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In Europa potrebbe accrescersi il peso dell'Italia. Ma a condizione che...

di Paolo Razzuoli

l’incontro tra i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea che si è tenuto il 25 marzo a Roma, probabilmente non costituirà una pietra miliare nella storia europea. Tuttavia, in occasione dei sessant'anni dei trattati che hanno avviato il percorso dell'integrazione europea, i paesi sottoscrittori hanno approvato una dichiarazione che individua un percorso e obiettivi comuni che, se presi sul serio, rappresentano fattori di prim'ordine nella costruzione di un percorso condiviso.
Qualcuno dice che la dichiarazione poteva spingersi oltre; può darsi che gli orizzonti potessero essere più ampi; comunque, in un momento di difficoltà quale quello che l'Europa sta oggi attraversando, il documento approvato a Roma potrà costituire un presupposto metodologico e contenutistico di grande valore per lo sviluppo di politiche comuni di spessore.
Ovviamente occorre uno scenario adeguato: occorre che l'Europa non venga sfasciata dall'affermazione di forze populiste ed eurofobe.

Ora che i riflettori sul vertice sono spenti, è il tempo di avviare una seria riflessione sugli spazi e sulle responsabilità che l'Italia potrà giocare nell'Europa dei prossimi anni.
Il nostro Paese è stato un pilastro del percorso di integrazione europea, sin dai tempi dei suoi primi vagiti. Il respiro europeo è stato uno dei cardini della visione della politica estera di Alcide De Gasperi, un apostolo dell'europeismo. De Gasperi, assieme al francese Schumann ed al tedesco Adenauer, è stato lo statista che, nel contesto storico del secondo dopoguerra e circondato da un diffuso scetticismo, ha avuto l'intelligenza e la lungimiranza di gettare cuore e testa oltre l'ostacolo, assegnando all'integrazione politica ed economica europea il compito di far voltar pagina alla storia del vecchio continente, nella prospettiva rivoluzionaria di farne un'area di pace e concordia fra popoli che si erano aspramente combattuti.
Percorso che a De Gasperi ha recato anche grandi amarezze, quale quella della bocciatura da parte del Parlamento francese della CED (Comunità Europea di Difesa) ma che, pur con tutti i suoi limiti, ci offre oggi un continente infinitamente migliore di quello in cui i Padri dell'Europeismo hanno mosso i primi passi. Una diversità così grande, da non poter forse nemmeno essere immaginata da chi quel contesto ha vissuto, o per lo meno ne ha una solida consapevolezza storica.
Un messaggio che occorre far passare soprattutto fra i giovani, che vivono questa europa dei viaggi, dei progetti Erasmus, delle frontiere aperte come qualcosa di quasi ovvio. Non era così sino a pochi anni or sono e, di fronte a scelte irresponsabili, non è detto che non si possa tornare indietro.

Tornando all'Italia ed al suo ruolo nel processo di integrazione europea, negli scorsi decenni esso è risultato di primo piano. Non solo perché l'Italia è stato uno dei paesi di testa, ma nei decenni le politiche estere a cui si sono ispirati i governi sono state fortemente europeiste.
Politiche ampiamente condivise dalla maggioranza degli italiani, almeno sino all'inizio del millennio, allorché anche da noi leuroscetticismo è cresciuto ed ha trovato rappresentanza politica nelle forze populiste ed euroscettiche che ben conosciamo.

Ma c'è un altro fattore che ha contribuito alla caduta della cultura europeista nel nostro paese: una tossina ammorbante di cui occorre parlare gettando la maschera dell'ipocrisia.
Un virus che ha trovato terreno di coltura anche nelle principali forze politiche italiane, anche se non riconducibili all'euroscetticismo, quali il Pd o Forza Italia.
Mi riferisco al vezzo di scaricare su altri la responsabilità di ciò che tali forze, soprattutto allorché caricate della responsabilità del governo, non riescono a realizzare. Un modo, ipocrita ma che sinora un po' ha funzionato, di spostare al di fuori delle responsabilità del governo nazionale la causa di problemi che invece sono di natura prettamente interna.
Tutti, a parole, concordano che l'Italia ha bisogno di una profonda azione riformatrice: necessaria, non solo in ragione delle mutate condizioni di contesto, ma anche per correggere le storture che politiche - diciamo sconsiderate - degli anni '70 e '80 ci hanno lasciato in eredità. Ma riformare in profondità il Paese è complicato e sicuramente impopolare. E' difficile immaginare che possa riuscirci questa classe politica che ha l'occhio puntato sui sondaggi e sui risultati elettorali. Potrà riuscirci solo una classe politica "folle", (non so come altrimenti potrei definire sulla base del paradigma attuale), che abbia il coraggio di sacrificare i propri successi immediati sull'altare della progettualità e della lungimiranza.
Scaricare disinvoltamente le responsabilità sugli organismi di Bruxelles è stato e potrà essere sicuramente una scorciatoia comoda nell'immediato, ma pericolosa nella prospettiva.
Ipocrita vezzo che ha contribuito ad alimentare anche da noi l'ostilità all'Europa, a molti apparsa sempre più uno strumento di sopraffazione anziché un'opportunità per costruire un futuro migliore. Correre ai ripari è molto complicato: purtroppo chi semina vento raccoglie tempesta".

l'Italia potrà giocare a pieno le proprie carte in Europa se, al termine di un percorso contrassegnato da appuntamenti elettorali in vari paesi, saprà presentarsi con una classe politica all'altezza della situazione. Le elezioni italiane, prescindendo dalla circostanza che potranno avvenire qualche mese prima o dopo, chiuderanno questo percorso e saranno discriminanti rispetto alla successivo sviluppo politico.
In Olanda le elezioni del 15 marzo hanno eliminato l’ipotesi che l’anti-europeista Pvv, Partito per la Libertà, fosse la prima forza politica del Paese.
L'attenzione internazionale si sposta ora a Parigi, per le prossime elezioni presidenziali e legislative. Lì Marine Le Pen non va certo sottovalutata ma, a mio modo di vedere, il meccanismo elettorale a doppio turno le impedirà di salire all'eliseo. Una presidenza del social-liberale Emmanuel Macron impedirebbe la mina anti-comunitaria di una Le Pen; penso insomma che in Francia l'euroscetticismo non trionferà.
In Germania, che la competizione per la guida del governo si profili tra la cristiano-democratica Angela Merkel e il socialdemocratico Martin Schulz rassicura oggi chi teme un deragliamento dell’Unione: nessuno dei due è anti-europeista.

Ecco dunque che all’orizzonte una prova elettorale delicata risulta quella dell’Italia. Dopo la sciagurata autoflagellazione che ci siamo inflitti con l'esito del referendum dello scorso 4 dicembre, amplificata dall'intervento della Corte Costituzionale sulla Legge elettorale, la prossima legislatura si prevede all'insegna della instabilità politica, quindi di una grande difficoltà di governo. Non solo. L'impianto proporzionalista con cui si voterà (questo appare inevitabile), renderà complicata la ricerca delle necessarie maggioranze nei due rami del Parlamento, ma, cosa ancor peggiore, potrebbe portare al governo partiti euroscettici. Qualcuno azzarda anche l'ipotesi di una maggioranza sovranista (Lega e M5S) che potrebbe aprire un percorso di Italexit.
Sarebbe una catastrofe, per l'Italia e per l'Europa. Speriamo che resti nella mente dei più pessimisti....

C'è invece bisogno di un rafforzamento della coscienza collettiva del ruolo dell'Europa, e per questo i partiti seriamente europeisti debbono smetterla di giocare allo scarico delle responsabilità.
Certo, l'Europa potrebbe essere migliore, ma facciamola finita di scaricare su di essa la nostra incapacità di affrontare con il necessario coraggio, problemi che sono di nostra esclusiva competenza.

Il successo della politica europeista in Italia è indispensabile per la ripresa di un’integrazione europea necessaria per un’Unione stretta su vari fianchi: l’avversione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la gestione della brexit, l’attivismo della Russia di Vladimir Putin in Mediterraneo e Balcani. Un ruolo dell’Italia costruttivo, e non corrosivo, si renderebbe necessario comunque. Soprattutto se si potrà procedere, in raccordo con Germania e Francia, nell’integrazione a ritmi diversi tra i vari 27 Stati membri descritta dalla Dichiarazione firmata il 25 marzo a Roma.

Mi piace concludere con un tocco di ottimismo.
+ Alla cerimonia sui 60 anni dei Trattati fondativi di Comunità economica europea e Comunità dell’energia atomica, in Campidoglio, i nostri connazionali di prima fila erano il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, di Forza Italia, e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini, entrambi del Pd. Utile sarebbe che la vicinanza dovuta alle cariche segnasse anche una convergenza delle rispettive forze politiche, ma non sul prendere distanze da Bruxelles, bensì sul rapporto cooperativo (non significa subordinato) da tenere con gli altri 26 membri di un’Unione nella quale la prospettiva del distacco britannico apre - fra l'altro - spazi per l’Italia. Per citarne solo uno, il possibile, e non scontato, trasferimento da Londra a Milano dell’Agenzia europea per i medicinali. Il 25 marzo, in Campidoglio, c’era anche Virginia Raggi. Ho esaminato con attenzione il suo messaggio di saluto e benvenuto; ha tenuto un profilo istituzionale, e non si è lasciata andare ad alcuna forma di euroscetticismo. Circostanza questa sicuramente positiva.
Potrebbe essere un episodio isolato, dettato dalla particolare circostanza. Ma se il movimento 5Stelle superasse la grossolanità del proprio approccio alle questioni europee contribuirebbe a trasformarsi in forza di governo. Ammesso che si prefigga davvero di governare, e non di appagarsi dei successi nella propaganda.

Ma intanto le forze europeiste italiane sgombrino il terreno da certe ipocrisie: contribuirebbero al superamento di certe diffidenze che i nostri partner hanno verso di noi e, allo stesso tempo, contribuerebbero ad aumentare la nostra capacità contrattuale ed il nostro ruolo nel concerto europeo.

Lucca, 5 aprile 2017

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