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Crac bancari: azionisti a caccia di rimborsi

di Raffaele Lungarella e Francesco Vella

Il governo ha annunciato di aver raggiunto un accordo con le associazioni dei risparmiatori danneggiati dai fallimenti bancari. Non si sa se passerà il vaglio comunitario, né si conosce in dettaglio il suo contenuto. Ma che messaggio dà al mercato?

Le previsioni della legge di bilancio 2019

La legge di bilancio 2019 ha disciplinato (commi 493-507 articolo 1 legge 145/2018) un fondo indennizzo risparmiatori (Fir) per rimborsare chi ha subito un “pregiudizio ingiusto” in violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede e trasparenza previsti dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria (Tuf). Il Fir ha una dotazione di 1.575 milioni di euro (525 per ognuno degli anni 2019, 2020 e 2021) ed è rivolto solo ai clienti, non classificabili come controparti qualificate e come professionali, degli istituti posti in liquidazione coatta amministrativa tra il 17 novembre 2015 e il 31 dicembre 2017, cioè a quelli di Veneto Banca, Popolare di Vicenza, Banca Apulia, Banca Nuova, Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, Bcc Crediveneto e Bcc Padovana.
L’indennizzo è accordato per l’acquisto sia delle azioni sia delle obbligazioni subordinate emesse da quelle banche. In entrambi i casi, l’importo massimo del rimborso non può superare i 100 mila euro.
Per ogni azionista e obbligazionista l’ammontare del rimborso non può eccedere rispettivamente il 30 per cento e il 95 per cento della spesa sostenuta per l’acquisto del titolo. I risparmiatori con Isee 2018 inferiore a 35 mila euro hanno priorità nell’accesso al fondo, ma quelli che superano il limite non sono comunque esclusi dal rimborso.

Ritorno all’antico

Il Fir non è il primo fondo istituito per queste finalità: prima ha operato quello, disciplinato dal decreto legge 59/2016, a favore dei risparmiatori di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara. Per ottenere il risarcimento bisognava rientrare in due limiti: 100 mila euro di proprietà mobiliare e 35 mila euro di imponibile Irpef nel 2014.
La novità del Fir risiede nell’allargamento dei confini del “pregiudizio ingiusto” come presupposto per aver diritto al risarcimento, ma soprattutto nell’ampliamento della platea dei beneficiari, che ricomprende adesso anche gli azionisti, senza alcun limite economico per l’accesso al ristoro.
Il recente accordo, da quanto si apprende dai giornali, interviene proprio su quest’ultimo profilo, reintroducendo un filtro per l’accesso: al risarcimento sarebbero infatti ammessi i risparmiatori che nel 2018 avevano un Isee non superiore ai 35 mila euro o in alternativa un patrimonio inferiore a 100 mila euro. In sostanza, anche se il rispetto dei due limiti non è previsto congiuntamente, almeno su questo punto, si tornerebbe “all’antico”. L’erogazione del risarcimento dovrebbe essere automatica, salvo il controllo sulla correttezza della documentazione presentata, per i risparmiatori la cui condizione economica sia entro questi limiti, mentre sarebbe assoggettata a un accertamento del pregiudizio ingiusto per quelli che li superano.

Non esistono pasti gratis

Al di là delle sacrosante esigenze di tutela dei risparmiatori, vittime, non bisogna dimenticarlo, di una frettolosa e poco mediata entrata in vigore della nuova disciplina comunitaria sulle crisi bancarie (e infatti la stessa Comunità la sta ripensando), le nuove misure, rivolgendosi anche agli azionisti, corrono il pericolo di lanciare messaggi distorsivi al mercato e a tutta la collettività.
Le cronache sui dissesti bancari hanno reso di dominio pubblico la prassi di condizionare la concessione del finanziamento all’accettazione di un ulteriore affidamento da utilizzare per acquistare azioni della banca, con clienti che di fatto diventavano azionisti “coatti”.
Ma il venir meno delle regole di correttezza previste dal nostro ordinamento (le cui singole violazioni sono giustamente sanzionate quando effettivamente accertate) non può tradursi in un riconoscimento generalizzato di un ristoro a chiunque abbia acquistato azioni di una banca successivamente interessata da un dissesto.
Nella narrativa politica dove tutto si confonde in una nebbia di slogan e proclami pre-elettorali, è appena il caso di ricordare una banalità: l’azione è lo strumento tipico per finanziare le imprese, cioè lo strumento per far affluire nelle loro casse quello che si chiama (altra banalità) capitale di rischio proprio perché il suo destino è soggetto a un’incertezza derivante dall’andamento dell’impresa. Chi investe in capitale di rischio se le cose vanno bene deve guadagnare, se vanno male deve perdere: bisogna tenere dritta la barra sul principio che non esistono pasti gratis.
Sono due ovvietà che però reggono e giustificano i mercati finanziari e la loro funzione di supporto all’economia reale. È sbagliato mettere sullo stesso piano la figura del risparmiatore e quella dell’investitore, che impiegano i loro soldi con finalità diverse.
L’accordo, con l’introduzione dei limiti di accesso alla misura basati sulla condizione economica dei clienti delle banche, sembra mettere una pezza a quanto consentito dalla legge di bilancio. Non prevede però una correzione di quello che può considerarsi uno snaturamento: l’ammissione al risarcimento non solo degli obbligazionisti, ma anche degli azionisti.

(da www.lavoce.info)

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