logo Fucinaidee

Le spinte anti-sistema che agitano anche Roma

–di Adriana Cerretelli

Queste presidenziali di Francia non saranno come le altre, che pure spesso sono state drammatiche e combattute. Due le ragioni: questa volta, per la vita o per la morte, il futuro dell’Europa e del consustanziale asse franco-tedesco passeranno di lì. Senza scappatoie possibili. E mai come questa volta l’esito influenzerà l’Italia scossa da analoghe spinte anti-sistema in un’incerta anticamera elettorale.

In breve, l’euro potrebbe essere investito dalla somma secessionista della sua seconda e terza economia: impossibile uscire indenne da un ciclone franco-italiano.
Altre volte in passato la Francia ha giocato a “stop and go” con l'Europa. Anche in modo devastante, mai però senza rimedio. Accadde nel 1954 quando affondò l’Europa della difesa, da allora mai più risorta, e nel 2005 quando liquidò la Costituzione europea poi derubricata a Trattato di Lisbona.

Se oggi è allarme rosso in Europa è perché l’Europa sa quanto la Francia sia metafora e specchio della propria crisi esistenziale senza precedenti e rappresenti al tempo stesso la prova generale di uno strappo letale che potrebbe ripetersi in Italia, il paese che più le somiglia per ritardi nelle riforme strutturali e rientro dal debito, elefantiasi della spesa pubblica, tensioni sociali, rischi di instabilità politica. Per questo Parigi viaggia senza la tripla A da cinque anni e il nostro paese è addirittura appena sprofondato nella tripla B.

I sondaggi, per quello che valgono, annunciano che Emanuel Macron, l’europeista di centro, oggi ce la farà a passare il primo turno e poi a vincere bene l’Eliseo il 7 maggio. Che Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, gli estremisti di destra e di sinistra, entrambi anti-europei, anti-euro, anti-global e sovranisti scatenati, alla fine saranno sconfitti. Come il repubblicano Francois Fillon, bruciato da troppi scandali.

Se davvero sarà questo il finale, Europa e Italia potranno tirare un sospiro di sollievo e guardare avanti con meno angoscia e più spirito costruttivo. A patto di riconoscere che, scampato il peggio, i problemi che hanno creato il pericolo estremo, restano intatti. E non facili da risolvere. Con 8 candidati su 11 dichiaratamente anti-Ue, il Front National e France Insoumise che insieme, salvo sorprese, incasseranno quasi la metà dei voti espressi, la Francia resterà comunque profondamente spaccata nel suo rapporto con l’Europa e il mondo e continuerà a essere ammaliata dal canto delle stesse sirene di Brexit.

Resterà cioè, come l’Italia, un paese difficilmente riformabile, complicatissimo da governare e ancora di più da recuperare al consenso europeista e al credo liberal-aperturista su cui è sorta l’Unione ma sul quale oggi rischia di naufragare. Resterà, dunque, una zavorra per l’Europa invece della grande opportunità che è stata in passato (bizzose parentesi a parte) grazie alla sintonia di interessi con la Germania.

Se la “rupture” nella società francese e il ribellismo anti-sistema diffuso in quella italiana fossero fenomeni isolati si potrebbe sperare in una lenta guarigione (è già avvenuto in passato), ora che l’economia mondiale torna a correre, quella europea accelera e insieme possono sanare tante ferite. Non è così. Euroscetticismi, nazionalismi, protezionismi, pulsioni no-global, voglia di confini, allergie all'immigrato, Ue o no poco conta, ormai proliferano ovunque nell’Unione, quasi fossero parte del nuovo Dna di società occidentali ed europee, stravolte da eccessi di ricchezza e quindi di egoismi o, all’opposto, incattivite da troppo impoverimento e dunque divorate da ansie isolazioniste e distruttive.

È vero che in Olanda, pur avendo guadagnato seggi, il partito eurofobo e xenofobo di Geert Wilders ha perso le elezioni di marzo a favore dei liberali del premier Mark Rutte. Come è vero che in Germania i populisti dell’Afd di Frauke Petry sono in profonda crisi. Se Macron ce la facesse, darebbe un’altra spallata al fronte nazional-oscurantista europeo.
Di certo però non lo sbaraglierebbe. Perchè non potrebbe fugare ma al contrario dovrebbe continuare a misurarsi con i sentimenti di ostilità all’Europa e indifferenza verso l’altro, che ribollono sotto la crosta di una società impaurita e disorientata e di cui Le Pen e Mélenchon resteranno comunque i grandi interpreti. Una società che dovunque non vede più nell’Europa il veicolo del proprio successo culturale, sociale ed economico ma il vampiro che, in un modo o nell’altro a seconda che si viva a Nord, a Sud o a Est, non cessa di succhiarle sangue, libertà e risorse.

Nel mondo globale la nazione-fortezza è lo steccato dei perdenti. Solo l’Europa ha la massa critica minima per tener testa ai competitori globali. Però non sembra più capace di vincere perché non sa più convincere la sua gente né comunicare i tanti benefici che continua a distribuire. A tutti. Nella Francia recalcitrante come nell’Italia scettica e oltre, dovrebbe cominciare dalla ricostruzione della fiducia, della convergenza tra modelli e interessi nazionali, quindi del consenso democratico, la battaglia per fare la nuova Europa. L’impresa richiede però grandi riforme e sacrifici a un corpo sociale che li rifiuta e per questo rifiuta l’Europa. Èquesto il grande dilemma in cui è intrappolata l’Unione: solo uscendone potrà ritrovare un futuro certo.

(dal Sole 24 Ore - 23 aprile 2017)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina