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Ancora una volta sulle spalle del Paese

di Paolo Razzuoli

Un tempo si chiamava "Finanziaria", poi "Legge di Stabilità", oggi si chiama "legge di bilancio".
Comunque la si chiami, è il bilancio di previsione dello Stato per il prossimo esercizio che coincide con l'anno solare. quindi, la Legge di Bilancio attualmente all'esame del Parlamento si riferisce all'anno 2018.

Inutile dirlo, il percorso di questo provvedimento è un vero assalto alla diligenza, sferrato dai vari gruppi portatori di interessi, più o meno grandi, più o meno radicati nel Paese.
Normalmente i testi di queste leggi arrivano in Parlamento molto diversi da come vi escono.
Non raramente vi entrano con intenzioni virtuose, che si appanneranno fortemente llungo la strada, sotto i colpi di interessi che, come da sempre si verifica in Italia, finiranno per averla vinta, in barba ai proclami sulla necessità di ridurre il debito pubblico e/o la pressione fiscale.
Quando poi l'approvazione della Legge di Bilancio cade a distanza ravvicinata dalle elezioni, come quest'anno, è sin troppo facile immaginare che la bussola sono gli interessi elettorali, quindi la volontà di dare qualche prebenda a quei gruppi da cui si pensa possa venire qualche consenso elettorale.

E se gli organismi di Bruxelles avanzano riserve, pazienza! Dare la colpa all'Europa è sempre di grande comodità, in un Paese in cui la deresponsabilizzazione e l'attribuzione agli altri delle proprie colpe è una connotazione genetica della politica, intendiamoci bipartisan.
Così, fra una lettera di Bruxelles ed una risposta di Roma, si va avanti, siprende un po' di tempo, in qualche modo si approva la legge, ed i grandi nodi da affrontare seriamente, primi fra questi la riduzione del debito e una vera e non mascherata riduzione della pressione fiscale, si rimandano a tempi migliori. Naturalmente ancora sulle spalle del Paese, e soprattutto delle nuove generazioni...

Ma vediamo, in estrema sintesi, come è entrata la manovra in Parlamento; come uscirà di preciso nessuno può dirlo.
La manovra ammonta a 20,4 miliardi di euro.
Tra le misure previste si segnalano:
• Bonus assunzioni per i giovani under 35: sgravio del 50% per i primi tre anni di contratto a tutele crescenti con tetto annuo di 3.000 euro;
• Ape sociale rosa: bonus di 6 mesi per ogni figlio alle lavoratrici madri per l’accesso all’Ape social, con un tetto massimo a 24 mesi;
• Congelamento dell'aumento Iva; oltre 15 miliardi per neutralizzare le clausole di salvaguardia;
• Cassa integrazione straordinaria: stanziati 100 milioni di euro per attivare un percorso di ricollocazione “anticipato” durante il periodo di collocamento in Cigs;
• Lotta alla povertà: stanziati 300 milioni in più nel 2018, che sosterranno l’introduzione del Rei (Reddito di inclusione);
  • frequenze 5G: base d'asta di 2,5 miliardi di euro;
• Pubblico impiego: 1,7 miliardi di euro per il rinnovo dei contratti degli statali fermo da 10 anni;
• Bonus di 80 euro: stanziati 300 milioni per mantenere la misura;
• Industria 4.0: confermati gli incentivi sugli acquisti con le misure del superammortamento e dell’iperammortamento, potenziata la nuova Legge Sabatini;
• Università: assunzione di 1.500 ricercatori tra atenei ed enti di ricerca e frequenza biennale per gli scatti per i docenti;
• Bonus verde: credito d’imposta del 36% delle spese fino a 5mila euro per gli interventi di ristrutturazione e irrigazione di giardini e aree verdi di unità immobiliari e dei condomini;
• Riqualificazione energetica degli edifici: prorogato per il 2018 il credito d’imposta del 65% (fino al 2021 per i condomini).

Alcune di queste misure erano certamente attese; altre hanno un certo sapore elettoralistico, e rispondono più ad una logica di distribuzione di prebende che non alla volontà di intervenire in modo strutturale, per rimuovere ostacoli alla crescita.
Recentemente ho avuto modo di ascoltare un alto rappresentante di un corpo intermedio contestare questa logica, proprio adducendo che al Paese non serve la distribuzione di bonus, bensì un intervento in profondità che rimuova gli ostacoli che minano la competitività del sistema Italia. Penso che avesse ragione!

Ma questo è un brutto periodo per le aspirazioni riformiste; siamo in piena controriforma, e sembra che sull'altare delle alleanze (nello specifico a sinistra), si sia disposti anche a tornare indietro su quel poco che si è riusciti a fare nel recente passato.
Senza entrare nel merito, la vicenda della concertazione sulle pensioni, con la conseguente articolazione delle posizioni sindacali, è assai eloquente e mi spinge sul terreno di qualche considerazione politica.
Quel che resta della Cgil si è saldato a quel che resta della sinistra, anche se evocare la vecchia formula della “cinghia di trasmissione” tra sindacato e partito mi sembra, tuttavia, un po' grottesco: la Camusso non è Di Vittorio o Lama, Mdp non è il Pci, Bersani e D’Alema non sono Togliatti e nemmeno Pajetta.
Col pretesto delle pensioni, un sindacato (in gran parte di pensionati) in cerca di iscritti unisce la propria debolezza a quella di un partitino in cerca di voti. Tutto qui. Non cambierà per questo la storia d’Italia. Ma l’immagine, forse, sì. Ed è meglio non dimenticarlo quando assistiamo a certi atteggiamenti nei nostri confronti.
L’Italia non è la Germania, che può permettersi di rimanere priva di un governo per mesi senza che i mercati finanziari battano ciglio. L’Italia, col suo colossale debito pubblico e il pochismo politico che la caratterizza, è considerata inaffidabile per definizione.

Gli osservatori internazionali cercano solo conferme ai propri, antichi pregiudizi.
Vedono crescere nelle varie tornate elettorali, e nei sondaggi, un movimento antisistema, i 5Stelle, che non contribuisce a renderci certo affidabili.
Vedono il sindacato rosso riempire, si fa per dire, le piazze soffiando sul fuoco del conflitto sociale e contrapponendosi a un governo di sinistra.
Vedono che il Partito Democratico, nell'illusione di allargare le alleanze a sinistra, è disposto anche a rimangiarsi quel po' di riformismo che è riuscito a mettere in campo.
Assistono ad un avvio di campagna elettorale in cui i leader (tutti) fanno a gara a chi la spara più grossa, infischiandosene delle compatibilità economiche.
Insomma, assistono alla riemersione delle peggiori dinamiche politiche italiane e sanno che difficilmente le prossime elezioni daranno vita a un governo stabile: come possiamo pensare che siano sereni?
Naturale che ci considerino un Paese a rischio, sul quale non investire a cuor leggero. Ma tutto questo non preoccupa né la Camusso né D’Alema, accomunati dalla nostalgia di un passato che non tornerà.

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