di Antonio Rossetti
Da molto tempo gli argomenti più complessi e difficili hanno al centro due grandi “emergenze” il lavoro che manca, per molti di coloro che chiedono di lavorare e il fenomeno della migrazione di migliaia e migliaia di persone che lasciano il loro paese in cerca di qualcosa di meglio.
Li ho messi sullo stesso piano non tanto per motivi di interesse sociale quanto per il modo come sono stati affrontati negli anni.
Partiamo dal lavoro.
Le politiche di questi ultimi decenni sono state, in prevalenza, di tipo passivo.
Gli strumenti impiegati: cassa integrazione ordinaria e speciale, mobilità, pensionamenti anticipati, ed altro mentre sul versante delle politiche attive lavori a termine e part-time per necessità, lavori precari e instabili, in molti casi, lavoro irregolare e sottopagato e poco altro.
Poco efficaci le politiche di formazione e riqualificazione professionale, di preparazione alla creazione di nuove imprese, da parte di giovani, di sostegno alla innovazione e di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
La stessa attività dei centri per l'impiego non ha prodotto azioni tali da migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. La percentuale di collocati attraverso i centri per l'impiego è quasi la stessa (intorno al 5% dei collocati) del vecchio ufficio di collocamento, prima della riforma.
L'unione europea, da molti anni, sollecita i Paesi aderenti a sostenere azioni volte a creare lavoro attraverso strumenti di politiche attive.
Una strada difficile che richiede scelte a monte. Quali settori, quali aziende e quali figure professionali, per quali produzioni, o servizi, per quali paesi.
E' impossibile incidere in modo positivo senza scelte strategiche definite e programmi di investimento, a partire dalle persone e dalle loro potenzialità.
Più facile ripiegare verso percorsi più agevoli e meno impegnativi, non meno costosi, di tipo assistenziale, che in alcuni casi potrebbero non avere alternative praticabili.
Occorre intervenire, con la partecipazione di tutti i protagonisti della nostra società per costruire le condizioni affinché sia preferita la strada impervia del confronto e delle scelte strategiche per la crescita, lo sviluppo e per il lavoro. Tutto questo richiede una strumentazione adeguata ed una dimensione altrettanto adeguata per intervenire sui temi della formazione (scuola e lavoro), per l'incontro domanda e offerta di lavoro, per dare prospettive di dignità alle persone. Il come fare è legato alla decisione principale: scegliere le strade utili anche se impervie.
Per la questione delle questioni, l'immigrazione, in Italia ed anche in Europa, vale lo stesso ragionamento.
La strada facile della monetizzazione produce solo gravi conseguenze.
Le scelte dell'Unione europea, che ha scaricato il fardello del problema, in gran parte, sull'Italia, è del tipo: vi diamo i soldi, ma il problema lo scarichiamo sul vostro Paese.
So bene che detta così sembra molto sbrigativa e semplice, ma le tragedie che si ripetono con frequenza nel mare mediterraneo, più o meno vicino alle coste dell'Italia, impongono soluzioni molto più difficili all'Europa ed ai Paesi di provenienza dei migranti.
L'Unione europea può avere la necessaria solidità per contrattare, concertare e condividere le azioni necessarie per programmare interventi di sviluppo, a partire dalle infrastrutture, le imprese di produzione, le nuove tecnologie applicabili, le condizioni sociali, per consentire una vita dignitosa, superando conflitti e guerre, per dare dignità alle persone nel loro paese, nel quale poter vivere in pace e democrazia.
Anche in questo caso strade lunghe e impervie, ma solo queste possono consentire una convivenza senza strappi drammatici.
So bene che le politiche di aiuto esistono da tempo, così come da più tempo sono presenti i rancori del colonialismo nei confronti di molti paesi europei, in modo particolare, dai paesi dell'Africa, ma le azioni di aiuto sono state connotate da sfruttamento di persone e, spesso, di”rapina” delle materie prime e di cancellazione di culture e storie dei vari Paesi.
Ricostruire le condizioni concordando interventi, destinando risorse delle quali siano chiari gli esiti, formando le persone sia nel paese di origine che con brevi periodi di formazione nei vari paesi di Europa, stabilire accordi commerciali, di consulenza e sostegno alla creazione di impresa, il migliore utilizzo delle materie prime e la loro trasformazione.
Un sogno? probabilmente si, ma sono convinto che chi ha sintetizzato la strategia delle tre ERRE più che ai sognatori appartiene alla schiera dei tenaci e dei lungimiranti.
La prima erre sta per reclutamento, quello che oggi avviene nel peggiore dei modi, e che è causa di tragedie e morti, mentre dovrebbe essere finalizzato ad obiettivi di civiltà e progresso;
La seconda erre, le rimesse, sono le somme che gli immigrati inviano nel loro paese, ai familiari, e che possono migliorare le loro condizioni e lo stesso bilancio del Paese. Basterebbe rileggere i dati delle rimesse da parte degli italiani per constatarne l'importanza anche nel Bilancio dell'Italia come voce attiva delle entrate.
La terza erre, il Ritorno.
Il più difficile, talvolta impossibile, ma sempre auspicato da tutti coloro che un giorno, magari dopo avere avuto un po' di fortuna ed essersi trovato bene nel paese di accoglienza, pensano di tornare nel loro paese e nelle loro comunità e famiglie.
Potrebbero tornare in un paese cambiato, sentirsi, per qualche tempo, stranieri a casa propria, ma è il sogno.
Il numero delle persone che rischiano la vita per fuggire dal loro paese sarà sempre minore e dipenderà sia dalle condizioni del Paese di provenienza, sia dalle politiche dell'Europa e degli altri grandi Paesi a favore della crescita e dello sviluppo nei paesi che oggi sono esposti drammaticamente a guerre e le loro popolazioni vivono in condizioni disumane.
Queste tre erre possono ridursi per effetto delle politiche che insieme, Paesi ricchi, tra questi consideriamo l'entità Europa, e Paesi bisognosi di aiuto sapranno decidere.
Anche in questo caso la strada più difficile è quella che può dare risultati per tutti, il resto diventa preda di sciacalli che in ogni modo cercano di lucrare sulla disperazione.
Lucca, 5 giugno 2018