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Aiuto, la recessione è in arrivo. E la manovra del cambiamento farà ancora più disastri

di Stefano Cingolani

Sta andando peggio del previsto. La frenata congiunturale, in corso ormai da molti mesi, può davvero trasformarsi in una recessione. E la produzione industriale annuncia tempesta. Cadono, in tal caso, i presupposti della politica economica giallo-verde, sia quelli fattuali sia quelli politici. Non solo: una eventuale recessione riapre una partita che sembrava per il momento chiusa, cioè il braccio di ferro con l’Unione europea sulla legge di bilancio e il rispetto dei parametri. Se il prodotto lordo non aumenta come ipotizzato dal governo saltano tutti gli altri parametri: si riducono le entrate fiscali (sia Iva sia Irpef) e con ogni probabilità aumentano le spese per gli ammortizzatori sociali a cominciare dalla cassa integrazione. Dunque, addio a un deficit del 2,04% rispetto al pil e soprattutto addio al contenimento del debito pubblico.

Il governo aveva impostato la sua manovra per il 2019 assumendo che la crescita sarebbe continuata anche se a passo ridotto, quindi aveva scelto non di agire dal lato dell’offerta, stimolando i fattori della produzione, ma di redistribuire il reddito a chi vuole uscire dalla produzione e chi non c’è ancora entrato. Più pensioni e più sussidi presuppongono più pil, invece la terza variabile dell’equazione è diventata una incognita senza soluzione. Ci vorrebbe un ripensamento perché l’Italia si trova scoperta e impreparata di fronte a una nuova recessione.

Non si tratta di fare l’uccello del malaugurio, ma di guardare ai dati senza paraocchi. Le cifre innanzitutto. Scrive l’Istat: “A novembre 2018 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dell’1,6% rispetto a ottobre. Nella media del trimestre settembre–novembre 2018 il livello della produzione registra una flessione dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. Corretto per gli effetti di calendario, a novembre 2018 l’indice è diminuito in termini tendenziali del 2,6% (i giorni lavorativi sono stati 21 come a novembre 2017). Nella media dei primi undici mesi dell’anno la produzione è cresciuta dell’1,2% rispetto all’anno precedente”. Il 2018, quindi, non si chiuderà con un segno meno, ma quel che preoccupa è la sequenza negativa che s’accumula mese dopo mese. Ciò riguarda l’insieme dell’economia: il pil è sceso dello 0,1% nel terzo trimestre. C’è il rischio che anche dicembre sia andato male (avremo i dati solo a fine mese) il che significa tre interi trimestri in discesa il che fa parlare di recessione tecnica e getta un’ombra oscura sul 2019.

L’ultima nota mensile dell’Istat sottolinea che “a dicembre, l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha segnato un ulteriore calo diffuso a tutte le componenti: le aspettative per il futuro hanno registrato la diminuzione più sostenuta e le attese sulla disoccupazione sono aumentate. Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i settori economici a esclusione del commercio al dettaglio. L’indicatore anticipatore ha segnato una nuova flessione, suggerendo il proseguimento dell’attuale fase di debolezza del ciclo economico italiano”. È vero, scrive ancora l’Istat, che la svolta congiunturale è in parte conseguenza della frenata nell’economia internazionale, soprattutto di quella tedesca verso la quale si dirige la maggior parte delle esportazioni, ma l’Italia sta soffrendo più degli altri, rivelandosi l’anello debole della catena euro. Se davvero si materializzerà, la nuova recessione partirà al di qua delle Alpi.

Gli indici corretti per il calendario sono positivi soltanto per alimentari e farmaceutici, sono pesantemente negativi nel legno e nelle attività estrattive, con un vero crollo del 10%, nella plastica, nei mezzi di trasporto. La fornitura di energia elettrica, gas, vapore, aria, è giù del 3,9%, il che dimostra nel modo più evidente la difficoltà dell’intera industria.

Il 2018, insomma, va ricordato come l’anno in cui si è fermata la ripresa economica italiana cominciata nel 2016; e la seconda metà dell’anno può diventare l’inizio di una nuova caduta. Per l’Italia sarebbe disastroso, per il governo potrebbe trasformarsi in una catastrofe politica. Dire che il centro-sinistra da Renzi a Gentiloni ha portato la crescita e i giallo-verdi un’altra crisi economica sarebbe fare della polemica di bassa lega, anche se c’è una parte di verità. Certo, il governo dovrebbe correre ai ripari. È troppo tardi? Il parlamento ha già votato una legge di bilancio che non è in grado di invertire il ciclo economico. Bene che vada il reddito di cittadinanza può essere un ammortizzatore sociale per alcune categorie. Quanto a quota 100 per le pensioni, rischia di diventare persino pro-ciclica per l’impatto negativo sul debito pubblico.

Sarebbe stato diverso se la spesa in deficit fosse destinata agli investimenti e se le scarse risorse a disposizione venissero impiegate non per i pensionati, ma per i lavoratori produttivi, riducendo le imposte e gli oneri sociali. Un costo del lavoro inferiore, quello sì darebbe respiro all’industria. È ormai impossibile rimangiarsi provvedimenti frutto di impuntature ideologiche o di rivalsa politica, ma quel nucleo realista (la trojka Conte-Tria-Moavero) che nel governo comincia a farsi sentire, come si è visto nella vicenda della Sea Watch, potrebbe darsi coraggio e prendere in mano la situazione, per il bene di tutti.

(da www.linchiesta.it - 12 gennaio 2019)

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