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Como, manifestazione antifascista: il rischio di non cogliere il segno dei (nostri) tempi

di Antonio Polito

A Como la marcia antifascista: in piazza governo, Renzi e la Cgil

Verrebbe da dire che l’antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo fare ai politici in campagna elettorale.

Che in Italia ci siano ancora i fascisti è fuor di dubbio. Se è per questo ci sono anche i comunisti. Solo che dei secondi non si accorge nessuno perché il mondo in cui viviamo ne ha sterilizzato l’ideologia; mentre disoccupazione di massa, migrazioni epocali, xenofobia sembrano essere diventati la cifra del nostro tempo e non solo in Italia, proprio come negli anni ‘30 del secolo scorso. Si spiega così perché chi aveva finora vissuto nel sottosuolo nostalgico delle croci runiche e dei fasci littori possa oggi credere di aver qualcosa da dire nell’arena pubblica della modernità. E i nuovi fascisti lo fanno con i metodi che gli sono propri, aggressivi, intimidatori, quando non apertamente violenti. Ogni sforzo affinché quei metodi vengano respinti e impediti dalla legalità repubblicana è dunque sacrosanto, e spetta innanzitutto alla forza coercitiva dello Stato. Allo stesso modo vanno isolati i tentativi di intimidire la libertà di espressione, che riguardi un’associazione di volontari o la stampa indipendente (come è accaduto nella irruzione di Como o nella gazzarra davanti alla sede di Repubblica).

Ma stabilito che il pericolo rappresentato dai fascisti esiste e va tenuto a bada, forse è un errore di prospettiva credere che ci sia anche un pericolo fascismo. Che cioè quel coacervo di idee e sentimenti che nel 1919 sfociò a Piazza San Sepolcro a Milano nella fondazione dei Fasci di Mussolini, ad opera di militanti provenienti dalla sinistra, possa oggi ripresentarsi nelle stesse forme politiche e con lo stesso messaggio. Ai nostri giorni la xenofobia e l’odio trovano differenti canali per trasformarsi in politica, molto più subdoli e complessi, per esempio sulla Rete; e così anche la rabbia dei giovani per la condizione economica cui temono di essere destinati sta in realtà provocando più astensione che mobilitazione politica.

Ecco perché manifestazioni come quelle di ieri a Como, pur nobili nei loro intenti, rischiano di non cogliere nel segno del tempo. Bella Ciao e Calamandrei sono patrimonio della nostra Repubblica, ma in assenza del fascismo contro cui quelle bandiere furono alzate rischiano di essere usati come strumenti di una battaglia politica partigiana sì, ma non nel senso buono. Prova ne sia che questo nuovo antifascismo non fa più l’unità del cosiddetto arco costituzionale, e anzi viene osteggiato da forze come il M5S e la Lega, le quali sanno benissimo di avere nel loro elettorato pulsioni anti-politiche e anti-immigrati, ma che hanno trovato forme diverse, e bisogna ammettere pacifiche e democratiche, di esprimersi. Il peggiore dei torti che si potrebbe fare al fondamento antifascista del nostro regime costituzionale sarebbe dunque quello di usarlo a corrente alternata e ognuno per i suoi fini, a Ostia la Raggi e i Cinquestelle a Como Renzi e l’Anpi così da inzaccherarlo con la polemica politica del momento. Oppure discriminare l’antifascista dal fascista sulla base del grado di apertura agli immigrati (anche al povero Minniti è capitato in passato di sentirsi dare del fascista per questo).

Verrebbe da dire che l’antifascismo è una cosa troppo seria per lasciarlo fare ai politici in campagna elettorale. I valori repubblicani devono unire, non dividere. E oggi non ci pare proprio ci sia il bisogno di dividersi sul fascismo, pagina nera e finita della storia d’Italia.

(dal Corriere della Sera - 10 dicembre 2017)

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