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Visco e il caso Bankitalia, entrata a gamba tesa inutile e dannosa

di Francesco Giavazzi

Spesso, durante la crisi, siamo stati giudicati un elemento di possibile destabilizzazione della moneta unica, addirittura dell’Unione Europea. E non solo per il livello del nostro debito pubblico . Uno dei motivi veniva individuato nella debolezza delle nostre banche. Risultato di un’intromissione storica della politica nel credito, durata troppo a lungo e non ancora del tutto smantellata.
A distanza di qualche anno la percezione di chi ci osserva dal resto del mondo è cambiata. Grazie a una parola: stabilità.

Il Paese e le nostre istituzioni sono state in grado di trasmettere, nonostante cambi di governo talvolta inaspettati e inutilmente traumatici, l’idea che stavamo percorrendo un sentiero lungo il quale la continuità nel risanamento, pur lentissimo, dei conti e dell’economia era al centro delle scelte di chi si trovava pro tempore al governo. Anche sul fronte delle banche. Pur in presenza di crisi gravi, che hanno portato al fallimento di alcuni istituti e alla nazionalizzazione di altri, pur con ritardi nel capire la gravità e l’urgenza del problema, siamo sempre riusciti ad evitare il panico, azzeramenti dei depositi, chiusure delle linee di credito alle aziende. Nei casi più gravi, come le due banche venete fallite, i rapporti di credito sono stati salvaguardati trasferendoli a banche più solide con beneficio delle imprese. Le banche sono una infrastruttura essenziale per la nostra economia: nei primi anni della crisi questa infrastruttura ha scricchiolato ma non ha mai ceduto. Il tema ora è continuare su questa strada. Il problema più pressante è rompere il circolo vizioso fra banche e debito pubblico (dovuto all’enorme quantità di Btp posseduti dalle banche) che rimane la loro maggior fonte di debolezza, e il maggior ostacolo alla riforma dell’eurozona, in primis all’ introduzione di una assicurazione europea ai depositi bancari.

Distrarsi, abbandonare l’obiettivo della stabilità, sarebbe in questo momento, un errore grave. Non lo abbiamo commesso con la legge di Bilancio proposta ieri l’altro dal governo, nonostante pressioni violente, in particolare sulle pensioni. Rischiamo ora di commetterlo con le banche.

La discontinuità nella guida della Banca d’Italia che ha invocato ieri il Pd in Parlamento (pur con un successivo apparente ripensamento ma ormai il danno era fatto) arriverebbe nel momento peggiore. Un’entrata a gamba tesa della politica che negli anni passati è stata causa dei guai del credito. La bagarre che si aprirebbe con tutto il portato di polemiche legate a casi come quello della Popolare Etruria che hanno creato problemi proprio al Pd, avrebbe l’effetto certo di dare un duro colpo alla reputazione che stiamo a fatica riconquistando.
E non illudiamoci che quella bagarre, e i compromessi che inevitabilmente l’accompagnerebbero, possa produrre scelte sagge.

(dal Corriere della Sera - 17 ottobre 2017)

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