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Breve commento

Il 27 settembre scorso la Camera dei Deputati ha approvato, in via definitiva, il nuovo codice antimafia: un documento che ha suscitato valutazioni contrastanti, fra cui critiche anche molto severe.
Il nuovo codice antimafia, che equipara le logiche da adottare nella lotta alla mafia alla corruzione, rischia di arrecare gravi danni all'economia. E ancora: «Un imprenditore vive di reputazione, la cultura del sospetto può rovinarlo al punto da non poter più recuperare», così ha commentato il nuovo codice il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. «Si ravvedono difetti di costituzionalità - ha aggiunto - Conviene andare avanti per verificare se ne sussistono. Bisogna superare questo dogma».
Altri sono andati oltre dicendo che La riforma del codice antimafia approvata in via definitiva dalla Camera che equipara corrotti e mafiosi non è il “regalo al paese” magnificato da Rosy Bindi. E’ un obbrobrio giuridico e un inchino alla demagogia giustizialista che anche molti giuristi e magistrati definiscono di dubbia costituzionalità, liberticida, ma soprattutto dannoso per combattere sia la mafia sia la corruzione, per non parlare del terrorismo e dello stalking, messi anch’essi nello stesso calderone.
Di una legge liberticida parla anche il giurista Giovanni Verde, nell'articolo che propongo ai lettori di Fucinaidee.

Paolo Razzuoli

Codice antimafia approvato: una legge che offende la libertà

di Giovanni Verde

E venne il giorno in cui il Codice Antimafia fu approvato. A larga maggioranza. Più dei due terzi dei Deputati l’ha votato. Si tratta, perciò di una scelta convinta o, come ha detto l’onorevole Bindi, commentando il risultato, di un «regalo al Paese». Eppure, molti tecnici, tra i quali molti tra quei parrucconi che oggi sono i professori universitari (me compreso) avevano espresso perplessità, timori, disappunto.
È, tuttavia, evidente che (noi dissidenti) eravamo fuori strada, perché due sono le cose: o non avevamo capito e continuiamo a non capire niente; oppure facciamo parte di quella porzione della cittadinanza che è collusa con la malavita e con il malaffare. Ed in questo clima non è inutile continuare a fare sentire la propria voce, è pericoloso e nocivo, perché, se ci va bene, siamo considerati degli imbecilli e, se ci va meno bene, siamo additati come fiancheggiatori dei delinquenti o addirittura come delinquenti.

Voglio correre il rischio. Le Cassandre sono annunciatrici di guai e non sono ben viste. Talvolta, però, ci colgono. E le Cassandre vedono un pericoloso e costante slittamento della nostra democrazia, ossia del governo del popolo, verso un governo dei giudici. Basta scorrere i giornali. Siamo tra quelli che pensano o si illudono di pensare che il compito dei giudici (che mi ostino a tenere ben distinti dai pubblici ministeri) sia quello di giudicare, ossia quello di emettere verdetti all’esito di un giusto processo. Ci illudiamo.

 

Oramai il processo è uno strumento marginale. O meglio è la stessa idea del processo, come luogo in cui la parte fa valere le sue ragioni con tutte le garanzie che una civiltà evoluta come la nostra deve o dovrebbe garantire, è tramontata. Sul contenzioso tra privati incombono le esigenze dell’economia. Non ci possiamo consentire il lusso di processi a tutto tondo e, oltre tutto, essendo un popolo incline al contenzioso, è necessario debellare il cancro della litigiosità, che ci fa perdere alcuni punti di Pil. E allora il processo, quello con la P maiuscola, va celebrato come strumento residuale. Bisogna trovare altre strade per comporre le liti, e il legislatore ci sta provando da anni con tenacia.

 

(da Il Mattino - 27 settembre 2017)

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