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Secessionisti e populisti? Narcisi che non fanno i conti con la realtà

 

di Giovanni Maria Ruggiero

 

Il bello della democrazia è che ci si lascia andare a decisioni gravissime convinti che tutto sarà privo di pericoli e di conflitti.

Ragionare in modo semplicistico è un segnale di stupidità. Uno stato psicologico disfunzionale, alla radice di molti disturbi come il narcisismo.

 

Una strana illusione di superficiale sicurezza accompagna il crescere dei rancori e delle rivendicazioni sociali degli ultimi anni.

Nelle interviste a passanti casuali dopo la Brexit molti elettori inglesi favorevoli al “leave” sembravano increduli delle conseguenze

pratiche della loro scelta, quasi sbalorditi che la loro idiosincrasia personale si fosse realizzata in un evento fin troppo reale.

  Oggi la questione della Catalogna oscilla tra rischio di reale lesione violenta dell’unità politica della Spagna – con tutte le

implicazioni di ordine pubblico e militari del caso - e sensazione che si tratti della solita tempesta in un bicchier d’acqua, dell’ultima manifestazione di un malcontento di piazza fine a se stesso e privo di sviluppo pratico.

Al contrario, nel referendum del Kurdistan gli attori sembrano consapevoli delle conseguenze politiche, legali e militari dell’atto -

gli eserciti si schierano- mentre in Europa atti gravidi di effetti storici sembrano sempre esprimersi in una maniera attutita, priva di

conseguenze davvero rischiose. Rivoluzioni pacifiche nel migliore dei casi, altre volte eventi privi di sostanza.

   È il bello della democrazia, il fatto che tutto si mantenga nei limiti della civiltà dei modi e dei comportamenti, ma è anche un suo

ingannevole incantamento.

Ci si lascia andare a decisioni gravissime convinti che tutto sarà privo di pericoli e di conflitti. La natura non violenta del confronto

democratico è ottimale per gestire il cambiamento nelle abitudini sociali, come ad esempio l’evoluzione del rapporto tra uomo e donna negli

ultimi cento anni, dalle suffragette allo scandalo di Harvey Weinstein. Questa efficienza tuttavia non è facilmente applicabile a conflitti tra stati o a tentativi di secessione.

La conseguenza psicologica di questa illusoria sensazione di sicurezza può essere la tendenza a ragionare solo in termini di

astratta giustizia e di diritti da assicurare seduta stante. Il che va bene, se però si unisce anche a un ragionamento concreto sui percorsi da imboccare per

ottenerli questi diritti, e sugli inevitabili costi ed effetti collaterali negativi che qualunque cambiamento implica. Invece la sensazione è che si inneschino

eventi potenzialmente giganteschi con la leggerezza con la quale si gioca alla playstation. Ci sono videogiochi in cui è possibile, prima di cena, gestire

imperi millenari e partire alla conquista del mondo. Dopodiché si può anche chiudere la serata soddisfatti. Promuovere la separazione dall’Europa

o dalla Spagna con lo stesso spirito svagato forse è meno consigliabile.

    Ragionare in termini semplicistici non è solo un segnale di stupidità. È anche una posizione verso il mondo, uno stato psicologico

disfunzionale che non a caso è alla radice di molti disturbi. Il senso di pretesa, il cosiddetto “entitlement” per cui le cose ci sembrano dovute e –

appunto- pretendiamo che esse ci siano subito, qui e ora solo perché è giusto, è alla base del

narcisismo.

Naturalmente anche questo è troppo semplice. Il malessere sociale che viviamo in questa epoca agitata non è imputabile a una

causa psicologica e nemmeno è possibile sostenere il contrario. Tuttavia, i due concetti, sociale e psicologico, possono illuminarsi a vicenda. In psicoterapia,

accanto al momento della vicinanza psicologica e dell’accoglimento si da importanza anche a quello dell’appello alle risorse personali e all’impegno a

rafforzare la propria capacità di sopportare la frustrazione, ad avere un rapporto realistico con il mondo e a esporsi coraggiosamente alle situazioni

temute: parlare in pubblico, impegnarsi nei rapporti sociali, andare nei luoghi dove si prova ansia, controllare le proprie emozioni peggiori nei luoghi di lavoro:

rabbia, invidia, rancore, gelosia. La previsione degli aspetti negativi e concreti fa parte della crescita psicologica. Aspettarsi che un cambiamento

psicologico avvenga solo attraverso l’ascolto e la comprensione dei propri traumi è illusorio, sebbene oggi la teoria del trauma sembri tornare in voga,

dopo che lo stesso Freud la aveva seppellita un secolo fa.

Nel campo politico e sociale questa nozione sembra scomparire, soprattutto nei cosiddetti movimenti populisti ma non solo. Ci si

imbarca in avventure che lasciano perplessi, si pensa di poter rievocare stati e nazioni risalenti a epoche lontane, oggi la Catalogna o magari domani la

Repubblica di Venezia, ritenendo di poter dirimere ogni ostacolo con una democratica stretta di mano tra amici.

Vedremo cosa accadrà, vedremo come va a finire…

 

(da www.linchiesta.it)

 

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