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Se l’Italia ritorna a un bivio. I paragoni tra il 1948 e il 2018

di Angelo Panebianco

Le differenze sarebbero comunque molte di più delle somiglianze ma, forse, sarà un giorno possibile trovare qualche analogia tra le future elezioni italiane (del 2018, presumibilmente) e le prime elezioni dell’età repubblicana, del 18 aprile 1948. È possibile che le prossime elezioni, come quelle del ‘48, stabiliscano la collocazione internazionale dell’Italia, le sue alleanze strategiche. Con tutte le conseguenze che ciò avrebbe sulla vita politica, economica e civile negli anni a venire. A differenza di quanto accadde nel 1948, il grosso dell’opinione pubblica questa volta avrebbe scarsa consapevolezza della posta in gioco. Allora era chiaro a quasi tutti gli italiani che si stava decidendo il futuro del Paese, la scelta fra Occidente e Oriente e, per essa, fra liberaldemocrazia e comunismo. Questa volta le cose andrebbero diversamente. La scelta di campo si presenterebbe in modo molto più ambiguo e sfumato. Inoltre, l’opinione pubblica sarebbe distratta (e depistata): le forze interessate a farle credere che il problema principale dell’Italia sia la corruzione — una convinzione che mette le ali ai piedi delle forze antisistema — la confonderebbero a sufficienza, le impedirebbero di mettere a fuoco le implicazioni internazionali delle future scelte elettorali. È bastato che l’America decidesse di colpire la Siria, di punirla per l’uso delle armi chimiche, entrando così in conflitto con la Russia (alleata dei siriani), perché il partito europeo filorusso, che già esiste da un pezzo, venisse allo scoperto senza più remore.

Nel momento in cui l’America è entrata in rotta di collisione con la Russia di Putin in Medio Oriente, Marine Le Pen e quasi tutti gli altri leader dei partiti antisistema europei (ivi compresi gli italiani Beppe Grillo e Matteo Salvini) hanno subito messo da parte le simpatie esibite fino a qualche giorno fa per Donald Trump e si sono schierati con i russi. Tenuto conto dell’imprevedibilità di Trump, la sua azione contro la Siria potrebbe essere solo un episodio. Potrebbe decidere domani di tendere di nuovo la mano a Putin come aveva annunciato in campagna elettorale. Ma poniamo che non sia così. Quasi tutti gli osservatori concordano sul fatto che l’intervento in Siria sia il frutto del rafforzamento politico, in seno all’Amministrazione americana, dei repubblicani di orientamento tradizionale a scapito dei sovranisti/isolazionisti da cui Trump era circondato fino a poco tempo fa (e che non hanno affatto approvato la sua scelta). Peraltro, l’intervento in Siria suona a conferma di un orientamento che Trump aveva già manifestato: quello teso a ricostruire in Medio Oriente la rete di alleanze tradizionali dell’America. Con Israele ma anche con gli Stati sunniti, Arabia Saudita in testa. Assumendo — ma ciò è naturalmente da verificare — che ricostituire il sistema di alleanze con i sunniti non sia in conflitto con l’esigenza di distruggere lo Stato Islamico (anch’esso sunnita). Se, anziché solo un episodio, l’intervento in Siria risultasse inquadrabile in una siffatta strategia, ne deriverebbe una inevitabile conseguenza: il conflitto di interessi fra Stati Uniti e Russia in Medio Oriente, pur senza impedire negoziazioni e compromessi, diventerebbe permanente. Con la Russia alleata degli sciiti (Iran, Siria di Assad, Hezbollah libanesi, sciiti iracheni) e gli Stati Uniti dei sunniti, nemici mortali dei primi. Una divisione permanente di questo tipo fra americani e russi avrebbe immediate ripercussioni in Europa. Tanto più se Trump decidesse (cosa poco probabile ma non impossibile nel caso in cui il peso politico dei sovranisti entro l’Amministrazione diminuisse ancora) di accompagnare la politica mediorientale raffreddando, su dazi e tutto il resto, il suo contenzioso con gli europei. Una eventuale «normalizzazione» della politica estera di Trump, sul solco delle Presidenze repubblicane classiche, potrebbe, da un lato, riconciliare con l’America quella parte di europei che hanno fin qui guardato con sgomento le mosse del nuovo Presidente americano e, dall’altro, gli assicurerebbe la feroce e duratura inimicizia del «partito russo» europeo.

È in questa eventualità che le elezioni italiane del 2018 potrebbero mostrare qualche analogia con quelle del 1948. Perché, proprio come allora, i partiti antisistema proporrebbero al Paese di sciogliere i nostri legami con il mondo occidentale (oggi dicendo no sia alla Nato che all’Unione Europea) e di stringere un’alleanza con i russi. Proprio come allora vale sempre il principio che si diventa simili ai propri partner principali. L’alleanza con l’America e la scelta europeista stabilizzarono, nell’Italia del dopoguerra, la liberaldemocrazia. Quali effetti avrebbe sulla oggi assai fragile democrazia italiana un contatto ravvicinato e un permanente abbraccio con l’autoritarismo russo? Chi pensa che la liberaldemocrazia possa durare solo se il Paese resta inserito in un contesto internazionale coerente, amichevole nei confronti di tale forma di governo, deve prima di tutto augurarsi una sconfitta di Marine Le Pen alle prossime elezioni francesi. Senza di che, finiremmo con un’Europa a pezzi e una Russia sempre più influente. Quella sconfitta, inoltre, è una condizione necessaria — benché non sufficiente — perché i partiti antisistema si sgonfino anche qui da noi. Evitiamo che, nell’inconsapevolezza generale, le prossime elezioni decidano delle nostre future alleanze.

(dal Corriere della Sera)

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