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Breve commento introduttivo

"Belt and Road Initiative", da noi indicata con "Nuova via della seta".
Un oggetto sostanzialmente misterioso, balzato agli onori delle cronache da qualche giorno, per una delle solite cappellate del nostro governo "rosso-bruno".
Un oggetto che permane misterioso, soprattutto con riferimento a cosa effettivamente abbia fatto il nostro governo "del cambiamento", vuoi per il disprezzo della trasparenza praticato dallo stesso, vuoi per l'approssimazione con cui, purtroppo non certo da ora, lavorano i nostri mezzi di informazione, soprattutto quelli televisivi, quindi i più importanti per la capillarizzazione dell'informazione.

Per cercare di capirci qualcosa, sono andato a leggere la voce "Belt and road" su Wikipedia, che così scrive:
"La Nuova via della seta è un'iniziativa strategica della Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell'Eurasia. Comprende le direttrici terrestri della "zona economica della via della seta" e la "via della seta marittima del XXI secolo". Le aree interessate sono la Cina, l’Asia centrale, l’Asia settentrionale, l’Asia occidentale e i paesi e le regioni lungo l’Oceano Indiano e il Mediterraneo.
Partendo dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica, la strategia cinese mira a promuoverne il suo ruolo nelle relazioni commerciali globali, favorendo i flussi di investimenti internazionali e gli sbocchi commerciali per le produzioni cinesi.
L'iniziativa di un piano organico per i collegamenti terrestri fu annunciata dal presidente cinese Xi Jinping già nel settembre del 2013, e la via marittima ad ottobre dello stesso anno, contestualmente alla proposta di costituire la Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture (AIIB)."

Il testo di Wikipedia è assai più ampio, come si potrà vedere; comunque, già dalle poche righe riportate si capisce bene che l'evocazione dell'antica "via della seta" vuole coprire, sotto il mantello di un'evocazione storica-esotica, una colossale operazione commerciale e politica. Un'operazione ben congegnata e finalizzata al consolidamento del ruolo centrale della repubblica cinese nel contesto globale, a cui le politiche messe in campo dal governo di Pechino mirano in modo deltutto palese.

E' insomma una di quelle questioni che vanno manovrate con estrema cautela e che, da parte europea, richiederebbero risposte ben ponderate e coordinate.
Non servono fughe in avanti e/o colpi di testa, come pare stia facendo il nostro governo; ma, diciamolo con chiarezza, sembra in buona compagnia, almeno a giudicare da alcuni comportamenti che la vicenda sta facendo emergere.

Fucinaidee propone alcuni contributi sul tema, sperando che possano servire a comprenderlo un po' di più.

Paolo Razzuoli

Europa, abbi coraggio: con la nuova via della seta si può cambiare la Cina

di Michele Boldrin

L’occasione di cronaca è data dall’ennesima gaffe politica e diplomatica del governo rosso-bruno, ovvero l’annunciata, poi smentita, poi confermata, ovvero l’annunciata, poi smentita, poi confermata, poi... firma del memorandum d’adesione alla proposta cinese di partecipazione alla iniziativa nota come Belt and Road.
A dire il vero, grazie alla trasparenza del nostro governo ed alla professionalità dei media nazionali, ancora non sappiamo se sia un memorandum d’adesione, una lettera d’intenti o solo l’esagerazione di un eccessivamente avventuroso sottosegretario...

Ma fa lo stesso, perché il punto non è se l’Italia, in aperto contrasto con i suoi alleati occidentali, firmerà o non firmerà il memorandum con la Cina da sola: non lo firmerà ed il governo delle pagliacciate se ne inventerà altre di nuove per far finta di non essere quello che è, un governo che fa pagliacciate.
Il punto, piuttosto, è che questioni di tale portata esplodano all’improvviso senza che opinione pubblica e classe politica abbiano mai provato a discuterne seriamente. Anzi, senza che il 99,9% della popolazione italiana abbia la più pallida idea di cosa si tratti. Questo non vale solo per l’Italia, ma per l’Unione Europea nella sua interezza. Come giustamente ha sottolineato ieri Francesco Cancellato, la questione del memorandum su BR ha messo in evidenza che l’Europa, sulle grandi questioni strategiche di politica globale, proprio non c’è. Le responsabilità per questo fatto sono molteplici e non è questo il luogo per dibatterle: ciò che rileva è che questa assenza/divisione è altamente dannosa all’Europa tutta ed ai suoi paesi più deboli in particolare.

Fra questi, non nascondiamocelo, c’è da tempo l’Italia; in modo particolare durante l’ultimo anno. Recessione di nuovo in corso, debito al galoppo, tassi d’interesse in crescita, sostegno della Bce in via di esaurimento, grandi e straccioni piani di spesa... la lista delle criticità italiane è lunga e questo, in Cina, lo sanno. Molti hanno visto nella BR solo una forma di imperialismo delle infrastrutture e – come argomentiamo più avanti – questa è una visione pregiudiziale ed incompleta dell’iniziativa stessa. Ma, senza dubbio, ne caratterizza anche un aspetto cruciale: la Cina sta usando le enormi risorse accumulate durante gli ultimi decenni e la sua capacità d’indebitarsi sui mercati finanziari internazionali (finché dura) per offrire un aiuto economico peloso a paesi in difficoltà. Su questo non vi sono dubbi e, punto uno, a questa strategia occorrerebbe saper rispondere con mosse strategiche altrettanto coraggiose e lungimiranti.

È questa infatti la prima ragione per cui, alle proposte/tentazioni cinesi, occorre dare una risposta comune in quanto europei. Sia perché l’unione fa la forza (come ha chiaramente scritto Cancellato) ma anche perché BR non è solo neo-imperialismo cinese ma anche qualcos’altro di diverso e potenzialmente positivo. Cosa? Un segnale di debolezza economica strategica, anzitutto, e una richiesta di aiuto/commercio/interazione da parte di una classe dirigente (quella cinese) che, dietro all’apparente sicurezza, a volte persino spavalderia, in realtà non sa bene che strada prendere nei prossimi decenni.

La BR va infatti letta in un contesto più ampio che include (i) la scelta di Xi Jinping di assegnarsi un ruolo secondo solo a quello di Mao Zedong nella storia della RPC, (ii) la lotta alla “corruzione” nel partito e nel paese, (iii) gli enormi investimenti in innovazione e gli sforzi per competere con l’occidente sulla frontiera tecnologica, (iv) il dibattito interno al PCC sul rallentamento della crescita e gli strumenti di politica economica da usare affinché non si trasformi in stagnazione. Tutto questo (ed altro) ammonta all’esplicito riconoscimento che la prima e la seconda fase del processo di sviluppo economico cinese son finiti ed occorre trovare altre strade per migliorare il livello di vita della popolazione cinese che, nonostante i miracoli post-1980, è ancora decisamente basso. Le élite cinesi hanno compreso che il meccanismo dell’accumulazione primitiva – produrre di tutto a basso costo per esportarlo ovunque forsennatamente – ha dato ciò che poteva dare e non è più in grado di continuare a far crescere il paese a ritmi sostenuti. E la popolazione cinese chiede che il miglioramento delle condizioni di vita continui.

Detto altrimenti: anche se non sembra, la Cina in realtà sente la crisi e sa che deve fare qualcosa ma i suoi gruppi dirigenti sono divisi sul da farsi.
Questo implica, focalizzandoci sull’iniziativa BR, che essa può essere letta in due maniere. La prima, quella dell’imperialismo via infrustrutture, è palese ma ne esiste un’altra che non dobbiamo ignorare. Ovvero l’opportunità di dire al governo cinese “Molto bene, volete costruire ferrovie, strade, porti e quant’altro per far arrivare le vostre merci nei mercati occidentali e nei paesi del dimenticato mondo–stan? Potremmo discuterne nella misura in cui sarete disposti ad usare quelle infrastrutture anche per far arrivare le nostre merci e servizi da voi, per permettere un’equa condivisione di costi e benefici, per muovere liberamente persone e capitali non solo dalla Cina al resto del mondo ma anche dal resto del mondo alla Cina”.
Perché la globalizzazione, per funzionare e durare, deve essere una strada con traffico in entrambe le direzioni.

Questa la rilevanza, per noi europei, dell’iniziativa BR a fronte della quale la risposta americana, versione Trump, è non solo insufficiente e miope ma anche contraria ai nostri interessi. Perché noi europei non ci guadagniamo nulla ad ingaggiare una nuova guerra fredda per la supremazia mondiale, mentre abbiamo tutto l’interesse a commerciare con una Cina che non torni indietro ma permetta alle sue forze “liberali” (che esistono, se intese cum grano salis) di emergere. Paradossalmente, l’ennesima pagliacciata del governo rossobrunato offre un’opportunità per riflettere sul ruolo innovativo, forse persino dirompente, che l’Europa potrebbe assumere nello stantio e miope gioco degli imperi in lotta che Trump e Xi vorrebbero imporci.

(da www.linchiesta.it - 13 marzo 2019

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