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Elezioni Francia, a Parigi Le Pen al 4,9%: la città dagli attentati dell'Isis respinge la politica della paura

di Marco Imarisio

In una città eletta dai terroristi a bersaglio continuo, dove la paura di attentati è nell’aria e il ricordo di quello che è stato è sempre vivo, ci si poteva attendere che la frustrazione e l’angoscia accumulate si riversassero nelle urne. È stato l’opposto

Senza fare troppa retorica, ma per un attimo, solo per un attimo, bisognerebbe ripensare a quel che è stato. Al giorno dopo la notte tremenda del Bataclan. Ai genitori che portavano i bambini a scuola e incrociavano lo sguardo, e poi lo abbassavano. Come fosse il segno di una resa invincibile. Era enorme, troppo enorme quel che era successo. Parigi, i suoi abitanti avevano fatto crac. C’era nell’aria un abbattimento, una disperazione che si poteva toccare con mano. D’accordo, tutto passa.

Ma ancora prima c’era stata la strage di Charlie Hebdo, quando tutto è cominciato. E dalla notte del 13 novembre 2015 ad oggi questa città ha purtroppo avuto pressoché ogni mese l’occasione per ricordare di essere stata eletta a bersaglio immobile prediletto dai terroristi provenienti dalla Siria, da qualunque matto che ha trovato nei precetti dell’Isis il pretesto per incanalare la propria follia. Dall’assalto al commissariato alla Goutte d’Or, era il 7 gennaio 2016, erano passati neppure due mesi da quel macello, fino all’uccisione dell’agente sugli Champs-Elysées di pochi giorni fa. In mezzo ci sono stati almeno altri sette attacchi, migliaia di allarmi, i soldati a presidiare le strade e anche le scuole, perché quel sociopatico di Abdellhamid Abbaoud, il capo della banda che fece strage al Bataclan, le aveva designate come obiettivo prossimo e futuro, e da quel giorno la grande paura degli apparati è che sia quello il passo seguente nella scala delle atrocità, l’orrore definitivo, sparare sui bambini.

Ecco, questo riassunto per dire cosa può essere passato nella testa di una madre o di un padre parigini in questo lungo e crudele anno e mezzo. Svegliarsi al mattino inquieti e incerti se mandare i figli a scuola, difficile immaginare qualcosa di peggio. Ce ne sarebbe stato abbastanza per riversare la frustrazione e l’angoscia accumulate per tutto questo tempo nelle urne. E invece no. I risultati di Parigi fanno strabuzzare gli occhi proprio per questa ragione. Una normale domenica di voto. Emmanuel Macron ha preso il 34,83%, Francois Fillon il 26,45%, Jean Luc Melenchon un 19,5% che è la sua media nazionale, il povero socialista Benoit Hamon ha raggiunto il 10,18%. E Marine Le Pen, che sulla sicurezza, sulla chiusura delle frontiere e perché no, dei quartieri più multietnici della capitale, ci ha costruito sopra le sue fortune, ha preso un 4,99 per cento quasi imbarazzante, per lei.

La politica della paura è stata respinta, ma in un modo così definitivo da lasciare davvero ad occhi aperti. Certo, il 37 per cento degli immigrati francesi vive nell’Ile-de-France, la regione di Parigi. Ma i dati elettorali di cui sopra sono riferiti all’area della città metropolitana, i 20 arrondissement all’interno del Periferique, per capirci, dove la percentuale di cittadini francesi di etnia non europea scende a un più fisiologico 10-12 per cento.

Certo, la divisione del voto tra grandi città e aree rurali è un grande tema di queste elezioni. Macron-Fillon-Melenchon hanno fatto il pieno anche a Lione, la seconda città di Francia, mentre Le Pen si è fermata anche lì a un misero 8,86 per cento. Ma questa è Parigi. La capitale per la quale una sera di novembre del 2015 tutto il mondo si è messo a pregare. La città europea che ha pagato e paga il prezzo più alto, dove se qualcuno in metropolitana appoggia lo zaino facendo un rumore improvviso tutti si voltano, come per un riflesso pavloviano, per un timore sempre ben nascosto ma ormai ancestrale. Al netto di ogni valutazione politica, c’è poco altro da aggiungere. Come dicono da queste parti, chapeau.

(dal Corriere della Sera - 24 aprile 2017)

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