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M5S e Lega ancora forti nonostante gli scivoloni

di Roberto D'Alimonte

Tanto rumore per nulla. Nonostante la bagarre sulla legge di bilancio e i molti passi falsi dei due partiti di governo - come lo scontro di ieri sul decreto pensioni-reddito di cittadinanza- la realtà è che a distanza di dieci mesi dalle elezioni e sette mesi dalla nascita del governo Conte il sostegno a M5S e Lega Nord è ancora tra il 55 e il 60 per cento. Si tratta di un dato straordinario. Non esiste nell’Europa Occidentale oggi un governo che può contare su un livello di sostegno simile. Certo, si tratta di intenzioni di voto e non di voti, ma il dato non può essere sottovalutato. La sua stabilità nel tempo denota chiaramente che siamo in presenza di un trend di cui non si vede ancora l’inversione.

In politica è facile scambiare i propri desideri per la realtà. È quello che sta succedendo agli oppositori dell’attuale governo. Ogni motivo di contrapposizione tra Salvini e Di Maio diventa l’occasione per pronosticare la fine della grande coalizione gialloverde. Allo stesso scopo servono le denunce veementi sulla distanza tra le promesse elettorali e le realizzazioni di questo governo. Non c’è dubbio che esistano differenze politiche significative tra Lega Nord e M5S ed è vero che molte aspettative siano andate deluse. Ma resta il fatto che tutto ciò non si è tradotto in una diminuzione del consenso per i due partiti.

Almeno fino ad oggi. Ed è questo il fenomeno da spiegare. La sfiducia degli elettori nelle vecchie classi dirigenti è così diffusa e così profonda da rappresentare ancora oggi un capitale cui M5S e Lega Nord possono continuare ad attingere. E lo fanno dimostrando di andare incontro a quel bisogno di protezione che la gente vuole vedere soddisfatto. Le posizioni politiche di Salvini su immigrazione e sicurezza sono una risposta a questa domanda. E lo stesso dicasi del reddito di cittadinanza. Le critiche, anche fondate, e la gestione per tanti aspetti maldestra di queste politiche, non hanno scalfito l’impressione che i due partiti stiano dalla parte della gente. Arriverà certamente il giorno di un giudizio più severo. In politica la ruota gira. Le circostanze cambiano. Il rallentamento della crescita economica, l’aumento della disoccupazione, o anche solo la mancata crescita dei posti di lavoro, un eventuale nuovo scontro con l’Europa sui conti, l’aumento dello spread sono tutti fattori che possono cambiare il quadro e spostare i consensi. Ma quel giorno non è ancora arrivato.

Ciò non vuol dire che tutto fili liscio per i due partiti al governo. Qua e là serpeggiano malumori. Qualche sondaggio registra un arretramento della Lega Nord in Veneto e dintorni. Il reddito di cittadinanza non è molto popolare da queste parti e la voglia di autonomia è sempre forte. Ma resta il fatto che il partito di Salvini è comunque sopra il 40% delle intenzioni di voto in quella zona. Nemmeno Berlusconi è mai arrivato a questo livello ai tempi d’oro. Dentro il M5S cresce la fronda su decreto sicurezza e immigrazione. E continua a covare il sospetto che questa esperienza di governo vada più a vantaggio della Lega Nord che del Movimento. Ma non saranno questi malumori né la vicenda dei 49 migranti della Sea Watch, né il dissenso sul referendum propositivo a far saltare la grande coalizione. Di questo governo si può dire di tutto e di più, ma non si può negare che i due partiti che lo hanno fatto nascere hanno dimostrato fino a oggi una sorprendente propensione al compromesso. Ed è questo l’elemento cruciale per la sopravvivenza di ogni coalizione e soprattutto delle grandi coalizioni. Non c’è motivo di credere che da qui alle prossime elezioni europee questa voglia di compromesso venga meno.

Dove si collocano le opposizioni in questo quadro? In una terra di nessuno. Pd e Forza Italia sono ancora in mezzo al guado di una transizione infinita. E in ogni caso non rappresentano una opposizione competitiva. Singolarmente sono troppo deboli e troppo isolati. Insieme non sono credibili come alternativa di governo. E con quale programma? Mancano le idee e mancano i leader. Manca tutto. I dissensi che si registrano in settori della società civile, nel volontariato, per esempio, o a livello di sindaci e presidenti di regione, non sono sufficienti a offrire una alternativa. E così i malumori generati dalle politiche e dai comportamenti di questo governo si traducono in astensione a tutto vantaggio di M5S e Lega Nord. Alla fine i conti in politica si fanno non sul numero degli elettori ma sulle percentuali di voto. I due partiti al governo possono pure perdere voti, ma se questi voti non si traducono in consensi dati ad altri partiti la situazione non cambia. Ed è quello che sta succedendo. Prendendo a prestito una espressione utilizzata nella politica Usa, “non si può battere qualcuno con nessuno”. E oggi non esiste nessuna vera opposizione a questo governo. Questa è la realtà. Il resto sono desideri.

L’unica alternativa realistica all’attuale governo è un esecutivo di centro-destra con Salvini premier. La matematica elettorale dice che sulla base dei sondaggi attuali questo governo potrebbe nascere dopo eventuali elezioni anticipate. Infatti, con il 45% dei voti un centro-destra unito può arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. E' un risultato che questo schieramento potrebbe ottenere anche senza ipotizzare un massiccio tracollo del M5S al Sud. Salvini lo sa, ma al momento non gli interessa. Gli interessano invece le elezioni europee. Lì si vedranno i voti e non le intenzioni di voto. E dopo si faranno i conti. Nel frattempo una tappa da non sottovalutare sono le elezioni regionali in Abruzzo. Il 10 febbraio si vedrà se in questa regione del Sud il M5S, che ha qui ha preso circa il 40% dei voti lo scorso 4 marzo, sarà ancora il primo partito o se invece avrà ceduto il primato alla Lega Nord. A seguire la Sardegna il 24 febbraio. E poi le Europee a maggio.

(dal Sole 24 Ore - 10 gennaio 2019)

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