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Breve commento introduttivo

Le notizie e le immagini dell'incendio di Notre-Dame hanno provocato un senso di smarrimento e di sbigottimento che non può richiamare la simile sensazione provata al momento della notizia del crollo del ponte Morandi a Genova, o dell'incendio del Teatro La Fenice di Venezia.
Episodi, come tanti altri accaduti nel nostro paese, che ci interpellano sulle nostre debolezze, sulle nostre superficialità, sul diffuso pressappochismo, o peggio su certe connivenze, di cui ci scandalizziamo nel momento dell'emergenza, ma che poi dimentichiamo, continuando a fare come prima.
Uno dei nostri peggiori vizi, di cui dovremmo liberarci, mettendo in atto serie strategie di prevenzione e di tutela del nostro patrimonio, sia esso paesaggistico, culturale o infrastrutturale.

Ma evidentemente non è vero che "il giardino del nostro vicino è sempre più verde".
Osservando il dramma parigino, le fiamme di Notre Dame rivelano una Francia più debole e uno Stato meno efficace di quanto comunemente si creda. E di quanto si ostinano a volere credere i francesi.
Ovviamente questo per noi non costituisce alcun alibi: anzi, l'episodio ci ammonisce sulla fragilità del patrimonio culturale e sulla necessità di proteggerlo, mettendo in atto tutti gli strumenti necessari. Un ammonimento per noi tanto importante, in ragione della straordinaria quantità e qualità di beni preziosi che le generazioni passate ci hanno donato.
Un patrimonio che, al di là del suo valore in sè, può rappresentare, nell'odierno mondo globalizzato, un potentissimo motore di sviluppo.

Paolo Razzuoli

Piangiamo su Notre-Dame, ma la verità è che non è mai stata protetta davvero

di Massimo Nava

Le pietre ci sopravvivono. Per questo i grandi monumenti, le cattedrali, le moschee, i templi sacri dell’antichità rappresentano una continuità umana, plurisecolare, oltre le nostre brevi vite biologiche: «Roma città eterna», si dice. E per questo l’incendio di Notre Dame ha provocato una sensazione di smarrimento, al di là di ogni convinzione spirituale e culturale. Sono il vuoto, il senso della fine, il crollo della memoria collettiva a farci sentire più disarmati, più soli.

Così osserviamo e comprendiamo oggi la Francia, dove questa sensazione è ovviamente più forte e dolente fin dai primi istanti in cui le fiamme avvolgevano la Cattedrale. Per questo oggi ci sentiamo un po’ tutti francesi, come ci sentimmo un po’ tutti americani all’indomani dell’11 settembre. Per quanto diverse nella genesi e nelle cause, le due tragedie si sfiorano, quasi si toccano, nella dimensione della sconfitta, del ripiegamento, dello smarrimento di fronte a forze almeno momentaneamente invincibili e occulte, siano esse il terrore o il destino. Un Paese e uno Stato che si ritengono forti, potenti, efficienti, soprattutto negli ambiti in cui sono in gioco la sicurezza e la protezione di beni comuni, appaiono all’improvviso deboli, fragili, esposti ad ogni genere di aggressione.

Ricordiamo come il crollo delle torri gemelle indusse, oltre che alla dietrologia più sfacciata, a dolorose riflessioni e violente polemiche sul sistema di sicurezza e sulla prevenzione da attacchi di qualsiasi genere. Oggi, se ci sforziamo di mettere fra parentesi commozione e solidarietà, non è possibile eludere qualche sgradevole domanda e qualche imbarazzante riflessione sulla tremenda notte di Parigi.

Una volta esclusa oltre ogni ragionevole dubbio la pista terroristica, è però ragionevole chiedersi se un gesto folle o un piano criminale avrebbero potuto essere in ogni caso sventati, dato che Notre Dame non sembrava particolarmente tenuta sotto sorveglianza e al riparo.

La Francia e Parigi hanno subito in questi anni una spaventosa offensiva terroristica e continuano a vivere in questi mesi l’ondata di proteste dei gilet gialli, messa in scena da venti sabati con contorno di assalti, distruzioni e incendi. Nel mirino, fra l’altro, molti simboli della capitale, compreso l’Arco di Trionfo, assaltato e sfregiato. È lecito chiedersi se il simbolo più famoso e al tempo stesso più fragile non meritasse più attenzione e se non ci siano state falle e crepe nell’insieme del “sistema”, considerando anche la frequenza di disgrazie accidentali negli abitati più antichi?

Un’altra considerazione riguarda lo stato di abbandono e decadenza di molte chiese e l’urgenza di lavori di restauro e consolidamento della stessa Notre Dame, dopo che le autorità ecclesiastiche si erano spese in appelli e richieste di aiuto. La laicità dello Stato prevede che lo Stato si accolli la manutenzione dei monumenti religiosi, da alcuni dei quali, come nel caso di Notre Dame, riceve importanti introiti e ricadute dal turismo. Finalmente i lavori di manutenzione sono stati avviati, ma è lecito chiedersi se l’organizzazione avesse previsto un sistema antincendio e di sorveglianza all’altezza dell’importanza della Cattedrale e della sua fragilità. Non si spiega come strutture in legno che hanno resistito per secoli ad attacchi e rivoluzioni siano bruciate in pochi attimi come paglia al vento sotto gli occhi del mondo.

Nessuno di noi è un tecnico per suffragare questi interrogativi, ma l’ipotesi di disgrazia accidentale subito avanzata dagli inquirenti appare un po’ sbrigativa, come se fossero già escluse responsabilità a qualsiasi livello. Né avrebbe senso dare esclusivamente la colpa a un crudele gioco del destino alla vigilia di Pasqua, come se le belve di marmo aggrappate alle guglie di Notre Dame si fossero stancate di proteggere la Francia.

Se osserviamo il dramma parigino con occhi italiani, pensando alle nostre catastrofi a volte dolose, a volte naturali, quasi mai esclusivamente accidentali (dai ponti che crollano ai famosi teatri che s’incendiano), le fiamme di Notre Dame rivelano anche una Francia più debole e uno Stato meno efficace di quanto comunemente si creda. E di quanto si ostinano a volere credere i francesi.

(da www.linchiesta.it)

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