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Sostenibilità dei conti. Il governo tiene duro ma?

di Dino Pesole

Si scrive debito pubblico, si legge sostenibilità dei conti della previdenza (in aumento al 15,3% del Pil da qui al 2020). Agli occhi dei mercati, di Bruxelles e delle agenzie di rating, oltre alla variabile fondamentale della stabilità politica, quel che conta è la garanzia che nel medio periodo si può esibire per sostenere il percorso di graduale rientro dal debito. Mercoledì prossimo, ma soprattutto in occasione del giudizio definitivo fissato a maggio del 2018, il tema della sostenibilità dei conti pubblici nel medio periodo sarà nuovamente al centro delle valutazioni della Commissione europea.

Non a caso ieri, al termine del nuovo round negoziale con i sindacati, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan ha nuovamente richiamato il tema dei vincoli di bilancio. Concetto ribadito in serata al Festival “Economia come”.

Il Governo ha messo in campo risorse per 300 milioni, tali da garantire le modifiche che vanno definendosi sull'aumento dal 2019 dell'età pensionabile a 67 anni in seguito all'aumento delle aspettative di vita. Operazione da condurr senza alterare i saldi della manovra. Un paletto che Padoan giudica sostanzialmente invalicabile, anche perché la trattativa con Bruxelles è tutt'altro che conclusa, come mostra l'ultima sortita del vice presidente della Commissione Ue, Jyrki Katainen (l'economia non migliora e gli italiani dovrebbero sapere qual è la vera situazione). Affermazione respinta al mittente da Padoan. La maggiore crescita aiuta, ma la vera partita la si giocherà in primavera, una volta celebrate le elezioni.

Per il 2017, stando alle prime stime, il possibile aumento fino allo 0,3% del Pil - certificato dall'Istat relativamente al terzo trimestre - non determinerà variazioni significative per i conti pubblici. In sostanza, si confermerebbe un deficit al 2,1%, forse leggermente inferiore, mentre il debito si attesterebbe nei dintorni del 131,6% del Pil. Diverso l'impatto per il 2018. Il “trascinamento” nel nuovo anno della maggiore crescita 2017, rispetto all'1,5% stimato dal Governo lo scorso settembre, avrebbe effetti positivi sia sul versante del deficit nominale che sul debito. Nel caso in cui il Pil 2018 si attestasse anch'esso nei dintorni dell'1,8% (al momento la stima è dell'1,5%), il deficit scenderebbe dal 1,6% indicato nei documenti programmatici del Governo per attestarsi all'1,4-1,5 per cento. Ne beneficerebbe anche il debito, che dunque scenderebbe già dal prossimo anno al di sotto della soglia del 130% del Pil (attorno al 128%).

Scenari ipotetici, naturalmente L'incognita maggiore è tutta politica. Il beneficio della maggiore crescita sarebbe vanificato, laddove si verificasse un aumento della spesa in conto interessi ingenerata dal ritorno sui mercati del “rischio-Italia”. E occorrerà misurare l'impatto del graduale esaurirsi degli stimoli monetari della Bce, che hanno contribuito in modo determinante alla riduzione del deficit per la componente degli interessi sul debito, con effetti conseguenti sulla stessa crescita. L'impegno del Governo è a ridurre il deficit strutturale dello 0,3% nel 2018, ma le valutazioni di Bruxelles differiscono. Due/tre decimali di differenza, che potrebbero in primavera motivare la richiesta di una correzione.

Non sarebbe un buon viatico per il governo che verrà dopo le elezioni.

(dal Sole 24 Ore - 19 novembre 2017)

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