logo Fucinaidee

Un amore più serio per l’Europa

di Francesco Giavazzi

È un buon momento per l’Europa. Non solo l’economia migliora (i primi dati suggeriscono che la crescita nel secondo trimestre potrebbe essere stata la migliore da sei anni in qua) ma migliora anche l’opinione dei cittadini verso le istituzioni europee. Persino in Gran Bretagna se si votasse oggi il 54 per cento sarebbe per rimanere nell’Unione europea (risultati di un sondaggio condotto dal Pew Research Center nella primavera scorsa). Non c’è un Paese, tranne la Grecia, dove la percentuale di chi giudica favorevolmente l’Europa sia inferiore al 50 per cento. E anche in Grecia, dove solo un cittadino su tre esprime un giudizio positivo, la percentuale nell’ultimo anno è cresciuta. Sfruttando il momento favorevole, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha portato al Consiglio europeo di giovedì scorso l’agenda su cui è stato eletto: un’Europa fortemente integrata al proprio interno, ma che protegge i suoi cittadini dalle minacce esterne. E quindi: difesa delle frontiere, difesa dei nostri prodotti, protezione dei lavoratori spiazzati dalla globalizzazione. Un progetto che in Francia ha sconfitto gli anti europeisti e in Italia li obbliga a camuffarsi. Infatti Matteo Salvini ha già messo da parte il tricolore e ora si fa intervistare sullo sfondo di una bandiera europea. E Di Maio non parla più di referendum sull’euro. Cambi di rotta benvenuti, che forse però richiederebbero una spiegazione.

Difendere le frontiere europee è facile: una polizia di frontiera già esiste, si chiama Frontex, basta spendere di più. Idem per politiche volte a proteggere i lavoratori spiazzati dalla globalizzazione: anche qui un fondo già esiste, si chiama European Globalization Adjustment Fund, ma è minuscolo, bisognerebbe allargarlo. È possibile che i cittadini siano disposti a destinare una quota delle tasse che oggi pagano agli Stati nazionali al finanziamento di attività a livello europeo che evidentemente ritengono importanti. Potrebbe essere anche un modo per convincere la Germania a risparmiare un po’ di meno: oggi, tutta insieme, la Germania risparmia circa 270 miliardi di euro l’anno.

E tuttavia, quella indicata da Macron non è una via priva di pericoli. Ha il merito di spostare l’attenzione su poche chiare priorità, certamente troppo a lungo tralasciate. Questo aiuterà a rendere l’Europa ancor più popolare fra i suoi cittadini, li aiuterà, come scriveva ieri sul Corriere Angelo Panebianco, a ritrovare una loro «identità». Forse metterà definitivamente fuori gioco gli anti europeisti. Il pericolo però è che questo nuovo entusiasmo faccia dimenticare i molti cantieri aperti, il più delle volte incompiuti perché arenati di fronte a gelosie o pregiudizi nazionali. Se i Paesi dell’euro fossero colpiti da una crisi simile a quella che si verificò nell’estate del 2011 (sarebbe incosciente escluderlo), quando i tassi di interesse italiani a dieci anni schizzarono oltre il 6 per cento, non è evidente che oggi disporremmo di strumenti più efficaci per farvi fronte.

L’Omt (Outright monetary transactions), lo strumento creato dalla Bce nel 2012 e che consiste nell’acquisto da parte della Banca centrale di titoli di Stato di Paesi in difficoltà, non è mai stato messo alla prova. E per una buona ragione. Per accedere ai fondi un Paese deve impegnarsi (immagino con una mozione parlamentare) a realizzare un programma di stabilizzazione economica, cioè riforme e correzione dei conti pubblici. Impegni difficili da assumere se ad esempio il governo, nella crisi, ha perso la maggioranza. E comunque i dubbi di costituzionalità espressi in Germania (pur respinti dalla Corte di giustizia europea) probabilmente richiederebbero che il programma fosse quanto meno sottoposto al Parlamento di Berlino. Insomma, non uno strumento attivabile in un fine settimana per bloccare una crisi.

Ci sono molte proposte: lo stesso ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è favorevole alla trasformazione di un’istituzione che già esiste, il Meccanismo europeo di stabilità, in una specie di Fondo monetario europeo. Ma sarebbe inutile se le risorse dell’attuale meccanismo non fossero aumentate di un ordine di grandezza: di questo nessuno parla, né di eliminare il requisito che le decisioni richiedano l’unanimità dei Paesi aderenti all’euro.

Altri cantieri aperti riguardano il fondo europeo per far fronte ai fallimenti bancari (l’attuale calendario prevede che vada a regime non prima del 2023), le regole con cui gestire il possibile default di un Paese dell’euro (se ci fossero, la crisi greca non si trascinerebbe da sette anni), il modo con cui ridurre la quantità di titoli pubblici domestici nei bilanci delle banche, una condizione necessaria per evitare che una crisi si avviti fra Stati e banche.

Insomma, tutte questioni forse meno importanti e certo meno popolari delle tre proposte di Macron, ma anche più controverse, e proprio per questo bloccate da anni. Se non le si risolve rapidamente (e non è difficile, basterebbe spendere una piccola quota del capitale politico di cui oggi godono i leader europei), quando arriverà la prossima crisi i grandi progetti verranno ancora una volta messi da parte e, come è accaduto con la Grecia, i governi verranno assorbiti dalla quotidianità della crisi rischiando di perdere quell’apertura di credito che oggi fanno loro i cittadini.

(dal Corriere della Sera - 24 giugno 2017)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina