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Breve commento

Consip, una parola che, sino a qualche giorno fa, la maggior parte degli italiani non conoscevano. La conoscevano certo i dipendenti della Pubblica Amministrazione, in particolar modo coloro che hanno mansioni nelle procedure di acquisto. Gli altri non l'avevano sentita mai pronunciare. La Consip è una struttura creata per razionalizzare gli acquisti delle amministrazioni pubbliche, con l'intento di ottenere risparmi.
Ebbene, le recenti inchieste giudiziarie l'hanno portata agli onori della cronaca. Onori, purtroppo, conquistati per una vicenda simile alle tante che popolano le cronache italiane: fatti di corruzione, vedremo se reali o presunte. Questo è compito della magistratura.
Nel merito non voglio entrare, quantomeno in questa sede; per i lettori di Fucinaidee propongo una riflessione di Sabino Cassese, profilo di assoluto spessore che - partendo dalla specifica vicenda, ci aiuta a leggere alcuni paradossi della nostra Pubblica Amministrazione.

Paolo Razzuoli

amministrazione e trasparenza
Il caso Consip e il monaco tibetano inesistente

di Sabino Cassese

La Consip è solo uno delle migliaia di organismi sui quali si allarga la mano della politica, nonostante che la loro funzione sia eminentemente tecnica e che possa essere svolta anche da persone sconosciute al governo e al Parlamento.
Ha ragione l’amministratore delegato della Consip, che ha dichiarato di non essere un monaco tibetano. Ha poi aggiunto: «Conosco tante persone. Da quando sono qui non ho smesso di incontrarle». E ha concluso: «La procedura (della mia nomina) non mi sembra un problema: già adesso la scelta viene fatta all’interno di una rosa di nomi indicata da esperti». Una persona con un curriculum di tutto rispetto, come quello dell’attuale amministratore delegato della Consip, ha certamente diritto di non vivere in reclusione. Ma c’è da chiedersi se sia giusto che per una posizione così importante e difficile la nomina spetti al governo.

La Consip è la centrale acquisti delle pubbliche amministrazioni. Costituita nel 1997, svolge attività di consulenza, assistenza e supporto per gli acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. Ha quindi una funzione eminentemente tecnica, deve assicurare che vengano acquistati i beni e i servizi necessari allo Stato e agli enti pubblici, anche locali, al prezzo più conveniente, con la massima trasparenza ed onestà. Non ha un fine politico, non deve obbedire a direttive governative. Ma è una società per azioni, unico azionista il ministero dell’Economia e delle Finanze, tre amministratori, due dipendenti dell’amministrazione, il terzo, quello con deleghe, nominato dall’esterno. Per questa nomina non vi sono stati bandi, non è stata data la possibilità di presentare candidature. Non risulta nemmeno che sia stato fatto un esame comparativo da parte di una commissione terza, imparziale e indipendente, e quindi la scelta è stata discrezionale.

La Consip è solo uno delle migliaia di organismi sui quali si allarga la mano della politica, nonostante che la loro funzione sia eminentemente tecnica e che possa essere svolta anche da persone sconosciute al governo e al Parlamento. Sono enti pubblici, agenzie, autorità indipendenti, società per azioni locali e nazionali. La loro attività si svolge lungo linee che sono fissate dalle leggi, è di carattere gestionale o amministrativa. Eppure la pervasività della politica li sottopone a scelte di vertice, talora anche eccellenti, ma compiute secondo criteri vari, quello della fedeltà, quello della appartenenza allo stesso giro di persone, quello della stessa fede politica, tutti criteri non funzionali allo scopo di assicurarsi bravi tecnici indipendenti.
Una volta, la fame di posti e di influenza della politica si soddisfaceva con le partecipazioni statali e le banche pubbliche. La pubblica amministrazione ne era (parzialmente) immune. Sottratte le banche alla mano pubblica e privatizzate le partecipazioni statali, circa venti anni fa, la fame si è riversata su un’area grigia, formalmente privata, sostanzialmente pubblica (perché dipendente dal governo o dal Parlamento, oppure perché finanziata dal Tesoro). Quest’area grigia è andata crescendo, anche per altri motivi, principale quello di evitare di cadere sotto la scure di procure di vario genere, penali e contabili.
Poi, le nomine governative o comunque politiche sono dilagate con il cosiddetto «spoils system», che ha reso dipendenti dai politici quasi tutti gli amministratori statali, regionali e locali di vertice (con conseguenze indirette sui livelli inferiori). E lo «spoils system» ha proliferato, moltiplicandosi in forme diverse, ma sempre ispirate al criterio di base: al vincitore spettano le spoglie.

Per una di quelle singolari ambiguità che sono caratteristiche del nostro Stato, proprio negli stessi anni veniva sancito in legge un principio capitale, quello di distinzione tra politica e amministrazione: alla prima spetta di dettare gli indirizzi, alla seconda di gestire. Si tratta di un principio essenziale di ogni ordinamento moderno, che non a caso il presidente Trump sta cercando di sopprimere proprio in questi giorni negli Stati Uniti. Secondo questo principio, i vertici politici non dovrebbero ficcare il naso nella gestione, ma limitarsi a dare indirizzi, a controllare risultati (ed eventualmente a far valere responsabilità di chi non ha seguito le direttive).

Vorremmo che le indagini giudiziarie si concludessero (presto, se possibile), accertando che non vi sono state irregolarità, né vi è stata corruzione. Ma non ci dispiacerebbe che vi fosse qualche monaco tibetano, almeno finché non si porrà mano al riordino di questa zona grigia, per restituire alla buona amministrazione quel che le spetta.

(dal Corriere della Sera - 4 marzo 2017)

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