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Il Tar del Lazio ed il gusto per il no.
Il campione del "Sadismo burocratico"

di Paolo Razzuoli

Del Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio la maggioranza degli italiani ha sicuramente sentito parlare: si fa infatti una ottima pubblicità su ogni media, per una lunghissima catena di "no" che hanno stoppato, o decapitato, molte iniziative di riforma anche assai popolari nel Paese.
Coloro che hanno poi avuto la sventura di capitare sotto la ghigliottina delle sue decisioni, ne hanno patito non poche tribolazioni, per le conseguenze e le fatiche (vedi concorsi) che le sue decisioni hanno comportato.

Ma perché il Tar del Lazio ha una rilevanza così diversa dagli omologhi tribunali amministrativi delle altre regioni? La risposta è semplice. Le decisioni del Tar del Lazio hanno effetto sull'intero territorio nazionale e costituiscono, di conseguenza, un tribunale di appello per i ricorsi contro i provvedimenti della Pubblica Amministrazione. Non è difficile immaginare che qualsiasi provvedimento di qualche importanza scontenta qualcuno, quindi che vengano presentati ricorsi è da considerarsi un dato fisiologico.
Appare infatti di tutta evidenza che qualsiasi iniziativa dettata da un respiro e/o ambizione riformista si tenti di mettere in campo, suscita reazioni contrarie, in un Paese come il nostro nel quale, praticamente dall'avvio della sua storia unitaria, il peso delle corporazioni ha condizionato le scelte politiche e nel quale il principio dei diritti acquisiti (di per sè ovviamente meritevole di attenzione) viene utilizzato in modo strumentale e amplificato con una retorica che oltrepassa qualsiasi ragionevole dimensione.

Appare quindi normale che, di fronte a qualsiasi cosa si cerchi di cambiare, qualcuno si senta danneggiato e, aiutato da una normativa che nel corso dei decenni si è fatta sempre più complicata e non raramente contraddittoria, si rivolga al Tar del Lazio che, per sfortuna del Paese, si è mostrato in questi decenni sensibile all'accoglimento delle istanze, anche quando esse sono apparse più in contrasto con il buon senso.
Su questa scia, giorni fa il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha negato la legittimità del numero chiuso all’Università di Milano per i corsi di laurea in Filosofia e Lettere, e per tutte le altre facoltà umanistiche. Non so in base a quale appiglio giuridico; sicuramente comunque una decisione che cozza con il buon senso.

Il Tar del Lazio non ha una faccia ma, se l’avesse, potrebbe essere quella dell’Idra di Lerna, un mostro orrorifico a nove teste che viveva in una palude e distruggeva qualsiasi cosa gli capitasse a tiro (copyright Aldo Grasso, dal Corriere della Sera).
Si trova sempre un appiglio legale per strozzare una buona idea. Basta andare su Google e cliccare «Tar del Lazio boccia»: l’elenco che appare è sconcertante.

Non si tratta di dubitare che i giudici amministrativi agiscano coerentemente con le leggi, ma la sensazione è che il Tar del Lazio provi gusto a paralizzare le decisioni prese, all’insegna del No a tutto. Un vero incubo! No al numero chiuso, no ai direttori stranieri scelti da Franceschini, no all’appalto appena vinto...
Un atteggiamento che mi pare possa autorizzare la definizione di «sadismo burocratico»: si lascia partire una riforma, se ne intravvedono i benefici, poi interviene il Tar del Lazio a bloccare tutto.

La questione chiama ancora una volta in causa la politica giacché la strada del rilancio del Paese passa anche da una profonda riforma delle sue leggi, che dovranno essere depurate da tutti quei cavilli che sono stati progressivamente introdotti e che, non raramente, sono il frutto dell'ampliarsi del potere interdittivo delle varie lobbyes, che hanno avuto buon gioco nel contesto di progressivo indebolimento della politica.

Ma su un altro elemento occorre fare un po' di attenzione: i Tar furono previsti al momento dell'istituzione delle Regioni a Statuto Ordinario. E' pertanto lecito questo interrogativo: Forse il Tar è solo figlio di quel pozzo senza fondo che sono le Regioni?
Tema tutt'altro che peregrino, anche in ragione delle vicende che hanno screditato la classe politica regionale.
Comunque, ragionando esclusivamente sul livello istituzionale, non può sfuggire che Da quando l’Italia è anche Europa, lei stessa è diventata regione.
È ancora dunque il caso di andare avanti con tutte le disfunzioni e gli sprechi creati dalle piccole Regioni italiane?

Lucca, 3 settembre 2017

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