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Commento introduttivo

IL mondo della scuola è un mirabile specchio delle contraddizioni italiane: a parole tutti ne esaltano la funzione essenziale, con i fatti niente viene fatto per metterlo nelle condizioni di rispondere agli obiettivi dichiarati. Intendiamoci, non è compito facile, anzi è compito titanico. Nel nostro sistema scolastico - dove peraltro operano mirabili figure animate da straordinaria competenza, spirito di servizio e senso del dovere, si annidano molti dei peggiori nodi irrisolti del nostro sistema. La scuola italiana è uno dei mondi più autoreferenziali, il personale è stato reclutato con metodi fortemente assistenzialisti, impermeabile a qualsiasi seria meritocrazia, sempre più governato da una disciplina costruita più per tutelare interessi degli operatori che non volta ad una autentica prevalenza degli interessi degli studenti.
Sul mondo della scuola, soprattutto a partire dall'inizio degli anni '70, si è scaricato di tutto, affidandole, naturalmente senza dotarla di alcun strumento idoneo, compiti di supplenza di funzioni assolutamente improprie, che sarebbero dovute essere attribuite ad altri soggetti.
La scuola è stato il terreno privilegiato in cui la gestione delle ideologie post-sessantottine ha potuto germogliare, facendo i danni che sono sotto gli occhi di tutti e che, con questi chiari di luna, non si vede proprio chi e come possano essere rimediati.
Eppure, nonostante tutto, la scuola è andata avanti, anche con esperienze significative, sia se guardate con la lente della didattica che con quella della cultura.
Ebbene, la chiave di lettura di ciò va cercata nelle competenze, nel coraggio e nel senso di responsabilità di singoli docenti, fortunatamente presenti un po' in tutte le scuole, che, nonostante le normative e non raramente anche l'ostilità, si spendono quasi "eroicamente" per la causa in cui credono.
E' merito di questi docenti, che operano in silenzio rifiutando le ribalte dei giornali e delle tv, che stanno in classe senza disperdersi in roboanti quanto inutili progetti fatti più per chi li propone che per chi dovrebbe beneficiarne, che antepongono la fatica dell'insegnamento vero e quotidiano alla logica del "cartellone" da affiggere in qualche corridoio o da mostrare in qualche "evento", se la scuola italiana, nonostante tutto, ancora non è implosa.

Infine, ma non certo ultima di importanza, una postilla sull'opinione pubblica che è stata correa del declino del nostro sistema scolastico. Sì, lo è stata giacché più che preoccuparsi della qualità del'offerta educativa, si è preoccupata dei voti e delle promozioni ad ogni costo. Così, i docenti che a questo declino cercano di opporsi, sono accerchiati dovendo combattere su più fronti: debbono combattere con genitori che chiedono non qualità ma promozioni; Debbono combattere con colleghi animati dal fuoco ideologico di un malinteso e balzano egualitarismo; debbono combattere con presidi il cui primo intento è di evitare grane; sempre più frequentemente debbono combattere con i Tar, che a volte lasciano sconcertati per il loro estremo formalismo, ma che comunque sono chiamati al non facile compito di doversi districare all'interno di una normativa astrusa e contraddittoria.
Ha pienamente ragione Claudio Damiani, - nell'articolo che sottopongo alla vostra attenzione, a parlare di "L’educatore eroe negletto".

L’educatore eroe negletto

di Claudio Damiani

Una realtà abbastanza negletta è quella della scuola, dove da decenni sembrano non avvenire cambiamenti significativi, segnali e prove di esistenza, come fosse un mondo addormentato, se non morente. Ancora per molti la scuola non è importante, non dico la scuola statale con i suoi problemi, ma la scuola in generale, cioè la formazione, lo studio, l’educazione.

Il concetto di educazione, disintegrato dal Sessantotto, non è mai tornato a vivere veramente, in modo nuovo e vero, originale. Fino a poco tempo fa i ragazzi non dovevano essere chiamati allievi, ma utenti. Ancora per molti gli insegnanti fanno un lavoro facile e pieno di vacanze, una vera pacchia: diciotto ore a settimana! Pochi sanno che dietro ogni ora di lezione ce n’è un’altra di preparazione, e poi la correzione dei compiti, le riunioni, sì che le ore di lavoro dell’insegnante sono ben più delle 36 degli impiegati.

Le ore poi in cattedra non sono come ore normali. Ricordo che quando insegnavo agli adulti, in una scuola serale, faticavo molto meno, era una passeggiata. I ragazzi, gli adolescenti, sono un mare in tempesta, pieno di vita ma anche pieno di pericoli. Proprio perché in formazione, davanti a continue tentazioni, impressionanti rollii e beccheggi, e per l’energia del loro chiedere, e del loro dare, difficilissimo e stressantissimo è il lavoro degli insegnanti.

E importantissimo.
Tutti dovrebbero provarlo, almeno per un breve periodo, come una specie di servizio civile obbligatorio. Solo così si capirebbe quanto impegno, e dedizione, e fatica richiede questo lavoro. Dell’importanza della scuola molti si riempiono la bocca, ma sono solo parole, nessuno fa niente. E per un motivo molto semplice: non si sa cosa la scuola debba essere, cosa possa essere. Non è solo una confusione individuale, ma è una confusione sociale, culturale. Per questo è impossibile riformarla. Sappiamo che non può essere solo informazione, sappiamo che è formazione, ma su cosa veramente sia la formazione non c’è chiarezza. Sia gli insegnanti che i ragazzi sono spaesati, ma soprattutto gli insegnanti.

Non tanto perché gli si dà poco di stipendio (e questo già la dice lunga su quanto siano tenuti in considerazione), ma perché non c’è un’idea e una volontà comune, che giustifichi i costi enormi della scuola in termini economici, e in termini umani. Per questo oggi la scuola è uno dei fronti più attivi della resistenza. È vero che ci sono molti insegnanti che fanno poco (anche se far poco non è facile coi ragazzi, la loro energia non può non travolgere l’insegnante e costringerlo a fare, magari fare male ma fare), ma tantissimi mettono nella scuola e nel rapporto coi ragazzi tutte le loro energie, consapevoli delle loro enormi responsabilità e del loro ruolo cruciale, che la società non gli riconosce.

(da l'Osservatore Romano - 24 febbraio 2019)

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