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Renzi stravince le primarie con oltre il 70%. Ma ora lo attendono i molti nodi che dovrà cercare di sciogliere

di Paolo Razzuoli

Ieri 30 aprile è stata indubbiamente una giornata di festa per la democrazia italiana. Stante il contesto generale, la circostanza che circa due milioni di cittadini si siano recati ai seggi per scegliere il Segretario di un partito, è un segnale di vitalità democratica che, prescindendo dai confini dello stesso Pd, attesta che in Italia la democrazia ha ancora (fortunatamente) una buona dose di linfa vitale nelle arterie.
Credo sia doveroso inoltre sottolineare che, qualunque sia la posizione di ciascuno rispetto alla proposta politica del Pd, questo partito è al momento l'unico che in Italia ha una struttura capillare sul territorio, e che si adopera per applicare meccanismi democratici per la selezione della sua classe dirigente. Merito non certo trascurabile, anzi estremamente lodevole, in una fase della nostra vicenda politica popolata da partiti personali, guidati senza alcun vero coinvolgimento della base.

Il primo dato è quindi che il flop, da alcuni temuto e da altri auspicato, non c'è stato. Certo un calo rispetto alle precedenti primarie si è verificato, (nel 2013 si recarono ai gazebo circa 2.800.000 elettori) ma non può sorprendere, dopo il referendum costituzionale e in una fase in cui la politica italiana (ed in verità non solo) non riesce certo a suscitare slanci e sogni.
i circa due milioni di iscritti ed elettori che si sono recati ai gazebo per scegliere il leader del Pd per i prossimi quattro anni sono una cifra che testimonia una buona vitalità del cosiddetto popolo del Pd, e in fondo la vitalità dello stesso strumento delle primarie.

Dalla disaggregazione dei dati emergono elementi interessanti. Il calo di affluenza si è registrato in maniera più sensibile nelle regioni in cui il Pd è tradizionalmente più radicato (le cosiddette regioni rosse), mentre un aumento si è registrato nelle regioni meridionali. Ma è proprio nelle cosiddette regioni rosse (Emilia, Toscana, Marche e Umbria) che Renzi ha colto i risultati migliori, andando non raramente oltre l'80% dei consensi. E' questo un dato politico rilevante che attesta il cambiamento in atto nel Dna del Pd che, auspicabilmente, potrebbe incanalarsi verso una più netta vocazione liberal-riformista, quindi lasciandosi alle spalle i condizionamenti del suo ancoraggio alla tradizione marxista del Pci. Dal mio punto di vista, sarebbe un dato politico di grande utilità per il Paese.

Il secondo elemento da sottolineare è che una percentuale di voti oltre il 70%, superiore anche al buon successo tra gli iscritti (consenso attestatosi al 66,73%), danno al nuovo mandato di Renzi una legittimazione popolare forte e indiscutibile fino al 2021. Il popolo del Pd è con lui. Ora la domanda che tutti nel mondo politico si pongono è: una volta ricevuta la forte reinvestitura democratica che ha cercato fin dalla sera della sconfitta referendaria del 4 dicembre scorso (come si ricorderà Renzi avrebbe voluto indire subito il congresso anticipato per pareggiare i conti con l’allora minoranza interna), che cosa farà da domani il segretario del Pd?

Partiamo dalla media prospettiva. Se l'esito del referendum sulla riforma costituzionale fosse stato diverso, il percorso politico risultava chiaro; ora invece non è così.
Nella dichiarazione rilasciata da Renzi al momento in cui è apparso chiaro il risultato, ha insistito con forza sulla necessità dell'unità interna al partito e sulla circostanza che si apre una pagina nuova del Pd e non il secondo atto di una partita già in parte giocata. Dichiarazione certamente necessaria in questa circostanza, ma che dovrà nella pratica misurarsi con le forti divergenze di prospettiva e di contenuto politico delle mozioni dei suoi due competitor.
Ha detto che l'unica grande coalizione è quella interna al Pd, ma le cose non sono così semplici. Certamente la sua vittoria rafforza l’idea di un Pd a vocazione maggioritaria scolpita nello statuto veltroniano del partito, che prevede la coincidenza della figura di segretario e di candidato premier. Esclusa un'alleanza pre-elettorale di tipo tradizionale, il Pd dovrà giocarsi da solo la partita alle prossime elezioni politiche, posto che, come è probabile, si andrà alle urne con un sistema a forte base proporzionale: le alleanze si cercheranno ove necessario in Parlamento dopo le elezioni.

Ma proprio questa ricerca di alleanze si presenta tutt'altro che agevole. L’insistenza degli oppositori interni di Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano, sulla necessità di ricostruire il centrosinistra alleandosi con i fuoriusciti bersaniani e con la “cosa” che sta costruendo l'ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, sarà probabilmente il terreno su cui il Pd vivrà nuove tensioni interne.
L'impianto prevalentemente proporzionale con cui si voterà, difficilmente consentirà la creazione di una maggioranza politica omogenea: una formula si troverà, ma sarà necessario ricorrere ad una buona dose di fantasia e di flessibilità. Può darsi che gli avvenimenti mi smentiranno, ma non penso che le urne ci daranno una maggioranza del tipo auspicato da Orlando e Emiliano.
Comunque la riproposizione di uno schema sulla falsa riga dell'Ulivo di Prodi, non potrebbe che tradursi in un nuovo colpo basso inferto alle istanze di una visione liberal-riformista di cui il Paese ha urgente bisogno, se vorrà instradarsi nuovamente su un cammino di crescita. Non so se ci sarà un futuro luminoso; so però che se mai ci sarà, non potrà certo essere cercato nella cultura e nella tradizione politica della democrazia progressiva, che in Italia vanta ancora una discreta schiera di nipotini.

Un ulteriore nodo da sciogliere nell'agenda politica del nuovo Segretario Pd è quello della scadenza della legislatura che Renzi considera di fatto finita il giorno del referendum costituzionale e che trascinarla dovendo per di più prendere decisioni difficili con la prossima legge di bilancio è un suicidio per il Pd. Come è noto, per evitare l'aumento dell'I.V.A. dovrà essere approntata una manovra da 20 miliardi di Euro: operazione che richiederà provvedimenti impopolari, ma che in caso contrario provocherà l'aumento dell'I.V.A., una condizione ancor più impopolare che nessun partito si sentirà di affrontare.
Ma una volta chiusasi la finestra per votare a giugno, le elezioni in autunno sono complicate, viste le scadenze della legge di bilancio (va presentata a Bruxelles entro il 15 ottobre e approvata dal Parlamento entro fine anno).
Insomma una bella gatta da pelare, e un elemento di forte incognita anche per il risultato che il Pd potrà fare alle prossime elezioni.

Venendo ora all'immediato, il primo nodo è il rapporto con il Governo con cui la fattiva collaborazione è "obbligata".
Il primo nodo sul tavolo concerne una proposta per risolvere la crisi Alitalia con un non meglio precisato «rilancio dell’azienda».
Ma il nodo più intrigato è la partita della prossima legge di bilancio, la cui trattativa è già stata avviata con Bruxelles dal ministro Pier Carlo Padoan attorno all’ipotesi di un forte taglio al cuneo fiscale sul lavoro da finanziare con una stretta sull’evasione dell’Iva. Proprio mentre Renzi sta pensando a un forte taglio dell’Irpef sulle famiglie e per incentivare il lavoro femminile da proporre per la prossima legislatura. Al di là delle divergenze sugli obiettivi, il problema riguarda la fiducia reciproca. Questo governo - si chiede e chiede Renzi – ha la sufficiente forza politica per trattare davvero con Bruxelles la flessibilità necessaria? Dal suo punto di vista è una domanda retorica. Quello che tuttavia non può permettersi il Paese, e di riflesso il Pd renziano, è una continua fibrillazione politica che finirebbe solo per indebolire il governo e rendere ancora più complicata la partita con Bruxelles. Anche perché la probabile vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi del 7 maggio finirà per rafforzare l'asse franco-tedesco su una linea sì di riforma dell'Unione, ma sempre tenendo dritta la barra del rigore sui conti pubblici.

Dal punto di vista di osservazione del liberal-riformismo, dal quale io guardo e vivo la vicenda politica, la vittoria di Renzi è sicuramente un avvenimento positivo. I veri nodi da sciogliere tuttavia verranno nei prossimi mesi, ed il compito di Renzi non sarà facile. Con la riforma Costituzionale e con l'Italicum, il cammino sarebbe risultato certamente molto più lineare, primariamente per Renzi, ma soprattutto per il Paese. Purtroppo, per le note ragioni, le cose sono andate storte.

Una ultima brevissima annotazione sulla dimensione locale.
In lucchesia Matteo Renzi ha ottenuto un vero trionfo, raggiungendo l’80,04% delle preferenze (7.260 voti), con una percentuale che ripete il dato delle consultazioni primarie del dicembre del 2013.
A Lucca nel prossimo mese di giugno si voterà per il rinnovo dell'Amministrazione Comunale. Ovviamente non si sa chi potrà vincerle; qualora dovesse essere confermato Tambellini, è gioco forza che le linee guida della mozione renziana trovino una più idonea rappresentanza sia nella compagine di giunta, sia nell'azione politico-amministrativa. Modifica di equilibri e di contenuto a mio avviso fortemente auspicabili.

Lucca, 1 maggio 2017

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