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Censis: 52° RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE/2018
Una società incattivita e in preda ad un "sovranismo psichico"

a cura di Paolo Razzuoli

Come ormai da tradizione, il primo venerdì del mese di dicembre (quest'anno lo scorso venerdì 7), nella sede del CNEL, è stato presentato il rapporto Censis sulla società italiana, giunto quest'anno alla 52ª edizione.
La presentazione è stata affidata a Massimiliano Valerii - Direttore Generale Censis ed a Giorgio De Rita - Segretario Generale Censis.

Il rapporto, a mio avviso, è una delle più complete indagini sulla situazione del Paese, che viene indagato sotto molteplici e svariate lenti, come si potrà vedere leggendo i vari approfondimenti.
Per questo, Fucinaidee ha da sempre riservato all'evento una particolare attenzione.

Sulla falsa riga dello schema consueto, il rapporto si articola in una parte di considerazioni generali, ed in una serie di capitoli settoriali.
Il Rapporto interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di attesa di cambiamento e di deludente ripresa che stiamo attraversando.
Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo la transizione da un'economia dei sistemi a un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società. Nella seconda parte, La società italiana al 2018, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell'anno: le radici sociali di un sovranismo psichico, prima ancora che politico, le tensioni alla convergenza e le spinte centrifughe che caratterizzano i rapporti con l'Europa, gli snodi da cui ripartire per dare slancio alla crescita. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

Ma vediamo un po' più nel dettaglio.

È un'Italia impaurita, incattivita e impoverita quella dipinta nel 52esimo Rapporto Censis in cui si parla di «sovranismo psichico» e delinea il ritratto di un Paese in forte difficoltà. Lo Stivale vede sempre di più una divisione tra un Sud che si spopola e un Centro-Nord in affanno e incapace di mantenere le promesse in materia di lavoro, stabilità, crescita, e futuro. Ed è proprio questo, secondo il Censis, «il processo strutturale chiave dell'attuale situazione».

Svalutazione del lavoro

Il Censis parla di «svalutazione del lavoro in Italia»; e i primi a pagarne l’effetto, in questi anni, sono stati i giovani. Ma in prospettiva l’allarme suona per l’intero sistema economico. Se, come è vero, la dinamica demografica e quella occupazionale, entrambe negative, non aiutano a garantire un adeguato ricambio generazionale nelle forze di lavoro, i vincoli sul sistema del welfare tendono a ossidare ancora di più l’intero assetto del lavoro.

La “concorrenza sleale”

Tutto questo si scontra anche con un altro tema, collegato. Il Censis parla, in questo caso, di concorrenza sleale nei contratti di lavoro. Circa il 73% del lavoro alle dipendenze è coperto infatti da contratti collettivi nazionali (dispersi in oltre 800 contratti, secondo i dati del Cnel), ma il restante 27%, uno su quattro, sottoposto a condizioni di tutela a più basso livello di garanzie, agisce da “concorrente sleale”, condizionando e comprimendo i margini di manovra della contrattazione e schiacciando verso il basso le remunerazioni (e assieme a loro, le condizioni stesse di lavoro).

LE FAMIGLIE ITALIANE SEMPRE PIÙ POVERE

I dati dipingono un quadro dai colori tetri e che vede il 6,9% delle famiglie italiane in condizione di povertà assoluta, vale a dire un milione e 793mila. Di queste quasi il 29,2% (455mila) sono straniere. Si tratta di un aumento del 10,6% rispetto al 2016 quando il dato si aggirava al 6,3% del totale. E che siano le famiglie straniere o miste a pagare il prezzo più alto lo dice anche un altro dato: negli ultimi quattro anni, a fronte di una crescita media del 22% delle famiglie in stato di grave indigenza, quelle italiane povere sono cresciute dell'11,5% mentre quelle di soli stranieri del 20,6% e quelle miste addirittura del 183,1%. E preoccupano anche i dati relativi agli individui a rischio di povertà relativa: in Italia sono il 17,5% dei nativi (media Ue: 15,5%), il 28,9% degli stranieri comunitari (media Ue: 22,3%) e il 41,5% dei cittadini non comunitari (media Ue: 38,8%).

L'ITALIA HA PAURA DEI MIGRANTI

Il rapporto Censis ci dice che il 63% degli italiani vede in modo negativo l'immigrazione dai Paesi non comunitari. Ben il 58% pensa che gli immigrati sottraggano o occupino posti di lavoro che spetterebbero ai nostri connazionali, mentre il il 75% che l'immigrazione aumenti il rischio di criminalità. Questo porta il Paese a scoprirsi arrabbiato o infastidito con chi è diverso: il 69,7% non vorrebbe i rom come vicini di casa e il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani. La quota raggiunge il 57% tra le persone più povere. Ma perché tanta ostilità? Gli stranieri per il 63% sono un peso per il welfare mentre solo il 37% crede che il loro impatto sull'economia sia favorevole.

L'ITALEXIT È UN'IPOTESI SEMPRE PIÙ CONCRETA

La convinzione che l'Europa possa essere d'aiuto all'Italia sta sempre più calando con il 57% pronti a votare sì per l'uscita dall'Euro, rispetto a una media europea del 38%. «Siamo all'ultimo posto, addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della Brexit», scrive l'istituto di ricerca. Che ricorda come nel solo 2014, l'affluenza alle elezioni europee in Italia era al 72%, rispetto al 42,6 della media. Questo sta a indicare che nel giro di quattro anni la fiducia nella Comunità sia venuta profondamente a mancare.

In aumento l'area del non voto

Il rapporto ci informa su uno scenario preoccupante sul voto e l’astensione. Alle ultime elezioni politiche gli astenuti e i votanti scheda bianca o nulla sono stati 13,7 milioni alla Camera e 12,6 al Senato. Una pratica che è cresciuta negli ultimi decenni: dal 1968 a oggi l’area del non voto è salita dall’11,3% di 50 anni fa, al 29,4%. Inoltre, il 49% degli italiani crede che gli attuali politici siano tutti uguali, mentre divide il loro uso dei social network: per il 52,9% sono inutili o dannosi, contro il 47,1% che li apprezza quando eliminano ogni filtro nel rapporto cittadini-leader politici.

LA CULTURA È SEMPRE PIÙ SOCIAL

Il nostro Paese è quello che ha uno dei tassi di abbandono precoce dei percorsi di istruzione: il 18% dei giovani tra i 18 e i 24 anni lascia gli studi rispetto a una media europea del 10,6%. I laureati italiani tra i 30 e i 34 anni raggiungono il 26,9%, contro una media Ue del 39,9%. Le speranze dei giovani si stanno a poco a poco concentrando altrove: la metà della popolazione italiana è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso, e il dato sale al 53,3% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni. E un terzo ritiene che la popolarità sui social network sia un elemento indispensabile per arrivare alla celebrità. Del resto lo Stato investe solo il 3,9% del Pil in questo campo, mentre la media europea è del 4,7%. Investono meno di noi solo Romania, Bulgaria e Irlanda.

Negli ultimi 50 anni irresistibile ascesa strutturale del non voto in Italia

Il nodo “sottoccupazione”

Il risultato finale non sembra però confortante: in dieci anni si è passati da 236 giovani occupati ogni 100 anziani a una sostanziale parità, mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 anziani del 2007 sono diventati appena 143. A rendere ancora più critica la situazione è la presenza di giovani in condizione di sottoccupazione, che nel 2017 ha caratterizzato il lavoro di 237mila persone con età compresa tra 15 e 34 anni: un valore che è raddoppiato nell’arco di soli sei anni, così come è aumentato sensibilmente il numero di giovani costretti a lavorare part time pur non avendolo scelto: 650mila nel 2017, 150mila in più rispetto al 2011.

Per approfondire

(Materiali dal sito www.censis.it)

Lucca, 9 dicembre 2018

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