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La tentazione leghista: crisi di governo dopo le europee e alleanza sovranista con Giorgia Meloni

di Alberto Quaranta

Spaesati, confusi, preoccupati. Da lunedì mattina i parlamentari del M5S pascolano in Transatlantico senza un orizzonte, senza una rotta. «Navighiamo a vista», bofonchia una deputata che non gradisce la deriva “destra” di un movimento «che ormai – ripete– non fa altro che scimmiottare la Lega di Salvini».
In questo contesto l’espressione «voto anticipato» non è più un tabù. I bookmakers del palazzo quotano un ritorno alle urne non più come uno scenario di fantapolitica. Ma, assicurano, «come un evento non più impossibile». Ecco perché Davide Tripiedi, al secondo giro a Montecitorio, ironizza con una collega di un altro partito in questi termini: «Se si torna alle urne mi candiderò come sindaco di Desio».

Il terremoto abruzzese è giunto fin qui. Ha lasciato le ferite. Ha spiazzato un esercito di parlamentari travolti dalla liturgia della politica e dalla movida della Capitale. Ma soprattutto la percentuale raggiunta da Sara Marcozzi ha messo sotto processo il capo politico della galassia grillina. «Voglio vedere adesso cosa si inventerà (Di Maio ndr.)», sussurra con un pizzico di malizia un altro deputato che si definisce «scontento». Da par suo, Di Maio ha rotto il silenzio. Assicura di aver riflettuto in questi due giorni di mutismo totale. Tuttavia colpisce la reazione di questo leader politico che pur di salvare il salvabile apre alle liste civiche, quanto di più distante dal partito monocratico, arrivando a dire di «non correre quando non siamo pronti». È nel pallone il leader in grisaglia del movimento che un tempo predicava il vaffa. Quale sarà la prossima mossa? Come gestirà il calo nei sondaggi con l’exploit dell’alleato di governo?

Già, la Lega. Se i grillini sono spaesati, i leghisti sono raggianti, sembra che danzino quando attraversano il Transatlantico. «Cresciamo a vista d’occhio», confida un fedelissimo di Salvini. Eppure c’è chi sostiene che «il crollo del M5S e il loro nervosismo di queste ore ci preoccupano perché ora verranno tutti i nodi al pettine». Ecco, si domandano: fin quando potrà durare questa fusione a freddo fra due forze politiche così antitetiche? Raccontano che il vicepremier Salvini avrebbe rimandato qualsiasi decisione a dopo le elezioni europee. Dunque, fra fine maggio e giugno il leader del Carroccio, forte della percentuale che probabilmente otterrà, potrebbe decidere di staccare la spina e di puntare dritto alle elezioni anticipate.

Con una novità: fra le opzioni nel mazzo di Salvini oltre all’ipotesi di un centrodestra di vecchio conio c’è anche quella di un ritorno a palazzo Chigi solo con Giorgia Meloni. Una alleanza di rito sovranista senza il partito di Silvio Berlusconi per sottolineare la discontinuità dal passato. D’altro canto, basta dare un’occhiata alle percentuali delle regionali in Abruzzo e rendersi conto che la somma di Lega e Fratelli d’Italia è pari al 40%.

Due ipotesi che se la dovranno vedere con l’inquilino del Colle più alto. Quel Sergio Mattarella da sempre restio al ritorno anticipato alle urne e che ancora conserva in un cassetto della sua scrivania la lista di un esecutivo di tecnici pronti «a salvare il Paese da qualsiasi crisi». Spiegano i bene informati che Mattarella non è un’interventista alla Napolitano. «Non nominerà mai e poi un senatore a vita di nome Mario Monti che poi indicherà come capo del governo». Tutto vero. Mattarella è una sorta di notaio della Repubblica, un tifoso della stabilità del Paese, un democristiano dotato dell’arte dell’ascolto e della pazienza. Ma oramai assai stanco dei continui scontri politici fra Lega e M5S.

(da www.linchiesta.it - 14 febbraio 2019)

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