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Commento introduttivo

Mi sembra interessante questo contributo di Giorgio Ragazzi, focalizzato su argomento tanto sbandierato quanto nei fatti ignorato, ovvero quello dell'alleggerimento del pesante fardello degli adempimenti burocratici in Italia.
Tema di cui si parla più o meno da sempre, puntualmente presente nei programmi elettorali di tutti, comparso anche nelle linee programmatiche di molti governi che, udite udite, all'italiana hanno anche costituito commissioni per affrontarlo.

Ebbene, portavo ancora i pantaloni corti quando qualcuno mi disse che quando non si vuole risolvere un problema si costituisce una commissione.
Niente di più profetico, come ben si vede un po' in ogni livello politico-amministrativo di questo Paese.

Che gli adempimenti burocratici richiesti in Italia siano troppi e spesso inutili, lo attestano organismi - anche internazionali - non certo riconducibili ad interessi di parte.
Le uniche cose certe sono:
- che tali adempimenti aggravano considerevolmente i costi sia dei cittadini che delle imprese;
- che rallentando e complicando sensibilmente molte procedure, costituiscono un freno allo sviluppo e disincentivano gli investimenti.

Ma allora perché non si fa niente per affrontare seriamente il problema?
La risposta al quesito è complessa perché chiama in causa uno dei tratti presenti nella nostra storia nazionale, già a partire dagli albori dello stato unitario. Mi riferisco al peso che i vari interessi corporativi hanno esercitato sulla produzione normativa da un lato, e all'inclinazione a ritenere, con una buona dose di ipocrisia, che basti scrivere una norma per risolvere un problema. Atteggiamento che sottintende tutto il conservatorismo nostrano per cui "si cambia per non cambiare", attraverso norme spesso inapplicabili, e che comunque non sono affiancate (quasi mai) dalla previsione di strumenti seri per garantirne l'applicazione.
Ma c'è dell'altro.
A questi elementi se ne aggiunge un'altro: quello del vezzo di emanare norme sotto l'impulso di singoli eventi, soprattutto quando sono drammatici o molto sentiti dall'opinione pubblica. Quando poi l'emergenza è passata, nessuno se la ricorda ma la norma ovviamente rimane.

Un intreccio perverso quindi fra tutele di interessi corporativi, attitudine all'ipertrofia normativa in uno stato peraltro in cui il suo popolo è storicamente assai insofferente alle regole, norme dettate sotto impulso di emergenze di cui non si calcolano le implicazioni di medio-lunga durata, invasività della Pubblica Amministrazione e suoi intrecci con la politica, sono alla base di una situazione che, per essere modificata, richiederebbe una politica forte ed una forte spinta riformista di cui in Italia non si vede traccia.
Quindi, sfortunatamente per noi, al di là delle chiacchiere e delle promesse elettorali, è lecito temere che per ora dovremo acconciarci a vivere sfiancati da adempimenti sempre più complicati, invasivi e costosi.

Un serio lavoro di semplificazione normativa e di efficientamento della burocrazia sarebbe una risposta seria al tema dell'accrescimento della produttività; ma questo sarebbe un tema serio che certo questo governo rosso-brunato non è in grado nemmeno di pensare. Ma non ci illudiamo; al momento non si vede all'orizzonte chi abbia la capacità di affrontarlo mettendo, come si suol dire, "i piedi nel piatto".

Paolo Razzuoli

Una storia di ordinaria burocrazia

di Giorgio Ragazzi

Il regolamento edilizio del comune di Milano prevede che tutti gli edifici di oltre cinquant’anni debbano dotarsi di una certificazione di idoneità statica. Costerà ai cittadini milanesi centinaia di milioni. Ma la sua utilità è tutta da dimostrare.

I costi della burocrazia

Gli adempimenti burocratici richiesti in Italia sono troppi e aggravano considerevolmente i costi sia dei cittadini che delle imprese, come rilevano anche confronti tra paesi effettuati da organismi internazionali. Mentre tutti i governi avvertono il problema e si ripropongono semplificazioni (magari passando attraverso nuove commissioni appositamente costituite), si continuano a varare nuove norme, sia a livello centrale che locale, senza valutare se i benefici attesi superino i costi o addirittura senza nemmeno chiedersi quanto sarà il costo, per cittadini e imprese, dei nuovi adempimenti.

Con le leggi Bassanini si erano introdotti sani criteri generali, come ad esempio (articolo 1, decreto legislativo n. 286/99) “Le pubbliche amministrazioni (…) si dotano di strumenti adeguati a (…) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati”. Ma quella di valutare i costi e benefici delle nuove normative è una cultura che resta estranea alle nostre amministrazioni pubbliche. Consideriamo la fatturazione elettronica: l’amministrazione si è posta il problema di stimare quanto costerà alle imprese, in consulenze e ore di lavoro addizionali richieste?

Milano e l’idoneità statica degli edifici

Merita citare un esempio a livello locale, ma molto significativo: quello dalla certificazione di idoneità statica degli edifici (Cis), un obbligo introdotto dal comune di Milano attraverso l’inserimento di un’apposita norma nel regolamento edilizio.

La certificazione potrà forse servire a identificare rarissimi casi di edifici pericolanti, ma per la generalità cosa potrà attestare se non che il fabbricato non rischia di crollare? La Cis non è diretta a certificare che gli stabili siano antisismici (pericolo pressoché nullo a Milano). Né si ricordano a Milano morti per crolli dovuti alla stabilità di edifici. Di fatto, quindi, gli ingegneri incaricati effettuano soprattutto ricerche d’archivio e poi, a volte, si aggirano nei locali per vedere se vi siano crepe nei muri.

L’obbligo di Cis degli edifici non è previsto da alcuna legge. Anzi, il governo ha fatto ritirare una legge regionale della Puglia che lo imponeva, impugnandola presso la Corte costituzionale. Milano è stato il primo (e unico) comune a introdurlo. L’adempimento è in vigore dal 2014, pare perché richiesto dalle associazioni degli inquilini preoccupate per lo stato di alcuni edifici in affitto. Il comune ha un ufficio tecnico apposito per effettuare verifiche su stabili denunciati o giudicati a rischio e poteva rispondere a quelle sollecitazioni con proprie ispezioni. Ma è parso più facile, e magari più proficuo per l’immagine pubblica, imporre a tutta la città l’obbligo della Cis, forse anche per assecondare le brame di nuovi incarichi professionali da parte dei molti che ormai vivono di certificazioni.

L’articolo 11.6 del regolamento edilizio prevede perciò che tutti gli edifici di oltre 50 anni debbano dotarsi di Cis entro novembre 2019, e poi rinnovarla ogni 12 anni. A Milano, circa 27 mila edifici dovrebbero richiederla, con un costo medio stimato attorno ai 6 mila euro per fabbricato per le sole verifiche di primo livello, ma con punte sino a 30 mila euro. Si tratta dunque, per la città, dell’equivalente di un’imposta straordinaria assai elevata, dal costo di 170-200 milioni o forse più. Se le Cis fossero state a carico del comune e finanziate con aumenti di imposte, sarebbe apparso evidente che esistono spese ben più urgenti e meritorie per la città. Così invece il costo non passa dai conti del comune, è scaricato sui cittadini senza che venga rilevato da alcuna contabilità, rendendone ben più facile l’approvazione.

Stupisce che l’assessore abbia proposto la norma senza presentare una accurata stima del costo per la città, non parliamo poi di una valutazione dei benefici, e che sia stata approvata dal consiglio comunale nella pressoché totale indifferenza. Forse non hanno nemmeno pensato agli oneri da sostenere per i tanti edifici pubblici, case popolari o edifici della Curia.

Le draconiane penalità previste dal regolamento edilizio di Milano per la mancata produzione della Cis non fanno poi certo onore alla città natale di Cesare Beccaria: obbligo ai notai di allegare la Cis in caso di compravendita (obbligo che pare vada ben al di là dei poteri di un comune) e decadenza dell’agibilità dell’edificio, per cui senza Cis diverrebbe impossibile l’utilizzo dell’immobile a qualunque titolo.

Ora il comune di Milano è impegnato a rivedere il regolamento edilizio per adeguarlo al modello regionale, entro fine aprile. Può essere l’occasione di ridimensionare il campo di applicazione della Cis o abolirla del tutto. Come minimo, speriamo che l’attuale giunta tenti almeno di esplicitare e quantificare i costi e i benefici della normativa che adotterà. Quanto più passa il tempo, tanto maggiore sarà il disappunto dei condomini che si sono affrettati a sostenere la spesa della Cis per rispettare la scadenza di novembre 2019.

(da www.lavoce.info)

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