Carlo Hanau
La povertà non è un fenomeno univoco, ma il reddito di cittadinanza non ne tiene conto. Le soglie che la definiscono cambiano infatti da Nord a Sud, perché diverso è il costo della vita. Ignorate pure le esigenze specifiche delle persone con disabilità.
La povertà in Italia si misura con un indicatore di situazione economica
equivalente, l’Isee. A parità di Isee, però, i poveri del Nord sono più poveri
perché devono sostenere un costo della vita più elevato, affitti e generi
alimentari più cari, spese di riscaldamento maggiori, a cui si aggiungono
minori aiuti di familiari e di vicini.
L’Isee viene costruito sulla base dei redditi e dei patrimoni mobiliari
denunciati e degli immobili posseduti e censiti al catasto: in alcune regioni
del Sud molte abitazioni non sono accatastate e quindi non aumentano
l’indicatore. Così come i redditi da lavoro nero, che è sicuramente più diffuso
al Sud. Il reddito di cittadinanza può essere un’ulteriore spinta per aumentare
il lavoro nero, perché sia i lavoratori sommersi che i loro datori sono
interessati a nascondere il rapporto di lavoro. Non sono certo credibili le
minacce di punizioni esemplari per i “furbetti” proferite da Luigi di Maio e da
Matteo Salvini. È difficile pensare che nelle regioni dove non si riesce a fare
rispettare l’obbligo del catasto delle case (visibilissime dalle foto
satellitari) si riuscirà a verificare e punire il lavoro nero. Il lavoro nero è
diffuso anche al Centro-Nord, dove però funzionano meglio il servizio ispettivo
e il ricorso alla magistratura del lavoro.
Nel definire il reddito di cittadinanza, sarebbe perciò giusto tenere conto
delle differenze del costo della vita, sia per determinare con maggiore equità
il numero dei poveri sia per quantificare il corretto importo mensile
dell’assegno di ciascun richiedente, poiché con gli stessi 780 euro in alcune
zone si comprano più beni e servizi che in altre. Il costo della vita si
differenzia da regione a regione, ma anche all’interno di una stessa regione:
ad esempio è più elevato nelle grandi città rispetto al resto del territorio. L’Istat offre un calcolatore della soglia della povertà.
Così, nel 2017 una famiglia composta di due adulti e un figlio in età compresa
fra i 4 e i 10 anni, residente in una città del Nord che supera i 250 mila
abitanti, è povera se dispone di meno di 1.390 euro al mese, mentre se risiede
nel Sud la famiglia è povera se ha meno di 1.087 euro: 303 euro di differenza.
Per il nucleo familiare con eguali dimensioni che risiede in una città con meno
di 50 mila abitanti nel Nord la soglia si abbassa a 1.275, ancor più al Sud, dove
è pari a 1.013 euro al mese: 262 euro di differenza.
La definizione degli aventi diritto all’assegno di cittadinanza e quella
dell’ammontare dell’assegno dovrebbero rispettare le differenze del potere di
acquisto e non indicare una soglia unica per tutti. E l’Inps potrebbe
facilmente tenerne conto.
Oltre alle differenze del costo della vita, il rispetto del principio
elementare dell’equità vorrebbe che si considerasse la differente condizione
delle persone: per quelle con disabilità dovrebbero essere introdotti criteri
diversi da quelli approvati dal governo con il decreto del 17 gennaio, come spiegano bene Carlo Giacobini e Daniela Bucci.
Gli indici di povertà come l’Isee familiare non riescono a cogliere in modo
adeguato l’effettivo tenore di vita delle famiglie con una o più persone con
disabilità e sottostimano il loro reale disagio economico, aggravato dalle difficoltà
di accesso al mondo del lavoro, dalla necessità di disporre di un caregiver e
dai costi sociosanitari privati per supplire alle carenze dei servizi pubblici
di assistenza sociale e sanitaria.
L’insoddisfazione dei nuclei familiari con persone con disabilità sul decreto
del 17 gennaio è stata espressa dai presidenti di Fish (Federazione italiana
per il superamento dell’handicap) e Anmic (Associazione nazionale mutilati e
invalidi civili), che hanno rilevato come i nuclei in cui sono presenti persone
con disabilità, titolari di pensione di invalidità civile (considerata come
reddito), verranno inequivocabilmente trattati meno favorevolmente delle altre
famiglie, proprio perché le stesse pensioni di invalidità vengono considerate
alla stregua di un reddito.
La permanenza della persona con disabilità all’interno del nucleo familiare,
dovuta spesso alla mancanza di adeguati servizi residenziali, diventa un enorme
ostacolo all’ottenimento del reddito di cittadinanza, che si basa sull’Isee
familiare invece che su quello personale.
Queste ed altre criticità presenti nel decreto potrebbero essere corrette
accogliendo i suggerimenti proposti dalla Fish e ribaditi nell’incontro col ministro Lorenzo Fontana.
Sono dunque diversi i fattori individuali di cui si deve tener conto nella
assegnazione reddito di cittadinanza e nella determinazione dell’assegno. Per
questo, l’ottica migliore per valutare la povertà e gli interventi per
superarla è quella dei comuni. A loro dovrebbe essere delegato il compito di
distribuire anche i sussidi monetari legati al reddito di cittadinanza, che
dovrebbero far parte del “budget globale di spesa” consentendo, a parità di
risorse, di offrire alla persona la scelta del miglior progetto individuale di
vita secondo l’articolo 14 della legge 328 del 2000. Già ora i comuni si
assumono il compito di fare perequazioni individuali rispetto all’indennità di
accompagnamento erogata dal governo centrale e hanno operatori dedicati allo
scopo, costretti a diventare agenti del fisco per la scarsità delle risorse di
cui dispongono.
Si dovrebbe evitare di costruire un sistema parallelo, che costituirebbe solo
uno spreco delle risorse destinate ai poveri, soprattutto viste le difficoltà
del paese e delle finanze pubbliche. Sarebbe anche fondamentale finanziare
tirocini lavorativi studiati appositamente per le persone con disabilità, che
esigono un accompagnamento ben diverso da quello che possono offrire
improvvisati “navigator”.
(da www.lavoce.info)