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La scelta fatale per l'Italia

di Francesco Giavazzi

In Europa si stanno preparando riforme che influiranno sulla nostra economia molto più di tutte le leggi che in Parlamento si dibattono in queste settimane, a cominciare dalla prossima Legge di stabilità. Sottovalutarne la portata rischia di condizionare, senza che ci sia stata l’ombra di una discussione, l’attività di qualsiasi governo possa uscire dalle elezioni della primavera prossima.
Il tema sono le condizioni alle quali Germania e Francia stanno trovando un accordo che consentirebbe la nascita di un bilancio europeo comune, cioè finanziato con titoli garantiti congiuntamente da tutti i Paesi dell’Eurozona. Si tratterebbe di un necessario completamento, di quel salto di qualità che molti ritengono necessario per i 19 Paesi che aderiscono alla moneta unica. Disporre di un bilancio comune consentirebbe di arginare eventuali crisi di fiducia verso un Paese membro. Situazioni, come quella che l’Italia subì nell’estate del 2011, in cui un Paese coinvolto potrebbe non aver altra scelta che quella di ripudiare il proprio debito pubblico, provocando shock finanziari a catena. Sarebbe anche uno strumento per governare l’economia dell’Eurozona, soprattutto quando i tassi di interesse scendono a zero e di conseguenza la politica monetaria della Bce perde incisività. Il presidente Macron spinge perché un bilancio comune (che fu un suo impegno elettorale) nasca al più presto. Angela Merkel non è pregiudizialmente contraria ma pone una condizione.

Poiché un bilancio comune comporta condivisione del rischio (appunto perché sarebbe finanziato con titoli garantiti da tutti), esso non può nascere, secondo Berlino, prima dell’introduzione di regole che riducano l’ammontare di quel rischio nei mercati finanziari dell’Eurozona. Queste regole, che avrebbero conseguenze di non poco conto per i 19 Paesi, riguardano due aspetti.
Il primo sono i limiti da porre alla quantità di titoli emessi dal proprio Stato che una banca può possedere. Oggi non esiste alcun limite.
Secondo: le norme da seguire per consentire, in caso di ristrutturazione del debito pubblico, quello che i mercati chiamano default, una procedura ordinata e che non abbia conseguenze nefaste per tutti. La quantità di titoli pubblici emessi dal proprio governo che una banca può detenere dovrebbe dipendere dalla loro rischiosità. Poiché i titoli pubblici tedeschi e francesi sono giudicati dagli investitori privi di rischio, o quasi, il loro possesso continuerebbe a non essere soggetto ad alcun limite. I titoli italiani invece, che il mercato considera più rischiosi, avrebbero dei tetti di possesso. Una banca italiana cioè, non potrebbe detenere Btp oltre un certo livello.
Gli effetti sui nostri conti pubblici sarebbero pesanti. Si ridurrebbe la domanda di Btp da parte delle banche italiane senza che ne aumenti la richiesta da parte di banche francesi e tedesche. Il risultato sarebbe quello di far salire il costo del nostro debito.

Il secondo tipo di regole dovrebbe, come dicevo, rendere possibile un «default ordinato». Vale a dire quello che non è stato possibile in Grecia (con le conseguenze di una crisi del debito che ancora stiamo pagando) perché le regole attuali non prevedono che un paese dell’Eurozona possa non ripagare il proprio debito secondo quanto pattuito. Se uno Stato non può fare default – e quindi colpire gli investitori che hanno acquistato i suoi titoli conoscendo il rischio che correvano -- è inevitabile che i suoi debiti, come è accaduto con la Grecia, ricadano, almeno in parte, sui contribuenti degli altri Stati dell’Eurozona. Nella prima fase della crisi, ad esempio, (2010-11) anche noi contribuimmo al salvataggio della Grecia con circa 10 miliardi di euro.

Veniamo alle conseguenze per l’Italia di questo dibattito, che per il momento ci vede assenti, o perlomeno senza la dovuta attenzione da parte della politica.
Premesso che un bilancio comune è nell’interesse di tutti, e quindi anche nostro, il tema è come si procederà al varo di quelle regole. O meglio quanto rapidamente esse entreranno in vigore, dato che è nell’interesse di tutti prima o poi adottarle.
Nessuno seriamente pensa che un default sia una possibilità concreta per l’Italia. Il nostro debito, seppure molto alto, è perfettamente sostenibile. Ma il problema è che cosa accadrebbe se si verificasse, come nel 2011, un attacco speculativo contro i Btp? Se il bilancio comune non fosse ancora in funzione, mentre le regole che rendono possibile un default sì, diverrebbe molto difficile arginare un attacco speculativo, e quindi il default stesso, con effetti pesantissimi sul nostro Paese, a cominciare dalle famiglie che vedrebbero svanire una parte importante della loro ricchezza finanziaria. Se invece la speculazione dovesse muoversi dopo la creazione di un bilancio comune, il fatto stesso che tale bilancio possa intervenire ed acquistare titoli italiani vanificherebbe l’attacco, il quale quindi neppure inizierebbe. Attenzione: disporre di un bilancio comune non elimina la necessità di ridurre gradualmente il nostro debito (in rapporto al Pil). Al di là del fatto che questo è un impegno che il Parlamento ha liberamente sottoscritto aderendo nel 2012 al Fiscal Compact (con 442 favorevoli, solo 3 contrari e 6 astenuti alla Camera) ridurre il debito è necessario affinchè nel lungo periodo esso sia sostenibile. Il bilancio comune serve solo ad evitare crisi che possono verificarsi anche se il debito è sostenibile, come accadde appunto nel 2011.

In conclusione l’Italia dovrebbe essere irremovibile sulla simultaneità fra interventi per limitare il rischio e nascita di un bilancio comune. E dovrebbe anche ottenere che eventuali limiti a quanti Btp una banca italiana può detenere vengano introdotti con grande gradualità.
Potremmo non essere soli in questo negoziato. Poiché anche la Francia, seppur meno di noi, nutre simili preoccupazioni, c’è la possibilità di guadagnarsi spazi nella trattativa. Inoltre, se non si possono mettere in discussione le regole approvate in passato, questo deve valere per tutte le regole. Anche per quelle (sempre disattese) che imporrebbero alla Germania di risparmiare di meno, ad esempio riducendo la tassazione dei salari o degli investimenti. Una scelta invece sarebbe per noi fatale. Accettare queste proposte a scatola chiusa, cioè senza negoziarne i tempi, in cambio di un po’ più di flessibilità nelle prossime Leggi di stabilità.
Lo scambio tra flessibilità sui conti pubblici oggi, e regole che si applicheranno solo in futuro, è un errore che abbiamo già fatto. Ad esempio non richiedendo un periodo transitorio all’applicazione delle regole del bail-in nei salvataggi bancari. La cessione di un po’ di sovranità per costruire un’Eurozona più solida è nell’interesse di tutti. Ma questo deve avvenire con consapevolezza e con regole che tutti debbono rispettare.

(dal Corriere della Sera - 16 settembre 2017)

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