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I futuri convertiti ai Cinque Stelle

di Angelo Panebianco

Correva l’anno 1993. Proprio come ora, anche se per ragioni diverse, il motore del sistema politico italiano si era imballato. La fine della Guerra fredda e le inchieste giudiziarie avevano gettato nel marasma la politica romana. Tutti gli osservatori si aspettavano che il vincitore delle successive elezioni generali (che si sarebbero tenute l’anno dopo, nel 1994) sarebbe stato l’unico partito sopravvissuto alla tempesta: il partito (nominalmente) post-comunista, il Pds, allora guidato da Achille Occhetto. Tutti davano per scontato che la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto si sarebbe mangiata il Paese in un boccone solo. E come sempre succede in questi casi, questa generale convinzione innescò un processo di bandwagoning, una ressa fra tutti quelli che volevano saltare sul carro del vincitore. Si sprecavano le dichiarazioni di lodi di intellettuali vari per il Pds, le interviste genuflesse ai suoi dirigenti da parte di zelanti giornalisti, eccetera. La Rai, che per origine, storia e legami correnti, è sempre stata l’organizzazione del Paese più sensibile di tutte ai cambiamenti negli equilibri del potere nazionale, la prima a fiutare il vento, si era già posizionata anticipando i futuri sviluppi politici.

È facile scommettere sul fatto che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi i beneficiari del bandwagoning saranno i Cinque Stelle. Si capisce perché: è il partito che al momento gode di migliore salute rispetto a tutti gli altri. Il Pd del post-referendum è in una crisi dalla quale non uscirà facilmente. Anche perché coloro che in quel partito hanno ora vinto, coloro che hanno realizzato il regicidio, hanno finalmente abbattuto il tiranno, l’usurpatore, rappresentano quanto di più vecchio (culturalmente parlando) esista nella politica italiana. È difficile che possano avere un futuro. Non era stato proprio Marx, del resto, a dire che la prima volta è tragedia e la seconda è farsa?

Ma anche il centrodestra è messo malissimo. Forza Italia è sfibrata, divisa in tante camarille rissose, nella permanente attesa di una successione a Berlusconi che forse non arriverà mai. Matteo Salvini non sta molto meglio: aveva avuto una buona idea, almeno in astratto, quando aveva pensato di seguire le orme di Marine Le Pen. Ma non ha avuto fortuna. Il ruolo dello sfasciacarrozze è stato occupato, con maggiore credibilità, dai Cinque Stelle. Spiace per Salvini ma se si tratta di giocare a chi le spara più grosse, i Cinque Stelle sono imbattibili, sono la versione locale di Donald Trump. È per queste ragioni che molti si vanno ormai convincendo che, dopo le prossime elezioni, non ci sarà verso di tenerli fuori dall’area di governo. Quella convinzione genererà, con molte probabilità, l’effetto bandwagoning.

Poiché questi sono tempi cupi bisogna sfruttare le rare occasioni in cui è possibile sorridere. Consiglio di osservare con attenzione le future «conversioni» ai Cinque Stelle. Assisteremo sicuramente a indimenticabili scenette comiche. Tra le due situazioni, del 1993 e di oggi, ci sono molte differenze. A cominciare da quelle che intercorrono fra i presunti (molto presunti) vincitori del momento. Il Pds era un partito strutturato, socialmente insediato, con una organizzazione ancora imponente. Aveva una testa (un gruppo dirigente) ma anche un corpo solido e pesante. I Cinque Stelle hanno una testa ma non un corpo. Sono un partito allo stato gassoso, una organizzazione di tipo nuovo, figlia del Web. Il che rende molto più precario e fragile il «carro» (del vincitore previsto) su cui ci si affanna a salire.

Naturalmente è vero che ci sono anche somiglianze, quelle tipiche che corrono fra i partiti o movimenti non ancora adusi a gestire il governo nazionale, che non hanno ancora sperimentato la difficoltà del governare. È proprio di questi partiti fare promesse irrealizzabili. Non hanno ancora bisogno di programmi di governo che siano improntati a un minimo di plausibilità e di razionalità. Era vano pretendere un programma simile dal Pds del ’93. A maggior ragione sarebbe vano pretenderlo oggi dai Cinque Stelle.

La profezia del ’93, che tutti allora avevano presa per buona, non si realizzò. Comparve Berlusconi e mandò a gambe all’aria la gioiosa macchina da guerra. Ciò creò imbarazzo e smarrimento negli incauti convertiti al Pds dell’ultim’ora. Imbarazzo e smarrimento che essi, comprensibilmente, non perdonarono mai a Berlusconi.

A lume di naso, al momento, non si vede cosa potrebbe fermare la marcia trionfale dei Cinque Stelle verso il governo. Né si vede cosa potrebbe creare imbarazzo per i futuri (neo) convertiti. Resta che la storia è imprevedibile. Ecco perché, talvolta, capita a chi salta di slogarsi una caviglia.

(dal Corriere della Sera)

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