerto europeo, ma con una forte accentuazione da quando questo governo sta mettendo in atto politiche inesorabilmente destinate ad isolare il paese.

Proseguendo su questo cammino, forse nessuno ci butterà fuori dall'Euro o dall'Ue; ma potrebbe essere fatto in modo surrettizio, tramite regole che non saremo in grado di rispettare.

   Come dicevo sopra, il voto per l'Europa non si identifica con il voto per un'Europa inerte.

Ma va ben chiarito come cambiarla perché i cambiamenti possono essere migliorativi o peggiorativi.

Va cambiata nel senso di una più fertile e solida integrazione e non certo nella direzione del ritorno indietro.

Va cambiata per renderla capace di raccogliere le sfide del futuro e non certo nella direzione di un ritorno al passato.

Va cambiata per consentirle di recuperare un ruolo di protagonista nello scenario globale, dandole gli strumenti per potervi concretamente aspirare nel contesto geo-politico attuale.

 E lo sappiamo bene, ci sono affamati commensali pronti a mangiarci, se anziché sederci al loro tavolo ci mettiamo nel loro menù.

Trump, Putin, Xi Jinpin non aspettano di meglio che l'Europa si indebolisca; a quel punto non saremo al tavolo dei commensali, saremo nel loro menù.

    Sappiamo bene che la storia non è determinista, così come sappiamo bene che di sovente non accade ciò che sarebbe giusto accadesse.

E' successo tante volte nel passato e potrà accadere in futuro.

 Quindi potrà anche accadere che l'Europa, con queste elezioni, aiuti il suo declino.

Chi ne è consapevole ha tuttavia il dovere di opporvisi, con gli strumenti in possesso, primo fra questi il voto.

  Non è retorico affermare che le prossime elezioni saranno un crocivia nella storia europea.

  Siamo chiamati a dare il nostro contributo, non solo recandoci alle urne, ma compiendo una scelta che guardi in avanti, che pensi alle prossime generazioni, che contribuisca a ridisegnare il ruolo del nostro glorioso continente nei nuovi scenari globali, che dobbiamo saper leggere e gestire, e non rifiutare guardando illusoriamente ad un passato che non potrà tornare.

 

 

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Lucca, 19 maggio 2019

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